I passi del dialogo


Don Gianluca Padovan – Sacerdote della diocesi di Vicenza – Vice delegato vescovile per il dialogo interreligioso – referente per il Triveneto del dialogo con i mussulmani


Ma il dialogo può essere una scelta?

Cari amici e familiari del clero, anzitutto vi saluto e vi ringrazio per la vostra presenza accanto a noi preti. Mi chiamo Gianluca, sono prete nella diocesi di Vicenza ed accanto ai normali impegni mi è stato chiesto di occuparmi del dialogo ecumenico ed interreligioso. Prima sono stato mandato a Roma per cinque anni di formazione specifica, ed ora sono rientrato in diocesi da quasi tre anni per mettere a frutto i miei studi.

Mio padre, che da qualche anno è diventato molto attivo nell’Associazione, mi ha fatto presente la richiesta di scrivere per voi dieci brevi articoli in cui presentare l’esperienza del dialogo ed approfondirla insieme; spero troverete interessante ed utile fare con me qualche passo nella storia e nell’esperienza che la comunità cristiana ha maturato abitando in questo mondo così complesso.

Come ho detto, per me il dialogo non è stato tanto una scelta, quanto la risposta ad una vocazione che mi ha raggiunto attraverso la mia Chiesa e i suoi bisogni: vivendo in un contesto sempre più pluralista, anche per la mia diocesi è diventato necessario avere qualcuno educato alla conoscenza delle altre religioni e dedicato a coltivare esperienze di incontro e di amicizia con tutti. Questo bisogno non è poi nemmeno così nuovo, infatti già prima di me un altro confratello se n’è occupato per molti anni.

Eppure, la storia del dialogo non comincia con le migrazioni moderne.

Il primo grande appello a vivere ed approfondire l’esperienza del dialogo fu rivolto alla Chiesa universale dal Santo Papa Paolo VI, il 6 agosto del 1964. In questa lettera che inaugura il pontificato, il Papa ricorda alla Chiesa la sua missione di “essere madre amorevole di tutti gli uomini” e per questo “deve approfondire la coscienza di se stessa”. Lascio alle parole del Pontefice trarre le conclusioni: 

«Una parte di questo mondo, come ognuno sa, ha subito profondamente l’influsso del cristianesimo e l’ha assorbito intimamente più che spesso non si avveda d’esser debitore delle migliori sue cose al cristianesimo stesso, ma poi s’è venuto distinguendo e staccando, in questi ultimi secoli, dal ceppo cristiano della sua civiltà; e un’altra parte e la maggiore di questo mondo, si dilata agli sconfinati orizzonti dei popoli nuovi, come si dice; ma tutto insieme è un mondo che non una, ma cento forme di possibili contatti offre alla Chiesa, aperti e facili alcuni, delicati e complicati altri, ostili e refrattari ad amico colloquio purtroppo oggi moltissimi. Si presenta cioè il problema, così detto, del dialogo fra la Chiesa ed il mondo moderno».

Già quasi sessant’anni fa, S. Paolo VI aveva percepito con chiarezza la necessità urgente di spronare la comunità cristiana a ritrovare dentro se stessa, nella propria storia e nella tradizione, le motivazioni e gli strumenti buoni con cui imbastire un colloquio amichevole con il resto del mondo.

Ma l’intuizione più preziosa del Papa è un’altra. Continuando la riflessione Papa Montini indica tre attenzioni fondamentali da curare dopo il Concilio: rispettare il valore della coscienza personale, avviare un vero rinnovamento delle abitudini ecclesiali, “studiare” il modo di entrare in dialogo con tutti. Ci soffermiamo ovviamente su quest’ultima espressione, che ci può sorprendere. Il dialogo va “studiato”, non è spontaneo e non si improvvisa. Per incontrare qualcuno e parlare davvero con lui abbiamo bisogno di prenderci il tempo anzitutto di conoscerlo, di comprendere quale storia abbia portato questa persona ad essere davanti a noi ora, quali abitudini lo condizionino e quali schemi lo guidino nel ragionare e nel sentire. E lo stesso lavoro dobbiamo farlo su noi stessi, perché spesso non ci conosciamo abbastanza e non sappiamo ben dire perché siamo qui e perché stiamo facendo quello che facciamo.

La Chiesa, per Paolo VI, ha un grande bisogno di fermarsi a riflettere, di prendersi il tempo per capire chi è lei, chi siano gli altri, e perché ci troviamo insieme a cercare di costruire una relazione buona e amichevole. In questa ricerca, che diventa momento di indagine interiore, “la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio”. Per Montini, il dialogo non è solo un’azione da compiere, è uno stile di vita, un modo di essere. Se in un contesto pubblico ed istituzionale sorridiamo, ci diamo la mano e parliamo amichevolmente, ma poi nel privato ci lasciamo andare a giudizi cattivi sull’altro, allora non abbiamo mai vissuto alcun dialogo.

Dialogare non significa fare cose, ma trasformare se stessi in persone sempre più simili al buon esempio che ci ha lasciato il Signore Gesù: uomini e donne pronti all’ascolto e al confronto sincero, tanto con chi ci viene incontro da amico quanto con chi ha domande scomode o vuole apertamente metterci in difficoltà. Gesù, lo sappiamo bene, non sceglieva i suoi interlocutori ma si rendeva disponibile ad incontrare tutti e spesso era lui per primo ad andare in cerca di occasioni per confrontarsi e crescere insieme nella fede.

Vorrei ora introdurvi ad un ultimo elemento sorprendente di questa lettera di Paolo VI del 1964: la chiara comprensione che il dialogo non inizia quando incontriamo persone non-cristiane o non-cattoliche. Agli occhi acuti di S. Paolo VI, il primo dialogo è quello che ciascuno di noi intesse nel profondo del proprio essere, quando si scopre credente si mette davanti a Dio. Per noi, uomini e donne di fede, la religione è il primo dialogo perché ci mette in relazione con Colui che è il più profondamente. Altro che si possa incontrare. Dio è diversissimo da noi creature, eppure ci ha fatti simili a Lui proprio per poter intessere con noi una relazione. Dio ci chiama all’amicizia con lui, al costruire un legame più forte di ogni altro, fino a diventare “figli nel Figlio”, “familiari di Dio e concittadini dei Santi”, come si esprimono le nostre Scritture.

Il dialogo cominciamo ad impararlo e praticarlo anzitutto nella preghiera e nello studio paziente della Bibbia, nel confronto con la vita di Gesù e di tutti quegli uomini e donne biblici che ci diventano appunto familiari, man mano che viviamo da cristiani ogni giorno. Per questo il dialogo non può essere un’opzione né qualcosa di particolare riservato a chi se ne sente attratto. Il dialogo, per un cristiano, è una chiamata che viene da Dio e si concretizza anzitutto nella relazione d’amore che ci chiede di intessere con Lui.

E poi, scendendo come dire sulla terra, il Papa vede le relazioni tra le persone alla luce di questa relazione fondamentale con Dio. Come Dio ci chiama a dialogare con Lui per essere salvati, così noi non possiamo separare la nostra salvezza da quella degli altri, e siamo chiamati a dialogare con loro “per mettere il messaggio cristiano nella circolazione dell’umano discorso”.  Un discorso davvero ecumenico nel suo senso più ampio: per Paolo VI, essendo tutti umani, siamo chiamati a dialogare anzitutto a partire da questa comune umanità. “Tutto ciò ch’è umano ci riguarda”, ricorda Papa Montini, e tutto quello che abbiamo in comune con gli altri, in quanto umani tra gli umani, ci ammonisce a costruire relazioni buone, amichevoli e addirittura fraterne.

Conosciamo bene il detto: “nessun uomo è un’isola”. Già questo basterebbe per comprendere che il dialogo non può essere una scelta; è una necessità, già solo per poter vivere in questo mondo dove non siamo mai soli. Se il dialogo ci incontra a partire dalla relazione con Dio, diventa poi inevitabile nella relazione con gli altri. E prima ancora di essere un dialogo interreligioso o intercristiano, è un dialogo interumano. Ed umani lo siamo e lo sono tutti, anche e per primi i nostri fratelli e sorelle cattolici. Il dialogo è necessario alla Chiesa per poter esistere, perché fa parte della sua struttura interna, del suo DNA.

Il cammino sinodale che la Chiesa italiana ha da poco cominciato è fatto di dialogo. Le nostre parrocchie, così piene di riunioni ed incontri, di Consigli Pastorali, Consigli per gli Affari Economici, riunioni di catechiste ed animatori, sono fatte essenzialmente di dialogo. La Messa stessa, in quanto Eucaristia, cioè rendimento di grazie, è un dialogo a molte voci, dove la comunità si riunisce e dialoga in se stessa, a partire dal saluto del prete che aspetta la risposta dell’assemblea. E poi tutte le preghiere sono costruite come dialogo con Dio, del quale attendiamo la misteriosa risposta.

Fratelli e sorelle, ho voluto cominciare con voi rileggendo qualche brano dall’enciclica di Paolo VI “Ecclesiam Suam”, perché ogni volta trovo in quelle pagine una spinta illuminata per camminare nel mondo di oggi. Il Santo Padre aveva saputo vedere con buon anticipo le sfide e le opportunità che la storia avrebbe messo sul cammino della Chiesa, ed ha trovato nel dialogo la cifra sintetica da prendere come guida.

Abbiamo bisogno di coltivare il dialogo anzitutto per essere cristiani, e poi per “fare Chiesa” assieme ai fratelli e alle sorelle. È allora naturale che portiamo questo stile del dialogo anche nelle relazioni quotidiane con ogni altra persona, e lo traduciamo in forme adattate anche per l’incontro con cristiani di altre confessioni, con i credenti di altre religioni, e con coloro che dicono di non credere affatto.

Ci conceda il Signore di trasformare noi stessi ad immagine di Cristo, che è venuto per essere una Parola viva di incontro con ciascuno di noi.

Numero di Gennaio 2022