Dalla “Croce” alla “Luce”

Claudia Scilla: Collaboratrice Familiare del Clero diocesi di Treviso, già Coordinatrice regione Triveneto

Mi ci è voluta la “reclusione” a cui ci ha costretti la pandemia per poter partecipare ad una Via Crucis del Papa!

Normalmente in quell’orario molti di noi sono in Parrocchia per le Celebrazioni del Venerdì Santo; così con un misto di attesa e di stranezza mi sono ritrovata, per tempo, davanti alla TV. Molto è stato scritto sui vari momenti di preghiera che la “provvidenza” ci ha regalato  e concesso di vivere, con una intensità che mai avremmo creduto di poter sperimentare! Immagini e riflessioni che porteremo con noi per sempre… e che ad ogni Pasqua rivivremo; ma vorrei soffermarmi su quella Via Crucis così…particolare!

Attratti da quella Piazza vuota (come due settimane prima quando, sotto la pioggia, il Papa – solo in una Piazza deserta ma…gremita! – ha invitato tutto il mondo alla preghiera per la fine della pandemia), illuminata da fiaccole che segnavano il percorso della Via Crucis c’eravamo tutti, ancora una volta…e c’era tutto il dolore, lo sgomento, la paura del mondo. Una stazione dopo l’altra abbiamo potuto accostarci più da vicino, quasi come da una porta che si schiudeva e da quella fessura ci permetteva di gettare lo sguardo su  quelle realtà che “conoscevamo” per “sentito dire” ma che quasi mai avevano toccato così profondamente la nostra anima!

Dal detenuto che confessa che: “…non ho ancora perduto la capacità di piangere, di vergognarmi della mia storia passata, del male compiuto” ai genitori che, nonostante il peso della croce per l’uccisione della loro figlia, non si sono arresi al male ricevuto ma hanno fatto della loro vita una porta aperta perché “chi ha bisogno possa trovare l’amore di Dio che rigenera la vita!”

E ancora disperazione, vergogna, rimorso… ma in tanto buio e tanto dolore anche sprazzi di luce, gesti di speranza! E se un sacerdote, don Marco Pozza cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, ci ha aiutato a comprendere l’importanza per chi è dentro e ha sentito “il fascino del male o ne ha subito le conseguenze più gravi; ma che nella costrizione ha avvertito l’anelito della libertà che soffia nel Vangelo, il balsamo di Gesù sulle ferite del cuore, la speranza nella Risurrezione che arriva in frammenti di luce, in incontri fortuiti, nell’abbraccio misericordioso di Dio” (da www.vaticannews.va), un sacerdote – Mons. Gino Temporin*, all’epoca dei fatti Rettore del Seminario di Padova – raccontando la sua personale Via Crucis, ci ha portato dentro la realtà dolorosissima di chi è, ingiustamente, inchiodato su una croce… e non per poche ore… qualche giornata… qualche mese… ma 10 lunghi anni!!!

“Cristo inchiodato alla croce. Quante volte, da prete, ho meditato su questa pagina di Vangelo. Quando poi un giorno mi hanno messo in croce, ho sentito tutto il peso di quel legno: l’accusa era fatta di parole dure come chiodi, la salita ripida, il patimento inciso sulla pelle… Il mio nome appeso sulla porta del tribunale…costretto a dimostrare la mia innocenza senza essere colpevole. Ogni volta, nei tribunali, cercavo il Crocifisso appeso: lo fissavo mentre la legge investigava sulla mia storia… forse sarebbe stato meglio farla finita, poi però ho deciso di rimanere il prete che ero sempre stato… lo dovevo a me, ai ragazzi che ho educato negli anni del Seminario, alle loro famiglie. Mentre salivo il mio calvario, li ho trovati tutti lungo la strada: son divenuti i miei cirenei, hanno portato con me il peso della croce, mi hanno asciugato tante lacrime… e insieme a me tanti di loro hanno pregato per il ragazzo che mi ha accusato (…Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno…) non smetteremo mai di farlo.

Il giorno in cui sono stato assolto con formula piena… ho toccato con mano l’azione potente di Dio nella mia vita. Appeso in croce, il mio sacerdozio si è illuminato”.

Via Crucis, Via Lucis. Croce e Luce.

Nel dolore di Gesù che muore c’è la rinascita dell’umanità, nel suo martirio c’è la certezza della vita eterna.

La LUCE ha accompagnato quella sera del Venerdì Santo 2020… la Luce che ci conferma che si può ripartire dalle ferite… e anche dal male commesso o subìto… A noi, dopo quella esperienza di preghiera condivisa con milioni di persone, l’impegno a non voltare le spalle a nessuno, a saper perdonare, a non credere solo a chi accusa, a saper stare vicini come cirenei a tutti i crocifissi della storia!

“Con Dio nessun peccato avrà l’ultima parola”.

È la parola profumata di speranza che conclude le meditazioni, segnate dal dolore, ma aperte alla rinascita che solo in Dio può trovare senso.

(*Mons. Gino Temporin è l’Assistente ecclesiastico dei CFC della Diocesi di Padova)