ABITARE L’AVVERSATIVA

 

  1. La congiunzione avversativa.

L’avversativa è una congiunzione provocatoria. Infatti essendo una congiunzione congiunge, cioè è in  relazione con quanto precede, ma in quanto avversativa distingue, contrappone, impone un cambiamento. Le congiunzioni avversative sono, per esempio, però, ma, tuttavia.

Le congiunzioni avversative sono care ai profeti: uomini di Dio che sono in rapporto profondo con il popolo di Dio eppure lo contestano, lo rimproverano, lo chiamano a conversione.

Le congiunzioni avversative sono utilizzate con forza straordinaria da Gesù: così incarnato da farsi carico di tutta la storia e la tradizione del suo popolo e insieme così determinato nel contestare la sua mediocrità, la sua ottusa resistenza all’annuncio del Regno. “Avete inteso che fu detto … ma io vi dico”.

  1. I pericoli dell’avversativa.

L’avversativa è pericolosa se è motivata dalla presunzione di chi dice “io”, “io”: chi crede di poterla fare da padrone, perché ha avuto un incarico, chi, per far notare che esiste, deve contrapporsi, chi presume che l’importante sia essere originale, chi presume di capire le situazioni meglio di tutti gli altri, di giudicare le persone in modo più oggettivo di tutti, di avere soluzioni da proporre migliori di quelle di tutto il presbiterio, del Vescovo, del Papa e persino del Dio Altissimo.

L’avversativa è disastrosa se è motivata dal gusto di fare il contrario, di cambiare per cambiare, di farsi notare cancellando tutto quanto è stato fatto finora. È talora l’errore dei preti che squalificano tutto quello che ha fatto il predecessore e prima ancora di conoscere le vie del paese hanno già deciso quello che si deve cambiare.

  1. Abitare e praticare l’avversativa imitando Gesù.

Ma per chi vuole  seguire e imitare Gesù è impossibile non abitare nell’avversativa. Si potrebbe dire che l’avversativa è la vocazione degli apostoli e di tutti gli eletti per il ministero.

Folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare (Lc 5,15-16).

Abitare e praticare l’avversativa è la missione di far evolvere l’aspettativa in speranza. L’aspettativa ha come criterio il bisogno: cerca Gesù, o anche Dio o anche qualche misteriosa potenza rassicurante perché provveda al suo bisogno, perché guarisca le sue malattie. Poco importa chi sia l’interlocutore delle preghiere: l’aspettativa è mossa dal bisogno e vorrebbe convincere la potenza superiore a prendersi cura del suo bisogno. Mentre tutti lo cercano perché corrisponda alle loro aspettative, Gesù si ritira, Gesù va oltre … ma egli si ritirava. Vorrebbe aprire alla speranza. La speranza è accogliere la promessa, piuttosto che far valere il bisogno come una pretesa; la speranza nasce dall’annuncio del Regno e si lascia convincere a dilatare le proprie aspettative sulla misura delle promesse di Dio, della verità di Dio, di Dio stesso, Padre, Figlio, Spirito Santo.

Ecco perché il Signore ha mandato gli apostoli e i preti: per essere una avversativa che apre alla speranza del Regno e non si lascia rinchiudere nelle aspettative generate dal bisogno.

Abitare e praticare l’avversativa è la libertà di chi deve obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. La persuasione che solo l’obbedienza a Dio può condurre sulla via della salvezza, solo l’obbedienza a Dio introduce alla gioia perfetta, è la ragione del ritirarsi di Gesù: si ritirava in luoghi deserti a pregare. Non si ritirava per stare un po’ tranquillo, non si ritirava perché non sopportava la gente, non si ritirava perché aveva bisogno di un po’ di tempo per se stesso. Si ritirava per pregare, cioè per entrare nell’intima relazione con il Padre, per dire: sia fatta non la mia, ma la tua volontà.

Ecco perché talora i preti e i vescovi devono ritirarsi: per imparare l’avversativa nel nome di Dio, per obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, per obbedire a Dio piuttosto che ai propri progetti e alle proprie abitudini, piuttosto che ai progetti e alle abitudini della gente. Per obbedire a Dio e essere liberi.

Abitare e praticare l’avversativa è una impresa che talora fa soffrire molto, che costa caro. Capita infatti che per obbedire a Dio, si debbano fare scelte impopolari, dire parole antipatiche, dire “no” a quegli amici ai quali si vorrebbe dire sempre “sì”. E là dove sono imposti i luoghi comuni della banalità, del politicamente corretto, della difesa del proprio egoismo, dell’ossequio ai potenti del momento, proprio là capita che gli uomini dell’avversativa a malincuore e controvoglia e facendo violenza a se stessi debbano alzarsi in piedi e dire: “Io, però, non sono d’accordo!”. Gli uomini dell’avversativa sentono tutto il peso degli sguardi di disprezzo che attirano su di sé, soffrono dello sdegno che suscitano, percepiscono tutto l’imbarazzo di essere considerati come gente antipatica, ostile per principio a ciò che fa bene, a ciò che rende bella la vita, a ciò che tutti desiderano. Ma che cosa possono fare? Si alzano in piedi e di malavoglia, facendo violenza a se stessi, dicono: io però non sono d’accordo! Che altro possono fare? Sono uomini dell’avversativa!

Mons. Mario DELPINI