Il dialogo comincia nella Chiesa cattolica


Don Gianluca Padovan – Sacerdote della diocesi di Vicenza – Vice delegato vescovile per il dialogo interreligioso – referente per il Triveneto del dialogo con i mussulmani


Quando pensiamo al dialogo religioso, è probabile che nella nostra mente si formino immagini di incontri ecumenici ed interreligiosi, con preti ortodossi e pastori riformati, o con imam, rabbini e monaci buddhisti. Avremmo certamente ragione, perché questi sono tutti esempi di dialogo e di amicizia nella comune ricerca di Dio.

Tuttavia, questo non basta ad esaurire gli spazi del dialogo, ed esiste un’esperienza di incontro e fraternità che precede tutte queste altre: il dialogo all’interno della Chiesa cattolica, tra battezzati che appartengono alla medesima comunità.

A ben guardare, come possiamo impegnarci nel dialogare con fratelli e sorelle dalle visioni religiose più o meno diverse, se prima non coltiviamo con pazienza e determinazione la buona prassi di imparare a dialogare tra noi? Il Vangelo, in fondo, lo dice con chiarezza: “dall’amore che avrete gli uni per gli altri vi riconosceranno”. Ritorna allora la grande enciclica di S. Paolo VI, che nell’elencare quelli che lui chiama i “cerchi del dialogo”, comincia dal più lontano: quello della comune umanità, che ci unisce a tutti gli esseri umani, compresi i non credenti. Vi è poi il cerchio dei credenti, che nelle varie religioni cercano con noi di fare esperienza del mistero di Dio, quindi il cerchio delle diverse tradizioni cristiane, con cui possiamo confessare insieme che Gesù è il Signore e il Figlio di Dio. Ma Papa Montini non si ferma qui, ed in poche righe alla fine del corposo scritto aggiunge, come per sorprenderci un inciso appassionato che voglio riportare per intero e leggere con voi:

«E finalmente il Nostro dialogo si offre ai Figli della Casa di Dio, la Chiesa una santa cattolica e apostolica, di cui questa romana è madre e capo. Quanto lo vorremmo godere in pienezza di fede, di carità, di opere questo domestico dialogo; quanto lo vorremmo intenso e familiare! Quanto sensibile a tutte le verità, a tutte le virtù, a tutte le realtà del nostro patrimonio dottrinale e spirituale! Quanto sincero e commosso nella sua genuina spiritualità! Quanto pronto a raccogliere le voci molteplici del mondo contemporaneo! Quanto capace di rendere i cattolici uomini veramente buoni, uomini saggi, uomini liberi, uomini sereni e forti!»

S. Paolo VI ci aiuta a svelare un aspetto fondamentale del dialogo, tanto fra cristiani quanto fra credenti e fra esseri umani, ovvero il fatto che il dialogo non è qualcosa da fare, ma un carattere da assumere nella propria personalità, un vero e proprio modo di stare al mondo.

Bontà, saggezza, libertà, serenità e forza d’animo, queste sono qualità che non servono solo a dialogare, ma a vivere, ed il Papa le invoca come frutto del dialogo se viene assunto come stile di vita. In effetti ci è di grande aiuto, anche per la riflessione teologica, ricordare che il dialogo non è una prassi pastorale come, ad esempio, la liturgia o la catechesi. Quelle, necessarie e preziose, sono operazioni specifiche della Chiesa, che una persona non credente può magari trovare interessanti ma che normalmente non la riguardano. Il dialogo, invece, è qualcosa che tutti gli esseri umani devono in qualche modo praticare continuamente, dal momento che tutti hanno delle relazioni e sono in qualche modo inseriti in una società.

Il dialogo precede la storia cristiana, precede l’esperienza religiosa stessa, perché nasce con l’essere umano, anzi inizia già dal concepimento, quando il bambino comincia a tessere una relazione via via più personale con la madre e con il mondo attraverso il suo grembo. Mi permetto di dire che si tratta sempre di un dialogo perché assistiamo, appunto sin dagli inizi della vita umana, ad uno scambio di messaggi. Il bambino scalcia e la mamma si porta le mani al ventre per accarezzarlo e gli parla dolcemente: hanno iniziato un dialogo, che da lì in avanti sarà sempre più profondo, più umano, più complesso ed impegnativo, ma anche più necessario e talvolta gratificante.

Questo sguardo antropologico, che toglie il dialogo dalla specifica sfera religiosa, ci permette di sentirci tutti coinvolti, anche quando non conosciamo direttamente persone di altra religione o tradizione cristiana, ed anche se non siamo addetti specificamente a qualche servizio in parrocchia che ci fa incontrare queste persone. Ognuno di noi, ogni giorno ed in ogni azione che comporti uno scambio con qualcun altro, vive il dialogo ed è chiamato a viverlo da credente cattolico, secondo il Vangelo di Gesù.

In quanto battezzati nella Chiesa cattolica, noi viviamo in relazione ad una comunità religiosa che ha la pretesa di non essere solo un’agenzia di servizi, né una sorta di punto di ristoro che una volta la settimana ci offre un’oretta di preghiera ed animazione. La Chiesa ci chiede di essere parte di lei ogni giorno, a cominciare dalla preghiera personale da vivere nelle nostre case, se possibile insieme ai nostri familiari. Il dialogo comincia anche da qui, nel tentativo di costruire momenti di fede da vivere insieme con coloro che condividono il nostro tetto e le nostre giornate. Dobbiamo dialogare insieme per chiarire le opinioni di ciascuno e le convinzioni profonde, per esprimere il nostro bisogno di avere del tempo per la preghiera, e il desiderio di condividerlo e non restare soli. Già qui impariamo ad ascoltare, oltre che a comunicare, aprendoci alla possibilità che anche le persone a noi più vicine possano avere idee e prospettive molto diverse dalle nostre, e che nonostante questo si continui a volersi bene e ad esserci per aiutarsi gli uni gli altri. Quale scuola preziosa può essere il dialogo vissuto in famiglia su temi spirituali e religiosi, e come ci può insegnare a guardare con affetto fraterno tutti coloro che si pongono domande in questo senso, senza percepire le differenze come divisioni ma come spazio di confronto umile e rispettoso.

E quanto può insegnarci parlare di fede con familiari e amici, nel momento in cui l’esperienza prolungata ci educa pian piano ad esporre le nostre opinioni con mitezza, a non sentirci minacciati dalla diversa visione di un altro, ed a sapere che avere fede non significa essere certi di possedere tutta intera la verità, né di averla compresa perfettamente. Al contrario, ci ricordiamo che, come le stesse Scritture, ribadiscono continuamente, finché siamo in questo mondo siamo in cammino e chiamati ad una continua conversione, e dunque riconosciamo che anche il nostro prossimo è in movimento e non dobbiamo giudicarlo come se quella che ora dice fosse la sua ultima parola per sempre.

Ci siamo così addentrati in una dimensione che supera la Chiesa e le religioni stesse, perché è la fondamentale esperienza dell’essere umani che chiude la catena di cerchi presentata da Paolo VI: il cerchio dell’umanità è il più vasto fra tutti e abbraccia ogni esperienza, chiamandoci ad un dialogare quotidiano, costante ed universale. All’interno del mondo umano troviamo alcuni che sono credenti, e con loro condividiamo il cammino di fede, di dubbio e di speranza di quanto sanno di essere davanti al mistero di Dio. Tra i credenti vi sono poi alcuni che condividono con noi la fede nella Trinità di Dio e nell’Incarnazione del Verbo in Gesù, e con loro confessiamo assieme alcuni punti essenziali della nostra esperienza religiosa. Infine, tra i cristiani ritroviamo i nostri fratelli e sorelle cattolici, che in una varietà di riti e di posizioni teologiche maturati in una storia millenaria e sviluppatisi in contesti molto diversi, già esigono da noi lo sguardo benevolente e affettuoso di chi intende dialogare e non scontrarsi, e crede che la diversità del cammino altrui possa arricchire il mio di domande e di occasioni per maturare. A questo punto, ci rendiamo conto che tutto questo non si esaurisce nei limiti dell’esperienza religiosa, ma che ognuno di noi in famiglia e con gli amici, magari senza accorgersene è già un praticante assiduo del dialogo, fatto di scoperta dell’altro, di paziente indagine degli elementi condivisi, di franco riconoscimento delle differenze, di pacifica accettazione del fatto che a volte queste differenze si risolvono, altre volte restano e comunque non ci impediscono di volerci bene gli uni gli altri, e di permettere che ciascuno segua la sua strada.

Quanto abbiamo bisogno di prendere coscienza di questo dialogo come esperienza domestica e come prassi del vivere ecclesiale dentro le nostre parrocchie e associazioni cattoliche!

Dalla vita di ogni giorno impariamo le coordinate essenziale del dialogare, che è anzitutto ascolto intelligente, desiderio di conoscere l’altro e di arrivare, nella misura del possibile, a capire perché la vede così. Attenzione, questa “misura del possibile” è un altro insegnamento fondamentale: non diamo mai per scontato di aver davvero capito quello che l’altro intendeva dire! Già è difficile e non sempre possibile in questioni relativamente semplici e quotidiane, quanto più diventa improbabile se ci addentriamo nel mistero della vita spirituale e religiosa. Quando io stesso cerco di comunicare ad un altro la mia esperienza di cristiano, cattolico e prete, mi accorgo che le parole non bastano, e che alla fine del discorso c’era tanto che avrei voluto dire e che non ho detto, e sentendo l’altro rispondermi mi rendo conto che alcune cose le ha capite a modo suo, ed io non ho saputo fargliele vedere come le vedo io. Su questo limite per ora ci lasciamo, come su una scogliera che guarda il mare dell’incontro e del camminare insieme, e ci ricordiamo di dover ancora molto riflette e molto più pregare perché ci sia possibile incontrare ogni altra persona a partire dal desiderio di dialogare con lei, nell’umiltà di non sapere prima quanto effettivamente riusciremo a comprenderci l’un l’altro.

Numero di Marzo 2022