Una piccola chiesa domestica

Da Cefalù – Melina Asciutto

Desidero presentare la testimonianza di una nostra socia, Enza Marzullo, che ha voluto condividere con il nostro gruppo di Collaboratori Familiari di Cefalù, il suo vissuto durante la malattia e poi la morte del fratello, don Lorenzo Marzullo, avvenuta lo scorso 5 dicembre, quando da poco aveva compiuto 66 anni. Don Lorenzo era un presbitero della diocesi di Cefalù, che dopo lunghi anni di servizio come parroco in diocesi, la vocazione missionaria lo portò in Ecuador, dove per diversi anni svolse il suo ministero pastorale nella foresta Amazzonica, rientrando poi nuovamente in diocesi quando la malattia bussò alla sua porta. Don Lorenzo era un sacerdote veramente innamorato di Dio, che ha vissuto la sua sofferenza in una fiducia totale nel Signore, arrivando a dire di vivere la malattia come una dimensione nuova ed affascinante del suo presbiterato.

TESTIMONIANZA DI ENZA MARZULLO

Il monaco trappista Thomas Merton dice in “Semi di contemplazione” che “ogni momento e ogni evento della vita di un uomo sulla terra getta un seme sulla sua anima”. Se noi accogliamo gli eventi che la vita ci offre, allora essi diventano semi che germoglieranno dentro di noi e porteranno frutto, se invece non li accogliamo, ma li subiamo essi vanno avanti lo stesso, trascinandoci alla deriva.

Sin da quando mio fratello tornò dall’Ecuador con un cancro, ho cercato, dopo il primo e ripetuti momenti di smarrimento, di vedere in quello che stava accadendo un’opportunità che avrebbe concorso al bene di tutti.

Lorenzo, per primo e con serenità, accolse il cancro che, in maniera molto ironica, chiamava Sbirulino. La sua serenità e la sua gioia interiore, che erano il fondamento della “soave” ma determinata battaglia che ha combattuto fino alla fine, mi hanno aiutato a stargli accanto, non guardando dall’esterno i momenti o i periodi di incertezza, di timore, di scoraggiamento che si presentavano, ma passandoci dentro, accogliendo le mie fragilità e nello stesso tempo agganciandomi fortemente al Signore, il mio Pastore. La sua serenità e la sua gioia interiore mi hanno aiutato a “condividere” la malattia, le terapie, gli effetti devastanti della chemio e della radio, le uscite sulla sedia a rotelle, l’immobilità, prima parziale e poi completa, a letto.

Sì, con la pace e con la gioia nel cuore, cercando di vedere in ogni fase della malattia non un’occasione di fallimento, di impotenza o di disperazione, ma un’opportunità di crescita e di maturazione. Ecco, per me stare accanto a mio fratello in questi sette anni e mezzo e nell’ultimo anno, notte e giorno, è stato un onore, un privilegio … è stata una grazia.

Insieme abbiamo vissuto questa esperienza assistiti proprio dalla grazia di Dio. Lorenzo diceva di avere sperimentato sin dal momento dell’intervento chirurgico la “grazia di stato”, ma dopo, dalla “grazia di stato” è passato – diceva lui – a uno “stato di grazia”, a uno stato perenne di serenità e di gioia in cui il Signore “suo pastore” non gli ha fatto mancare nulla.

Io devo dire che la sua presenza accanto a me mi ha fatto crescere, mi ha aiutato a comprendere che nella vita si deve scegliere l’essenziale e che è proprio l’essenziale che dà sapore al resto. Mi ha fatto comprendere che “Tutto passa. Solo Dio resta”. Mi ha fatto vivere come “ordinaria” una situazione che gli occhi umani vedono come “straordinaria” e problematica.
Ho sperimentato la fragilità e i limiti della natura umana, la paura del cancro che, inesorabilmente, avanzava, l’attesa, diverse volte disillusa, dell’efficacia delle terapie e l’aspettativa vana che potesse guarire.

Però nella mia debolezza ho sperimentato anche la mia forza che veniva dal Signore. Nei momenti in cui ero forte ho sperimentato che nel Signore e con il Signore non c’erano paure, non c’erano aspettative e che la preghiera di richiesta diventava o preghiera di gratitudine o semplicemente un rimanere nella cella interiore alla presenza del Dio datore di ogni bene.

Infine, ho compartecipato alla forte esperienza di cui egli stesso parla in un suo scritto, del grande dono che il Signore gli ha offerto dandogli l’opportunità di vivere il suo presbiterato in una “Chiesa” il cui nome era “chiesa domestica” e la cui conformazione era quella della “stanza di una casa”. Qui la “condivisione eucaristica” assumeva la dimensione del digiuno e del ritorno alla sua essenzialità e diventava ogni giorno evidente che ogni esperienza che la vita ci riserva, alla fine è un meraviglioso regalo che il buon Dio ci offre per darci una nuova opportunità.

Ebbene, ancora una volta ho avuto il privilegio di stargli accanto, in questa ultima fase della sua vita terrena, di essere testimone di questa esperienza, nella “chiesa domestica” della nostra casa, in un silenzio fatto di lacrime, di commozione e di grande pace interiore.

(Enza Marzullo)