Speranza nel tempo dell’età anziana
Rossella Semplici – Psicologa clinica, scrittrice, formatrice volontari, personale sanitario e socio-assistenziale
Nel corso del tempo le parole anzianità e speranza sono state arricchite di significati.
A seguito dell’allungamento medio della vita nei paesi con uno sviluppo avanzato, oggi nel concetto di anziano sono comprese tre categorie di “anzianità” suddivise in base all’età: la terza età comprende persone tra i 60 e i 75 anni, la quarta età tra i 75 e i 90 anni, la quinta età oltre i 90 anni. Nelle ultime sono spesso presenti patologie degenerative, decadimento psichico e non autosufficienza.
Dalle ricerche di paleontologi, archeologi, antropologi culturali, ecc. emerge che la speranza dimora nell’essere umano da sempre; la radice della parola è sanscrita esignifica “tendere verso una meta”.
Le civiltà e le culture che si sono sviluppate nel corso dei millenni hanno tratteggiato molte speranze, con caratteristiche talvolta antitetiche. Ne sono un esempio due proverbi popolari: “La speranza è l’ultima a morire” e “Chi di speranza vive disperato muore”.
Il cristianesimo offre una speranza in continuo aggiornamento, in sintonia con i tempi, concreta e sempre in favore dell’umanità. È nelle mani di Dio che, con amore gratuito, la dona agli esseri umani attraverso Cristo. Papa Francesco nell’udienza generale del 5 aprile 2017 affermava: «La nostra speranza è una Persona, è il Signore Gesù che riconosciamo vivo e presente in noi e nei nostri fratelli, perché Cristo è risorto». Quindi per i cristiani la speranza è tendere verso Cristo, che dopo la morte ci porterà all’incontro permanente con Dio.
Le persone anziane in cosa sperano e come? Quindi verso quali mete si incamminano e come pensano di raggiungerle?
Durante un ritiro spirituale in provincia di Varese ho raccolto alcune indicazioni.
Molti anziani sperano di riuscire a occuparsi dei nipoti ancora per molti anni, di vedere che la pace si è sostituita alla guerra in tutto il mondo e anche all’interno delle proprie comunità, di contribuire a creare una società più aperta e accogliente verso le persone in difficoltà, di dedicarsi con passione alle attività di volontariato, di sentirsi parte della rete familiare, amicale e sociale, di essere capaci di testimoniare con coerenza l’amore di Dio e diventare modelli positivi per i più giovani, di essere salvati e vivere con Dio nell’eternità, di avere fede fino all’ultimo respiro, di affrontare le malattie e soprattutto la morte non in solitudine, sostenendo con forza che la medicina da sola non basta a lenire le paure e le sofferenze.
Da ricerche condotte sia a livello nazionale che internazionale tra persone di tutte le fasce dell’età anziana emergono anche altri desideri, tra cui essere viste, riconosciute e trattate in modo che sia rispettata la dignità umana, in qualsiasi condizione bio-psico-socio-economica si trovino; di essere ascoltate non solo quando parlano di bisogni fondamentali, ma anche di desideri, di sogni, di aspettative.
In sintesi, le persone vogliono svelarci la speranza concreta del giorno dopo giorno, la speranza spirituale, che tocca il senso della vita e quella religiosa che porta verso Dio. Come si muovono verso queste mete? Con parole e gesti amorevoli, empatici e pazienti; impegnandosi a lasciare cuore e testa sempre aperti per superare i pregiudizi e i luoghi comuni; perseverando nel creare relazioni positive con il prossimo, anche quello più lontano, sia in senso fisico sia culturale; promuovendo l’adattamento e la pacificazione per i cambiamenti psico-fisici che determinano un livello minore di efficienza, una riduzione dell’impegno lavorativo e tempi più dilatati per lo svolgimento delle attività quotidiane; dedicandosi alla preghiera e al prendendosi cura della propria spiritualità e religiosità.
Custodire la speranza e incamminarsi verso le mete individuate è possibile se c’è un’armonizzazione sinergica tra l’impegno della singola persona, della comunità e dell’intera famiglia umana, come emerge dal contributo degli studiosi che si occupano delle persone anziane. Le loro ricerche, centrate sul processo dell’invecchiamento e non solamente sulle condizioni psico-fisiche, aiutano a mettere nella giusta luce tutte le componenti che influenzano tale processo: la struttura genetica personale, l’ambiente famigliare e sociale in cui si è vissuto, la parte del mondo in cui si è nati e cresciuti, il grado di istruzione raggiunto, le risorse economiche a disposizione.
L’anzianità non deve essere più considerata una fase di rottura nel fluire della vita, bensì un continuum. E come ogni fase presenta difetti, limiti, ma anche pregi, valori e opportunità.
In questa prospettiva, che cerca di tenere presente gli aspetti sia positivi sia negativi, si inserisce il Documento La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia della Pontificia Accademia per la Vita, elaborato d’intesa con il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, pubblicato il 2 febbraio 2021: «Essa (la longevità n.d.r.) ci mette a confronto con la nostra fragilità, con la dipendenza reciproca, con i nostri legami familiari e comunitari, e soprattutto con la nostra figliolanza divina […] Essere anziani è un dono di Dio e un’enorme risorsa, una conquista da salvaguardare con cura, anche quando la malattia si fa invalidante ed emergono necessità di assistenza integrata e di elevata qualità».
È indispensabile che istituzioni, associazioni, enti collaborino in modo continuativo.
In Italia sono state definite politiche, elaborati programmi e piani di azione promossi, finanziati e gestiti da istituzioni pubbliche (ministeri, regioni, comuni) e dal terzo settore; frequentemente ogni soggetto ha proceduto per conto proprio, senza coordinarsi e confrontarsi con gli altri attori. Questo ha determinato e determina ancora oggi interventi poco incisivi; si dovrebbe invece elaborare una strategia complessiva, strutturata nel breve, medio e lungo periodo con verifiche che permettano di inserire aggiustamenti.
Vivere bene l’anzianità significa “planare” verso la conclusione terrena della vita nel miglior modo possibile, perché lo sguardo sulla propria vita svela pienezza di senso e amore per sé, per gli altri, per l’Altro.
Giovanni Paolo II nella Lettera agli Anziani del 1999 scriveva: «Urge recuperare la giusta prospettiva da cui considerare la vita nel suo insieme. E la prospettiva giusta è l’eternità, della quale la vita è preparazione significativa in ogni sua fase. Anche la vecchiaia ha un suo ruolo da svolgere in questo processo di progressiva maturazione dell’essere umano in cammino verso l’eterno. Se la vita è un pellegrinaggio verso il mistero di Dio, la vecchiaia è il tempo in cui più naturalmente si guarda alla soglia di questo mistero».