La Greggiale

Appeso ai muri delle nostre chiese (e anche sulla copertina della nostra rivista), in questo anno giubilare indetto da Papa Francesco, campeggiano già da vari mesi stendardi con il logo del giubileo. Misericordiosi come il Padre, recita la scritta accanto al disegno. Nell’immagine dell’uomo caricato sulle spalle, possiamo ritrovare l’idea di Gesù buon samaritano che si carica dell’uomo lasciato mezzo morto dai briganti, vittima anche dell’indifferenza del sacerdote e del levita. Il logo ci invita anche a vedere in questa scena Gesù come buon pastore, colui che si carica la pecorella smarrita per condurla nuovamente ad un pascolo sicuro prendendosi cura di lei.

La figura della pecora smarrita ci è molto cara e conosciamo bene come Luca la utilizza proprio all’esordio delle famose tre parabole sulla misericordia al capitolo quindici: Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? (Lc 15,4). Tutti ci siamo sentiti o ci sentiamo smarriti e bisognosi che il Buon Pastore venga sulle nostre tracce e ci riporti là dove è il nostro posto. Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento,  va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta (Lc15,5-6). I gesti del pastore narrati da Luca ispirano inevitabilmente lo stile che la Chiesa vuole avere. Il pastore va in cerca, il pastore si fa carico della pecora smarrita, il pastore gioisce con gli amici per il suo ritrovamento. Forse non a caso l’azione che la Chiesa svolge nei confronti delle persone, la vita attiva delle nostre parrocchie ha assunto proprio il termine di pastorale. Il “fare” delle comunità cristiane deve essere in accordo con il “fare” del Pastore e il termine pastorale diventato così prefisso di ogni nostra attività, ce lo ricorda. La pastorale ordinaria, la pastorale d’ambiente, la pastorale giovanile, il consiglio pastorale e chi più ne ha più ne metta…

Ricorderete certamente in una delle sue prime uscite, come anche Papa Francesco ha richiamato i pastori ad avere l’odore delle pecore. Il pastore, diceva il Papa, a volte sta a capo del gregge, a volte sta in mezzo ad esso e molte volte sta dietro. Bellissima immagine che richiama la natura del nostro servizio e ci costringe a verificarlo costantemente.

Vero è che nella parabola di Luca, la pecorella smarrita costringe il pastore ad una uscita. Per amore della pecora che non è tornata nell’ovile insieme alle altre novantanove, il pastore si “scomoda”, esce dalle sue sicurezze, riorganizza la propria giornata, cambia il proprio programma. La Chiesa in uscita (termine tanto caro al Papa) ha proprio questa caratteristica perché assomiglia all’uscita del Buon Pastore. Non è un’uscita per andare al Bar o un’uscita per ritrovarsi in qualche comodo salotto. È un’uscita anche rischiosa, ci si sporca le scarpe e non si sa quando si potrà rientrare. Il pastore non attende il ritorno della pecora, egli va, esce, stare fermi non serve a nulla. L’amore ci spinge ad uscire a rischiare, il Papa lo ricorda costantemente alla Chiesa e anche la parabola di Luca ci spinge proprio a questa uscita.

Dobbiamo proprio tessere l’elogio alla pecora perduta che con la sua fuga dal gruppo ci fa diventare Chiesa in uscita. Sono proprio i lontani, le donne e gli uomini dispersi che sfidano la nostra pastorale troppo spesso pensata a tavolino e non nei sentieri, nei boschi e nei dirupi del mondo laddove la pecora smarrita potrebbe trovarsi.

Forse la pastorale é diventata qualcosa di troppo rigido, preconfezionato, adatta più alle novantanove. Accanto alla pastorale dovremmo forse cominciare a pensare alla “greggiale”, potremmo chiamare scherzosamente così il nostro agire cristiano che parte dalla pecora smarrita. La greggiale non ha strategie, organizzazione e sussidi. La greggiale non richiede riunioni e consigli: la greggiale é l’azione coraggiosa della Chiesa, di ognuno di noi che parte e va in cerca.

 

Appena trova la pecora smarrita il pastore se la mette in spalla e il suo sentimento è la contentezza. Se io dovessi identificarmi nel pastore raccontato da Luca nel suo Vangelo, di certo per prima cosa darei una sonora lezione a questa pecora che si era allontanata così tanto: Ma dove ti eri cacciata? Perché non sei stata insieme alle altre? Ora fila a casa e per almeno due giorni non ti azzardare a chiedermi di uscire! Sarebbero queste le mie parole e di prenderla sulle spalle non ci penserei nemmeno: Fila a casa! È tutto il giorno che giro come un matto per cercarti, sono stanco morto, cammina!

La greggiale richiede un altro atteggiamento, un modus operandi che nasce soltanto dall’amore per il gregge. Non chiede perché, non dà colpe e non si mette a studiare i motivi dell’allontanamento. Il Pastore è contento del ritrovamento e non ha altri pensieri.

 

Lungi dall’essere improvvisazione, la greggiale richiede spalle robuste. L’immagine che Luca ci consegna è quella di un pastore forte e preparato. Il vangelo parla di pecora e non di agnellino, ci vogliono spalle robuste per sorreggere gli altri. Mi viene in mente un insegnamento di Gesù ai suoi discepoli: Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca? (Lc 6,39). Non ci s’improvvisa pastori in cerca di pecore perdute, la nostra vita spirituale deve essere continuamente allenata, nessuno si fiderebbe mai di un maestro incompetente. Sempre Gesù ricorda ai suoi che il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro (Lc 6,40). La greggiale esige discepoli preparati, chi va a cercare e a salvare deve avere spalle larghe e non può correre il rischio di perdersi anche lui. I luoghi impervi dove la pecora smarrita si è cacciata, sono impervi anche per il pastore e prendere sulle spalle qualcuno significa essere allenati a farlo. Sempre meno ci accompagniamo vicendevolmente nei cammini di vita. Immersi in una fede molto spesso fai da te, abbiamo smesso di essere accompagnatori degli altri e le nostre spalle non si allenano di certo per l’inaspettata impresa della ricerca degli uomini perduti. Cominciamo ad irrobustire le nostre spalle con le novantanove pecore, non demandiamo mai ad altri la trasmissione della fede. Per certi aspetti “tocca sempre a noi”. Non è il prete l’addetto alla guida e alla trasmissione della fede. Il padre spirituale non è il vecchio saggio al quale tutti accorrono per essere guidati. Sei tu che trasmetti la fede alle pecore del gregge di Dio e trasmettendola cresci. Insegnando a pregare, insegnando a sperare, insegnando a credere, le nostre spalle spirituali si irrobustiscono e saranno pronte per la greggiale.

 

Infine poi il Pastore tornato a casa fa festa con gli amici: va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta (Lc 15,6). Mi colpisce come i nostri incontri in parrocchia siano sempre incentrati sul “progetto” e mai sulla restituzione gioiosa e festosa di ciò che è avvenuto. Eppure Gesù spesso attendeva il ritorno dei suoi discepoli dalla loro missione, dalla loro uscita. Ricorderete come al capitolo dieci, sempre del Vangelo di Luca, proprio al ritorno dei settantadue che aveva inviato, ricevendo la loro gioiosa restituzione, Gesù esulta nello Spirito: In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto (Lc 10,21). I discepoli e Gesù sanno gioire del loro operato. In tutti i vangeli, forse solo in questa occasione si dice che Gesù esultò nello Spirito ed è proprio al ritorno della sua Chiesa in uscita. Potremmo proporre ai nostri consigli pastorali che ad ogni incontro corrispondesse numericamente una festa. Dobbiamo imparare a gioire per i nostri ritrovamenti pastorali, la greggiale esige la festa.

Certo anche noi sacerdoti non diamo un grande esempio. La quasi totalità dei nostri incontri sono per discutere dei problemi, per “affidarci” pesantezze e insuccessi. Poche, pochissime volte anche tra noi preti sappiamo gioire delle cose belle che ci accadono andando in cerca delle pecore allontanatesi dall’ovile. Qualche bella storia di conversione, un incontro inaspettato nel quale siamo riusciti a dire qualcosa di importante, un attestato di stima che abbiamo ricevuto. Quanti motivi ci sarebbero per fare festa, ma quanto poco sentiamo tutto questo un elemento comunitario. Il Pastore gioisce con gli amici e con i vicini, non si compiace allo specchio da solo la sera mentre si lava i denti ripensando alla giornata incredibile che ha avuto. Il Vangelo di Luca ci consegna un Pastore che non vive la solitudine, ma ha amici con cui gioire. Deve raccontare dell’avventura in uscita, avrà avuto l’adrenalina a mille e sarà stato bisognoso di affidare a qualcuno la sua gioia. Se penso a quante volte gioisco e condivido con qualcuno le mie sortite gioiose da chiesa in uscita, beh…mi viene da nascondermi in mezzo alle novantanove pecore e non rispondere alla domanda: Ehi? Qualcuno ha visto per caso il pastore??

 

 

don Matteo