UN VOLTO NUOVO DI CHIESA E UN VOLTO NUOVO DI PRETE

 

di Mons. Giuseppe Verucchi

Se io riuscissi a delineare un volto nuovo di Chiesa e di prete, voi mi direste: “Ma chi credi di essere?!” In 2000 anni non abbiamo scoperto il volto nuovo? Che cosa abbiamo fatto! Sarebbe inquietante se qualcuno ci venisse a dire che c’è un volto nuovo di Chiesa e di prete da scoprire! Avremmo sbagliato per 2000 anni? Gazie a don Pier Giulio per la sua introduzione, perché ha fatto un passaggio che spero riesca a penetrare nell’intimo dei nostri cuori.

Io imposterò la relazione in questo modo: farò un’introduzione con un esempio, scatterò 10 fotografie, cioè 10 punti sui quali mi fermerò e questi saranno i ‘tratti’ di una vita di Chiesa che siamo chiamati a vivere. All’interno di questa vita di Chiesa c’è il sacerdote che ne è il frutto e artefice, perché è lo strumento di cui il Signore si serve per rendere la Chiesa come lo Spirito la chiama ad essere.

E poi voi Familiari del Clero, uomini, donne, mamme, sorelle o persone di buona volontà che hanno fatto questa scelta, che siete all’interno della Chiesa e siete a fianco al sacerdote con un compito umile, discreto, ma preziosissimo.

Alla fine dei 10 flas-fotografia, concluderò e cominceranno i gruppi di studio che potrebbero essere anche il momento più interessante perché voi, rifacendovi alle cose che tento di dire, potreste vedere come concretamente questi valori che la Chiesa, il sacerdote sono chiamati a vivere, possano essere messi a servizio non solo del sacerdote ma del ministero del sacerdote affinchè la Chiesa sia quella che il Signore vuole.

Comincio dunque con un esempio: nella mia vita di prete e di Vescovo, ogni tanto mi prendevo uno o più giorni e ‘scappavo’, andavo via con amici preti.

Una volta ci siamo fermati alla foce del Po, abbiamo preso un battello che ci ha fatto fare un giro bellissimo: abbiamo visto uccelli, erbe, alberi mai visti … e accanto a questo abbiamo visto un’acqua bruttissima! Un’acqua sporchissima: non so come i pesci potevano starci dentro! Vi verrebbe la voglia di bere una simile acqua? Non sia mai! Un altro anno siamo andati in Piemonte, eravamoalla ricerca di un Santuario però ci imbattemmo con l’indicazione che portava alle sorgenti del Po. Dalla geografia studiata a scuola ricordavo che il Po nasce dal Monviso e quindi siamo andati alla ricerca di quella sorgente. Abbiamo trovato un’acqua freschissima, bellissima! Badate che quell’acqua è poi quella che arriva alle foci, a Goro, dove l’acqua è sporca, imbevibile! Lassù è solo acqua buonissima, che disseta, ma man mano che scende … povera acqua! Si arricchisce di impurità e quindi si impoverisce. Se l’acqua di Goro volesse diventare ‘nuova’ dove dovrebbe andare? All’origine!

Ecco allora che la frase “Un volto nuovo di Chiesa per un volto nuovo di prete” io la intendo in questa maniera: più sei antico più sei nuovo! Dove è scritto che quello che inventiamo noi è migliore di quello che ha inventato Gesù Cristo!? Più sei antico più sei nuovo, più sei vicino all’originale, all’origine, al progetto originale, più sei nuovo, più sei fedele al progetto del Signore. Anche noi preti, più siamo vicini al cuore di Gesù da cui scaturisce il sacerdozio ministeriale, più siamo nuovi nella Chiesa e nel mondo. Ma c’è un problema! Bisognerebbe che l’acqua del Monviso, scendendo, andasse ad irrigare i campi del Piemonte, poi della Lombardia, dell’Emilia, fino ad irrigare e far diventare nuove tutte le zone che attraversa. Una novità raccolta dalla fonte, una novità portata nel luogo, nello spazio e nel tempo.

Qui sta il difficile: rimanere nuovi nello spazio, quindi in tutto il mondo, nel tempo dopo 2000 anni.

E’ forse in questa ‘novità’ come fedeltà all’origine e come fedeltà all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo che si gioca la nostra riflessione.

Giovanni nel suo vangelo dice: “Vi do un comandamento nuovo, che è antico”. Perché è nuovo questo comandamento? Perché è antico! Cioè è il comandamento di Gesù, se non addirittura il progetto del Padre. Anche il comandamento nuovo dell’amore reciproco ha la sua sorgente nella vita di Gesù, nell’insegnamento di Gesù, ma la novità del comandamento nuovo ha la sua ragion d’essere nella comunione Trinitaria. Più siamo vicini a Dio, l’Agape, la Koinonia, l’amore di donazione e di comunione, più siamo radicati nella Trinità più siamo capaci di vivere il comandamento nuovo.

Ora incomincio a scattare le fotografie!

Perché la Chiesa abbia un volto nuovo – in ogni tempo e in ogni luogo – simile a quello antico, che cosa  è chiamata ad essere?

1° fotografia: Santità di vita

Chi è che ha influito di più in questa terra del Piemonte, dove ci troviamo per questo Convegno dei Familiari del Clero? Nel 1800: S.Giovanni Bosco, Mamma Margherita, Maria Mazzarello  Cafasso, il Murialdo, S.Domenico Savio, ecc… Il Murialdo è stato un grandissimo; se San Giovanni Bosco aveva un angolo di pastorale giovanile, diremmo oggi, il Murialdo non aveva un angolo, ma un cerchio! Aperto a tutte le età, a tutte le categorie! Io ho avuto modo di conoscere il Murialdo attraverso i Giuseppini: è stato un grandissimo personaggio!

In pochissimi decenni Torino, il Piemonte sono stati abitati da figure importantissime di cristiani, di preti, di mamme, di ragazzi che hanno trasformato l’ambiente. Chi sono i grandi protagonisti della storia? Fanno ridere i libri di storia che dicono di Alessandro Magno, Pietro il grande… I ‘grandi’ sono i Santi! Sono i Santi che hanno fattola storia, quella vera, quella del Regno di Dio che cresce. La storia dell’umanità, in senso positivo, non l’hanno fatta i grandi conquistatori o quelli che hanno ucciso di più. I grandi sono i Santi. Allora qual è una prima caratteristica della Chiesa dal volto nuovo, del prete che vuole avere un volto nuovo? La santità di vita. Dice il Levitico: “Siate santi perché il Signore vostro Dio è santo”.

Qual è il motivo per cui tutti siamo chiamati alla santità?

Perché siamo immagine e somiglianza di Dio.

Matteo scrive: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Luca precisa: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste”.

Mettiamo insieme queste parole: siate santi, siate perfetti cioè grandi nella misericordia e nell’amore.

La santità di vita consiste nel rendere presente, nell’oggi e in ogni luogo della terra, da parte della Chiesa la bontà, l’amore e la comunione trinitaria.

Quand’è che noi riceviamo il dono della santità? Non domando quand’è che noi diventiamo santi. Mi sembra più importante che ci domandiamo: quand’è che cominciamo ad essere santi. Quand’è che entra in noi la santità. Se la santità è Dio, è la Trinità, è il Signore, è lo Spirito Santo, la santità entra in noi quando veniamo battezzati. E’ il battesimo che ci costituisce santi: c’è una santità oggettiva che non dipende da noi ma dal Signore, Padre e Santo  Spirito, che entrano in noi per purificarci e per riempirci della grazia della santità, dell’amore e della comunione trinitaria. Noi siamo costituiti santi, ma il problema è rimanere santi. Rimanere santi mentre passano gli anni, mentre arrivano le inclinazioni al male, mentre si fanno sentire le tentazioni, interne ed esterne. Allora sì che la santità diventa anche una conquista che ci permette di mantenere dentro di noi la comunione con il Signore impegnandoci a lasciarci guidare dalla forza dello Spirito per essere liberi e rimanere liberi dalle tentazioni del male. Dobbiamo difendere la santità che è dentro di noi e impegnarci a vivere quei doni che abbiamo ricevuto.

Quindi la santità è un dono ricevuto dall’alto ed è un impegno a difendere quel dono e a farlo entrare in tutte le realtà del quotidiano.

Prima caratteristica dunque, santità di vita.

Qual è il volto nuovo? E’quello antico!

Chiesa vuoi avere un volto nuovo? Sii santa!

Prete, vescovo vuoi essere dal volto nuovo? Sii santo! Sii quello che sei chiamato ad essere: come creatura di Dio, Padre, Figlio e Spirito, e come redento da Cristo Gesù, santificato dallo Spirito.

La vera riforma della Chiesa è la santità. I veri riformatori sono i Santi.

Ho letto nei libri di storia, per mia curiosità, del periodo del 1200. Sapete di chi si parla? Di Francesco d’Assisi, un piccolo uomo, neanche prete, che fa la storia del suo tempo e incide profondamente in questi secoli tanto che anche oggi sono moltissimi gli ordini e le spiritualità che si ispirano a S. Francesco. E l’altro che vive nello stesso periodo è S.Domenico. Tantissimi riformatori si sono presentati all’alba del 1200 per riformare la Chiesa e lo hanno fatto con libri, predicazioni, invettive; tantissimi movimenti sono sorti in quell’epoca  però sono tutti morti, finiti perché non erano animati dal Signore, dalla santità. Forse erano mossi dalla rabbia, dall’indignazione.

I veri riformatori sono stati S. Francesco, S. Chiara, S. Domenico. E’ la santità la vera novità della Chiesa: ci vogliono dei santi preti, frati, suore, laici, papà, mamme, giovani, ragazzi per rendere la Chiesa nuova, sempre più simile all’acqua della sorgente!

2° fotografia: una CHIESA CONTEMPLATIVA

Che cosa vuol dire? Chiesa che assomigli a Maria, la mamma di Gesù, che è in ascolto della Parola, che accoglie la Parola, che dice “eccomi”. Maria la mamma di Gesù che accoglie il dono dello Spirito, che accoglie il verbo incarnato dentro di lei, che nella vita è portatrice (va da Elisabetta) della ricchezza che ha dentro.  Che deve fare la Chiesa e all’interno di essa chiunque?  Ogni cristiano deve contemplare, vivere, trasmettere.

Una Chiesa contemplativa che si rifà a Mosè sul monte: Mosè sale sul monte e rimane a contatto con il Signore per parecchio tempo e quando scende i presenti non riescono a guardarlo in faccia perché il suo volto è talmente luminoso che vengono abbagliati, non riescono a sostenerne lo sguardo e debbono coprirsi gli occhi. Che cosa era successo a Mosè? Aveva vissuto, diremmo oggi, una esperienza fortissima di incontro con il Signore; aveva contemplato il Signore, aveva colto i doni del Signore e ne era stato trasformato, illuminato e questa luce la portava ai suoi amici.

Chiesa contemplativa  vuol dire Chiesa che sta davanti al Signore, che accoglie i suoi doni (la Parola, la Grazia, lo Spirito) e si lascia trasformare.

Icona di Chiesa contemplativa è Maria di Betania, la sorella di Lazzaro e di Marta. Maria di Betania icona, che almeno in due circostanze i vangeli ci tramandano.

Gesù, dopo aver raccontato la parabola del buon samaritano su chi è il prossimo, sale, arriva a Betania ed entra in casa di Marta e Maria. Sembra quasi che Marta abbia sentito la parabola perché ella si fa prossima di Gesù: aveva bisogno di mangiare e allora lei si fa prossima incominciando a preparare da mangiare.

Ma Maria si mette ai piedi di Gesù e lo ascolta, accoglie le parole di Gesù, l’amore di Gesù, la luce, i regali che escono dal volto di Gesù ed entrano in lei. Allora Marta dice a Gesù: “Ma non ti importa che Maria stia lì sfaccendata!” Marta ha fatto una cosa buona: serve Gesù, vive la parabola del buon samaritano, si fa prossima; Maria ha fatto la scelta migliore.

Che cosa vuol dire questo parlare di Gesù?

In paradiso il ‘soffritto’ non lo farai più, mentre quella vita di comunione che Maria sta vivendo in quel momento non le sarà tolta perché la comunione d’amore con il Signore la vivremo per tutta l’eternità. Vita contemplativa! Stare davanti al Signore! Accogliere i doni del Signore, lasciarci riempire dai doni del Signore per essere poi Maria ma anche Marta. La vita contemplativa sorgente della vita attiva, del servizio, di ogni iniziativa  pastorale.

Allora se c’è una Chiesa, un prete contemplativo, non per questo voglio portarvi in monastero, ma se non c’è contemplazione che cosa andiamo a portare?

Genitori volete educare alla fede i vostri figli e non vivete la vita nuova?

Se si vive una vita contemplativa, se si accolgono i doni del Signore si è arricchiti, si è purificati, si è ‘potenziati’ nelle qualità umane, si è elevati alla partecipazione divina. Perciò quando andiamo in mezzo alla gente potremo essere anche noi come Mosè dal volto luminoso. E la gente capta subito se diciamo delle cose in cui crediamo o se sono cose imparaticce. I testimoni della vita contemplativa sono ammirati e ascoltati dalle persone. Ciò che è decisivo nella vita pastorale di noi vescovi, preti di una parrocchia, è ciò che ognuno di noi riceve dall’alto.

Questo è il  volto nuovo. Non sono cose nuove! Vi ho parlato di Mosè, di Maria, di Marta, di Gesù.

3° fotografia:

La prendo dagli Atti degli Apostoli al capitolo 2, 42-48; è una descrizione della prima comunità cristiana negli aspetti più belli, poi parlerà anche degli aspetti meno belli, dei limiti, dei peccati, perché gli Atti degli Apostoli non sono la descrizione idilliaca della comunità cristiana bensì la descrizione reale, concreta.

Dice Luca: “Coloro che arrivarono alla fede e furono battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli Apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.”

 Erano perseveranti:

– nell’ascoltare l’insegnamento degli  Apostoli,

– nella comunione, 

– nello spezzare il pane

– nelle preghiere.

Io le chiamo le quattro assiduità, le quattro perseveranze, le quattro caratteristiche fondamentali che la comunità cristiana vive.

Perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli: oggi diremmo nell’ascolto della Parola di Dio. Erano perseveranti nella comunione; la vecchia traduzione diceva ‘nella comunione fraterna’ la nuova dice ‘nella comunione’. Erano assidui nello spezzare il pane, che è l’Eucarestia, è il prendere il pasto in comune con gioia e semplicità di cuore, e poi erano perseveranti nelle preghiere. Vediamo le conseguenze di una comunità che vive queste quattro assiduità: un senso di timore era in tutti (timore che non è la paura). Il timore nel senso di chiedersi ‘cosa sta succedendo?!’ è un misto di amore, gioia, stupore, ma anche timore perché il Signore sta operando. Un senso di timore era in tutti e segni e prodigi avvenivano per opera degli apostoli. Prodigi e segni sono la conseguenza ed avvenivano per opera degli Apostoli perché c’erano le quattro assiduità!

Tutti i credenti stavano insieme, avevano ogni cosa in comune, vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Questa è la comunione fraterna nella condivisione dei beni che è frutto di una comunione di fede, di amore. Una comunione con Dio e una comunione fraterna è il risultato, il frutto di questa comunione!

“Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati”.

Vogliamo essere una Chiesa missionaria? Vogliamo che altri entrino a far parte del Regno di Dio, della Chiesa?  Qui abbiamo la strada. ‘Godevano il favore della gente’, la stima della gente perchè  la gente vedeva come vivevano, la novità di vita che vivevano, ma la novità di vita da che cosa dipendeva?

Una Chiesa che vuole essere nuova anche oggi deve dare priorità alle quattro assiduità. Priorità vuol dire ‘prima di tutto’ perchè anche se facciamo tante iniziative, tante attività, l’obiettivo non è in esse, ma sta nel riportare tutto alla sorgente che sono le quattro assiduità.

Come fare perché le nostre comunità, le parrocchie, le associazioni, movimenti,

gruppi, arrivino alle quattro assiduità? Ogni realtà dovrà trovare la sua specifica risposta, ma sappiamo che la sorgente dell’acqua purissima è nelle quattro assiduità. Quindi dare importanza all’ascolto della Parola di Dio, la ‘lectio divina’,  la partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa in particolare la partecipazione all’Eucarestia e al sacramento della confessione.

Io sono stato molto fortunato: nelle parrocchie dove sono stato avevo tanti laici che facevano tutto quello che loro potevano svolgere, anche l’aspetto amministrativo, io non sono mai andato a fare un’operazione in banca! Tutte le opere per campi sportivi, ecc. tutto avevo sottocchio ma chi le portava avanti erano i laici. Scrivere al computer, ciclostilare, imbustare, ecc. Solo così io potevo dedicarmi allo specifico del prete: incontrare la gente, confessioni, direzione spirituale.

Io credo che quando le persone si lasciano conquistare dalla Parola, si lasciano guidare dal Signore, si confessano, ricevono il perdono dei peccati, vivono una maggiore comunione con il Signore e con i fratelli, allora sono anche disponibili  ad impegnarsi in parrocchia nelle mille attività. In questo modo il prete ha la possibilità di vivere il suo preciso ministero: stare in mezzo alla gente, ascoltare la gente, e fare ciò che spetta solo a lui: confessare, celebrare, guidare nella preghiera, suscitare ministeri e vocazioni. “Chiesa dal volto nuovo”: vedete come non c’è nulla di nuovo?! Questo volto nuovo lo troviamo negli Atti degli Apostoli!

4° fotografia: la COMUNIONE CON IL SIGNORE, CON LA TRINITÀ, CON I FRATELLI (At. 4, 32-34)

“La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”

Comunione fraterna, mi spiego. La Trinità ha tantissimi valori che cerchiamo di esprimere balbettando, ma ciò che è stato rivelato della Trinità, l’uomo maschio e femmina non è stato fatto a sua immagine e somiglianza? Gesù non è venuto per portarci alla partecipazione della vita divina?  E se la vita trinitaria è vita di comunione,  la nostra vita di creature umane, la nostra vita di credenti in Cristo, di animati e guidati dallo Spirito, che tipo di vita sarà? Una vita di amore e di comunione. La comunione con il Signore facilita in noi il vivere la comunione tra di noi. Ma allora perché ci sono tante divisioni? Se noi per creazione siamo chiamati a vivere ad immagine e somiglianza di Dio, per redenzione e santificazione siamo chiamati a vivere la comunione, allora perché ci sono le divisioni?!

Accenno solo: diavolo, in greco “diabulos”- che viene da un verbo dia-ballos – significa spaccare, dividere, buttar giù! E’ il mestiere che il diavolo sa fare benissimo! Il mestiere che desidera fare di più! Il diavolo, il divisore.

E da chi divide? Prima di tutto l’uomo e la donna da Dio perché sa che una volta diviso l’uomo da Dio è già nelle sue mani. Poi divide l’uomo dentro di sé, tra quello che pensa e quello che fa, tra i progetti buoni e quello che riesce a realizzare. Poi divide l’uomo dalla donna, poi divide i matrimoni, le famiglie, i preti, i frati e le suore, divide anche i vescovi; è il mestiere del diavolo.

Noi dovremmo entrare in collaborazione con  il diavolo? Siamo pronti a dire di no, però tutte le volte che siamo strumenti di divisione siamo strumenti di quell’azione malefica. Quando Gesù intraprende il viaggio verso Gerusalemme per realizzare il progetto del Padre fino alla fine, Pietro si mette contro e gli dice: “Eh no, tu a Gerusalemme non ci vai perché ti vogliono uccidere”. Ma Gesù che cosa ha detto a Pietro? “Ma tu, Pietro, vuoi dividere me dall’ubbidienza al Padre mio? Torna indietro, al tuo posto! Pietro non metterti in testa di essere tu a guidare me! Il tuo posto è dietro di me. Vuoi venirmi dietro? Allora vai dietro. Non dividermi dal Padre mio”. Alla sera Gesù è ancora più forte; quando si sono radunati in casa Gesù chiede ai suoi discepoli: “Di che cosa stavate parlando lungo la strada? Su chi fosse il primo? Fatevi servi!”

Quarta fotografia: comunione con il Signore per vivere, guidati da Lui, la comunione fraterna. Il diabulos  divide; l’amore del Padre, Cristo redentore, lo Spirito Santo uniscono. Impegnamoci nella comunione fraterna con la pace nel cuore, col desiderio dentro di noi di vivere l’amore del Signore e l’amore trinitario, mettendoci all’interno della società per far crescere una comunità cristiana che abbia come caratteristica la comunione con il Signore e la comunione tra i fratelli.

5° fotografia: la CHIESA DELLE OPERE BUONE

Matteo 5, 14-16  “Voi siete la luce del mondo, non può restare nascosta una città posta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il  moggio ma sul candelabro e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.”

Quando Gesù dice “può una città posta sul monte rimanere nascosta?” chissà dove si trovava. Io lo immagino sulla barca nel lago di Galilea. Guardando a nord, a 800 m sul livello del mare, c’è una delle città più alte della Terra Santa e si chiama Safed. Oggi è una città dalle case bianche  e nei momenti di sole, di luce, dal lago di Galilea la si vede bella, chiara e viene spontaneo dire ai pellegrini guardate un attimo lassù: ‘può restare  nascosta una città posta sul monte?’ No. Tutti la vedono!  Ritorniamo alla frase di Matteo che riporta l’insegnamento di Gesù: “Voi siete la luce del mondo”. Non dice voi siate, ma siete dal momento che siete miei discepoli, siete con la vostra vita, la gente vi vede. Che cosa vede la gente? Certamente non quello che abbiamo dentro, ma guardando le opere che facciamo vede quello che siamo dentro. Le persone vedono le vostre opere buone, stando alla lettera Matteo dice ‘belle’; allora in che senso ‘buone’?

Nel senso che sono opere, comportamenti, parole, che derivano dalla comunione con il Signore. Opere buone non è il buonismo,  ma è l’opera che è riflesso del vangelo vissuto, quindi un’opera coerente con il progetto di Dio, con Gesù, che riflette la sua fedeltà al Padre. Nella vita significa riflettere la fedeltà al Signore che abbiamo dentro e allora quelle opere sono ‘calos’, cioè un’opera bella, autentica, buona.

Quali sono le opere buone che si dovrebbero vedere nella Chiesa, in noi preti, vescovi, religiosi/e, che vivono una grande capacità d’amare? Nessuno me lo toglie dalla testa: il prete deve essere bravissimo, ‘super’ nella capacità di amare tutte le persone. Noi qui siamo nella città di don Bosco: cosa diceva ai suoi pretini giovani che intendevano seguirlo?  “Non è sufficiente che voi stiate sul muricciolo a sedere, a parlare tra di voi mentre i ragazzi sono nel cortile a giocare. Dovete stare in mezzo!” Quando incominciavano a stare in mezzo ai ragazzi e a giocare con loro, don Bosco diceva: “Non è sufficiente che stiate in mezzo a loro, dovete amarli! Amarli non perchè sono ‘amabili’, ma perché lo diventino! Non perché sono buoni, ma perché lo diventino! Non perché sono cristiani, ma perché lo diventino”! E quei pretini erano convinti di essersi sforzati abbastanza, di avere già fatto tutto, ma Don Bosco li chiamava e diceva ancora: “Non è sufficiente che stiate in mezzo ai ragazzi e li amiate, ma è necessario che loro sentano che voi li amate”! E’ questo che fa’ la differenza.

Quanti preti, vescovi, papà e mamme dicono “noi  amiamo la nostra gente, i nostri figli!” Ma non è sufficiente. Che tu abbia l’idea, la convinzione di amarli, che tu faccia lo sforzo di amarli non è sufficiente. Bisogna che loro sentano che tu li ami, solo allora incomincia la missione educativa, perché se si sentono amati seguono l’insegnamento di Gesù e quello che tu dici. Dunque quali sono le opere belle, buone, vere, della Chiesa di sempre, non solo di oggi?

Una grande capacità di amare, di accogliere alla maniera di Gesù, che diceva all’adultera “Ti voglio bene, ti perdono, va e non peccare più!” Gesù non accoglieva i peccatori per lasciarli come erano ma perché si sentissero amati e cambiassero vita.

Quando si dice Chiesa accogliente possiamo essere fraintesi: intendiamo una Chiesa accogliente come faceva Gesù che amava, pregava e aiutava le persone a cambiare vita; una Chiesa dove le persone sono sincere: queste sono qualità che per un prete, per un cristiano sono importanti. Vi ricordate l’incontro tra Gesù e Natanaele? Di lui Gesù dice: “Ecco un uomo in cui non c’è inganno!”

Un uomo sincero! Nella mia Romagna c’è un’interpretazione della sincerità che a me non piace. Qualcuno dice: “Quello che ho sulla punta della lingua lo dico!” Questa non è sincerità, semmai è parlare in maniera incontrollata. Sincerità vuol dire la sincerità della tua vita di fede, la sincerità tra quello che pensi e quello che dici, la coerenza e soprattutto che quello che dici sia vero. Altrimenti taci, perché se ciò che dici non è vero sei bugiardo! La sincerità nella Chiesa: che la gente sappia che se dico una  parola è quella vera. Capacità di amare, accoglienza, sincerità, coerenza, fedeltà alla parola data e poi ottimismo, suscitare speranza, dare serenità. Cristo è  risorto e proprio per questo, per aver vinto la morte, il peccato, aver vinto sul diavolo possiamo sperare e possiamo essere ottimisti. I brontoloni, i lamentosi, vadano al macero.

Perché san Francesco era contento, forse perché non c’erano mali al suo tempo? Era lieto perché Cristo è risorto! La letizia, la speranza, l’ottimismo, la gioia. Potete immaginare quando la gente viene in chiesa e vede il vescovo, il prete contento, sereno, che accoglie con una parola di ringraziamento, con una parola fraterna… allora la gente sente di respirare un clima diverso. Se invece il prete richiama perché c’è chi arriva in ritardo o perché non stanno attenti non va bene: dobbiamo ricordare che il primo minuto di un incontro, di una celebrazione contribuisce a far andare in una direzione o al suo opposto! Se mi sento accolto dal pastore che è sereno, che mi vede volentieri, oh che bello! Posso respirare un po’ di aria nuova, fresca, rispetto a quella di casa, del lavoro e guardate che oggi è importantissimo essere ricchi in umanità.

6°fotografia: CHIESA CHE EVANGELIZZA

Quindi Chiesa missionaria, Chiesa mandata, che sa di essere nata missionaria, che sa di essere mandata.

L’icona della Chiesa missionaria è Maria. Maria, piena della benevolenza del Padre. Piena dello Spirito Santo, portatrice di Gesù Verbo incarnato, si mette in viaggio e arriva in fretta da Elisabetta. Perchè in fretta? Va in fretta perché ha una cosa bella da comunicare con la vita, con le sue parole, con la sua presenza. Appena arriva in casa di Elisabetta, ancora prima di parlare, la prima azione missionaria di Gesù fa effetto: il bambino incomincia a ‘danzare’. La Chiesa nasce missionaria per andare ad annunciare il vangelo, non nasce per stare ma per andare. Papa Francesco dice ‘una Chiesa in uscita’. E’bellissimo, ma Papa Francesco non fa altro che dire quello che ha detto Gesù ‘Andate in tutto il mondo’. Gesù non ha mai detto ‘state’! Certo ha detto ‘state davanti al Signore, state in adorazione’ ma poi andate! Non ha detto state in canonica, non ha detto a me vescovo stai in arcivescovado, sempre! A me ha detto vai! Noi vescovi, preti, Chiesa, dobbiamo andare, muoverci.

Vi ricordate cosa disse Gesù all’indemoniato gadareno? Dopo essere stato guarito chiede a Gesù: “Posso seguirti, posso diventare il tredicesimo apostolo?” Gesù gli risponde in modo che a prima vista può sembrare offensivo, ma poi diventa bellissimo: “Tu devi andare nel tuo ambiente e là racconta ciò che io ti ho fatto”. Sembra che Gesù dica ‘non ti voglio’, ma io leggo anche qualcos’altro, cioè mentre questi che sono con me hanno ancora bisogno di seguirmi per diventare apostoli, tu hai già ricevuto abbastanza per esserlo! Sei già arricchito dei miei doni, sei già qualificato per andare nel tuo ambiente a raccontare ciò che io ti ho fatto.

Vai a raccontare e diventa mio apostolo. Abbiamo bisogno di una Chiesa che sia quel che era alla sorgente: missionaria, che vada. Poi mi rendo conto che siamo sempre meno preti; allora come andare? In che modo io, prete,  posso dividere il mio tempo, le mie energie per formarmi e crescere, per formare i laici, il cerchio ristretto delle persone  che collaborano (come faceva Gesù con gli Apostoli) e poi che tempo ed energie dedicherò per stare con la gente? Se io mi preoccupo di essere un prete contemplativo, un prete che forma, un prete che sta in mezzo alla gente per quanto può, allora anche la comunità crescerà con quella impronta ma è importante che noi scopriamo la missionarietà della Chiesa.

7° fotografia: CHIESA MINISTERIALE

Dal momento che nella Chiesa lo Spirito Santo dà doni diversi a ciascuno, doni e capacità che ci vengono anche dalla natura umana, dalla formazione essi vanno colti. Bisogna scoprire i doni che ognuno di noi ha. Provate a pensare l’opera di discernimento da fare con gli adolescenti! E’ importante che genitori, catechisti, educatori, animatori, sacerdoti si pongano accanto agli adolescenti e a tutte le persone per aiutarli a scoprire il dono/i doni che hanno. Il dono che ciascuno ha deve essere accolto ed essere messo a frutto (parabola dei talenti).

Un dono vissuto può diventare un servizio, un ministero. Poi ci sono indirizzi diversi: le vocazioni, i ministeri ordinati, i ministeri istituiti, i ministeri di fatto; sono distinzioni importanti ma a noi interessa che la Chiesa sappia valorizzare il dono di ognuno, che il sacerdote sappia aiutare ognuno a scoprire il proprio dono, a farlo crescere e a metterlo a servizio. Una Chiesa ministeriale è una Chiesa che fa crescere la ministerialità, fosse anche solo il servizio di pulire le tovaglie in chiesa, di pulire il pavimento della  chiesa, di tenere in ordine le aule del catechismo. Tra i ministeri c’è anche quello d’essere accanto al sacerdote: preziosissimo per aiutarlo, per condividerne la vocazione, per essere a servizio  perché lui possa svolgere meglio il suo ministero. Delicatissimo questo ministero ma è un ministero, è un servizio. Il servizio di catechista, di animatore… ci sono tanti compiti-servizi! Se noi, vescovi e preti, prendiamo sul serio i doni dello Spirito dobbiamo riconoscere che ad ognuno vengono offerti, ognuno ne ha. Quindi il mio compito di prete, di vescovo è quello di aiutare i laici a scoprirli, ad accettarli e a viverli. Allora può nascere una Chiesa ministeriale. Dopo può venire il problema o una cosa bella: problema se uno vive il ministero secondo la logica del ‘comune’: cioè vado al potere e così comando io e guai chi mi tocca!

E’ un pericolo che può manifestarsi! Il compito nostro di pastori è quello di aiutare le persone che vivono un ministero o un servizio a viverlo nella comunione con il Signore, con umiltà e col desiderio che altri condividano il compito che egli stesso svolge. Faccio un esempio: in una parrocchia una ragazza suona, canta, fa tutto lei! Oppure chi prepara i fiori, l’altare, ecc. pensa che solo lui sa fare. Questo ci può deviare! Vivere il servizio come un ‘potere’ non è poi così difficile. Ma tornando alla ragazza un giorno le dissi: “Ti do una penitenza: in sei mesi, massimo un anno, prepari sei ragazze che imparino a suonare e cantare e  tu starai a guardare e a sostenerle e parlerai loro della Chiesa ministeriale. Se fai tutto tu, capisci che spegni i doni di altri? Che senso ha che tu faccia tutto!?  Se il Signore ti ha dato un dono è perché vedendo te altri scoprano di averlo”.

Non vi pare che questo sia anche il discorso delle vocazioni? Vedendo che viviamo vocazioni diverse, ognuno potrebbe avere il desiderio di viverle.

Dopo un anno le sei ragazze hanno incominciato a suonare e a intonare i canti; la ragazza poi si è sposata, ha avuto figli e quindi non avrebbe potuto essere lei a mandare avanti il servizio. Se lei non avesse suscitato la voglia a quelle sei ragazze, chi ci sarebbe stato dopo a cantare e suonare?

E’ solo un esempio, ma il compito di noi preti in una Chiesa ministeriale è veramente anche questo: aiutare le persone a scoprire  e valorizzare il dono, ad accoglierlo e a viverlo. E poi sostenere le persone, rimotivarle, far sentire loro che siamo vicini, che vogliamo loro bene, che siamo contenti quando svolgono il loro ministero come servizio, in umiltà.

8° fotografia: una CHIESA DALLE RELAZIONI BELLE, VERE, SERENE, PULITE

 Una Chiesa all’interno della quale le relazioni tra le persone siano belle! Guardate che nelle grandi aziende fanno dei corsi per ottimizzare i rapporti tra le persone. E’ assodato che quando c’è un’azienda dove i rapporti tra le persone sono sereni, belli, l’azienda produce di più! Ma dato che noi non abbiamo un’azienda ma lavoriamo per il Regno di Dio, a noi interessa che la missionarietà, la testimonianza della Chiesa sia al top, che le relazioni nella Chiesa siano belle!

Voglio essere preciso: relazioni belle tra noi vescovi. Io vengo dall’Emilia Romagna e ora sono emerito. Noi vescovi ci trovavamo tutti i mesi ed era bellissimo.

Ci si trovava volentieri tanto che noi della Romagna ci trovavamo un’altra volta al mese, solo noi, per parlare di problemi specifici del nostro territorio e soprattutto per parlare di quello che avevamo dentro! La fraternità era davvero grande e ognuno ‘buttava’ fuori i pesi, le scontentezze che aveva dentro. Bellissimo! Io ricordo quegli incontri con nostalgia. Sebbene alla fine non si fossero risolti i problemi, si sentiva la gioia di averli condivisi. Questa è comunione fraterna, tra noi vescovi.  Tra preti nella stessa parrocchia: fraternità, il volersi bene, il dialogare, il condividere, l’aiutarsi. Preti anziani, preti giovani, diversi, perché non trovarsi insieme a parlare, a condividere, almeno qualche volta!? Se fosse possibile fare anche delle piccole comunità! Io ho sempre vissuto con altri preti: ero cappellano e vivevo col parroco, ero parroco e avevo il cappellano e anche qualche prete anziano che mi aiutava. Per me è stato normale, bellissimo.

C’è bisogno di vivere una qualche forma di fraternità per non asfissiare, per rimanere come vuole il Signore, cioè ‘presbiterio’. Non mancare mai agli incontri diocesani  o vicariali; la non partecipazione deve essere un’eccezione! Sapete perché ve lo dico? Perché voi Familiari, avete un ‘potere’, un servizio particolare da svolgere: incoraggiare, ricordare, rassicurare che per il telefono, per l’accoglienza ci siete voi, lui può andare tranquillo. Ricordatevi che se incomincia a non partecipare è finita! Il prete si chiuderà sempre più nel suo guscio.

Dov’è il ‘presbiterio’? Il prete prima di essere parroco in una parrocchia è ‘presbiterio’, siamo famiglia attorno al vescovo, siamo uno col vescovo e io prete voglio rimanere in comunione col vescovo, altrimenti un ramo staccato dall’albero secca! E’ seria la cosa: comunione tra noi preti, comunione tra i laici, comunione nella famiglia, comunione anche tra i Familiari e tra Familiari e i preti.

Quando ci sono degli incontri per i Familiari (almeno quelli diocesani, regionali) cercare non solo di non mancare, ma far venire anche altri che non vengono.

Se avete la macchina andate a prenderli, incoraggiate a partecipare. La comunione fraterna è già una testimonianza: ecco la Chiesa dal volto antico e quindi nuovo!

9° fotografia: CHIESA IN MEZZO ALLA GENTE

Dove è nata la Chiesa? E’ nata sul lago di Galilea, sulla riva; è nata sulla barca, è nata sui campi, è nata in casa di Pietro, di Lazzaro, Marta, Maria. Addirittura le prime comunità cristiane non avevano un ambiente dove trovarsi, andavano in una casa che incominciò a chiamarsi casa-chiesa: “domus aecclesiae”.

A Cafarnao ci sono ancora le fondamenta della casa-chiesa in casa di Pietro.

La Chiesa è nata in mezzo alla gente, per la gente, la  Chiesa è nata popolare.

La Chiesa comunità parrocchiale, che è una comunità di credenti che vive in mezzo alle case, negli ambienti di lavoro, è una Chiesa che deve continuare a vivere lì e a svolgere la sua missione in mezzo alla gente.

In Italia, nonostante tutto siamo ancora una Chiesa popolare. Nei paesi del nord purtroppo non è più così. Papa Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona disse: “Voi Chiesa che siete in Italia siete un esempio per le altre Chiese e avete un compito in Europa e nel mondo”. Subito non avevamo capito bene che cosa volesse dire, ma quando siamo andati a Colonia, a Madrid per le ‘giornate della gioventù’ io ho incominciato a capire. In Olanda, sorgente di tantissime vocazioni missionarie… Mi trovo un giorno a Loreto e parlo col vescovo Comastri, ora in S.Pietro, che mi riferisce la richiesta di un vescovo dell’Olanda: “Mi ha chiesto se ho due preti, uno per fare il rettore del Seminario e uno per fare il vicario generale!” In quei Paesi la Chiesa sta scomparendo, vendono le chiese. E’ importante che conosciamo che cosa sta succedendo vicino a noi! La scelta di fare la giornata mondiale della gioventù a Colonia (in Germania, la terra di Benedetto XVI) è stata presa proprio perché il Papa voleva aiutare quella Chiesa a respirare un’aria diversa. Dobbiamo guardare con ottimismo alla Chiesa che è in Italia perché è ancora popolare, è ancora in mezzo alla gente, è ancora praticata, è ancora conosciuta dalla gente sebbene oggi si faccia più fatica.

E’ vero che una volta il centro del paese era il campanile, mentre ora i campanili, i centri sono tanti; però se noi aiutiamo le persone ad essere testimoni in mezzo alla gente, la Chiesa continuerà ad essere in mezzo alla gente.

10° fotografia: VIVERE ALCUNI VERBI

Ve li dico ma non ve li spiego perchè il tempo è tiranno!

Una Chiesa che vive il verbo amare, che vive la vita di fede, che prega, che resta nella gioia, che parla,  che racconta, che accompagna le persone al Signore.

Conclusione.

Quando io ho nominato il mio segretario, un polacco, gli ho detto: “Sei tu che riceverai le telefonate, sei tu che andrai ad aprire la porta; il mio volto, la mia voce sarai tu. Se tu hai una voce accogliente sono io che ho la voce accogliente; se tu saluti le persone con serenità e le accogli bene sono io che le accolgo con serenità. Se tu me le tratti male sono io che le tratto male!” Il vescovo di Modena ha cambiato da poco il segretario e vedendolo gli ho detto: “Stai attento perché tu sei il volto della diocesi, del Vescovo; sei gli occhi, le orecchie, la bocca del Vescovo!” E lui mi ha ripreso: “Non esageri Eccellenza!” No, è così, perché la gente che si sente accolta parlerà bene dell’arcivescovado, del vescovo.

Avete capito che cosa vi voglio dire, Familiari del Clero. Anche voi siete il volto, gli occhi, le orecchie, la bocca del parroco.

Siate bravi, chiedetelo nella preghiera, nel far vedere il volto di un prete e di una Chiesa sereno e accogliente.

Non potete trattar male le persone!

Mons. Giuseppe VERUCCHI