Il Signore chiama
«Tutto questo è importante. Tuttavia, quello che vorrei ricordare è soprattutto la chiamata alla santità che il Signore fa a ciascuno di noi» (n. 10).
A cosa fa riferimento papa Francesco per concludere che, in ogni caso, è la «chiama alla santità», che tutti abbiamo ricevuto dal Signore, quella che a lui, al Papa, interessa.
Cosa è “importante” per papa Francesco? Poco prima si è soffermato sulla santità che è sempre presente nella storia della Chiesa e del mondo, anzi sembra tanto più luminosa quanto più oscura è la notte; tanto più grande la santità quanto più grande è il peccato che talvolta sembra attanagliare l’umanità.
Quando qualcuno mi cita i “papi corrotti” del secolo XVI; quando qualcuno mi cita Lutero come il riformatore mandato da Dio per rinnovare una Chiesa corrotta; quando qualcuno mi parla (erroneamente) di sterminio degli abitanti delle Americhe a causa della sete d’oro e di ricchezze dei corrotti cristiani del tempo; quando avviene questo, io pacatamente domando: «Lei mi sa (tu mi sai) dire quando vissero sant’Ignazio di Loyola? E santa Teresa d’Ávila? E san Giovanni della Croce? E san Carlo Borromeo? E san Francesco Saverio? E san Camillo de Lellis? E san Francesco di Sales? E santa Giovanna Chantal?».
A questo punto osservo il mio interlocutore. Confesso che lo faccio un poco compiaciuto, perché si intimidisce e spesso balbetta: «Ma, non saprei. Sa, io non sono un prete…». Allora, con un sorriso sornione, gli (o le) dico: «Sa, sono vissuti proprio nell’epoca della quale lei parlava. Al tempo di papi corrotti e di Lutero e di guerre di religione. Tanto più grande fu forse il peccato, tanto più grande fu certo la grazia!». E aggiungo: «Lei ricorda solo un nome di peccatore (di solito è papa Alessandro VI), ma nessuno più ricorda i molti altri. Non ricordiamo quei deboli e peccatori, ma ancora oggi ricordiamo quegli altri, i santi – … e che santi! – di quel tempo». E concludo: «Il male tramonta. È il bene che rimane, e si accresce. Un santo ne genera altri: pensi a tutti i santi religiosi e religiose che quei santi hanno generato nei secoli. Pensi a san Carlo e a come ha segnato per secoli la santità della sua diocesi! Il male muore, solo il bene rimane. I peccatori passano. I santi restano per secoli».
Per questo papa Francesco grida: «La santità è il volto più bello della Chiesa» (n. 9). Non dobbiamo avere paura: «Nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi» (n. 8).
E non solo nella Chiesa cattolica, perché l’amore di Dio abbraccia tutti gli uomini, «che lo cercano con cuore sincero» e dei quali Lui solo «conosce la fede». Ce lo disse proprio san Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del Duemila, quando volle celebrare tutti i martiri del ventesimo secolo: «La testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti» (n. 9). I martiri del ventesimo secolo ci hanno uniti – noi tutti cristiani – ben più delle divisioni che per secoli ci hanno divisi: è la forza potente dell’amore di Dio, custodito nel cuore di ogni essere umano.
A questo coraggio di credere nella forza dell’amore; a questa testimonianza della fede che non teme neppure la morte; a questo fortezza che rende capaci di ogni eroismo, tutti siamo chiamati.
Vi furono chiamati – ripeto – milioni di uomini e donne, giovani e anziani nel secolo appena trascorso. Possiamo e dobbiamo essere chiamati anche noi.
Il martirio è la forma più alta, anzi la forma “eccezionale” della santità, quella santità che rende simili a Cristo che invece di combattere contro Pilato e il Sinedrio, preferì morire per amore loro amore e per nostro amore e per amore è risorto, dimostrando che l’amore è più forte dell’odio e della vendetta.
Se, dunque, la santità non è altro che amore vissuto sino alla fine, si apre l’orizzonte senza fine della santità che è possibile per ogni uomo, che è proposta ad ogni uomo da quel Dio che nel Suo libero amore divino ci ha fatti a Sua immagine, perché fossimo «Santi come Lui è santo» (cfr. Lv 11,44; 1Pt 1,16).
Ma allora, se santi si è per vocazione divina, così come si nasce per vocazione (è Dio che ci chiama alla vita!), ne consegue che ci sono tanti modi di essere o diventare santi quanti sono i volti degli uomini, i loro – i nostri – caratteri e modi di essere.
Per questo il concilio ecumenico Vaticano II diceva che «tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via» ad essere santi.
Papa Francesco ci ripete queste parole, liberandoci da quella paura che sento spesso e che talvolta mi sembra una scusa: «Ma io non ce la faccio. È difficile per me, anzi è impossibile. Non sono capace delle penitenze di sant’Ignazio o delle lunghe preghiere di santa Teresa, ecc.».
È un sottile inganno – o una comoda scusa – quello di pensare che per essere santi bisogna essere “speciali”.
Papa Francesco ce lo ricorda e forse ci mette con le spalle al muro: «Non è il caso di scoraggiarsi, quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili» (n. 11).
I santi sono come testimoni, come esempi «utili per stimolarci e motivarci, ma non perché cerchiamo di copiarli, […] perché la vita divina si comunica ad alcuni in un modo e ad altri in un altro» (n. 11).
Qual è la mia strada? Qual è la tua strada? C’è un canto che mi pare ci aiuti a rispondere: «Siamo arrivati da mille strade diverse, in mille modi diversi, in mille momenti diversi … perché il Signore ha voluto così. Ci ha chiamato per nome, ci ha detto: “Siete liberi! Se cercate la mia strada, la mia strada è l’amore!”. Mille strade si possono percorrere, unico è il sentiero: l’Amore.