Di che cosa è contento un prete
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Un prete è un mistero.
Un prete è sempre un po’ un mistero. La gente abituata ad avere il prete vicino, a vederlo spesso in paese rischia di fermarsi in superficie. Tanta gente lo ignora e non sa perché esistano i preti. Tanta gente lo apprezza e si rivolge al prete per il servizio che rende. Ma resta un mistero, come fosse un impiegato dietro uno sportello: che cosa pensa? Di che cosa è contento? Che cosa lo preoccupa? Molta gente non se ne cura. Tanta gente ritiene che un paese senza un prete sarebbe come un paese abbandonato, come fosse un servizio dovuto; pochi si domandano da dove venga il prete, come avvenga che un giovane possa desiderare di farsi prete, non se lo domandano e in ogni caso escludono che la cosa possa interessare a loro o ai loro figli. Anche chi prega per le vocazioni si immagina sempre di pregare perché si facciano preti, eventualmente, i figli degli altri.
L’aria che tira rende ancora più misterioso il prete: non ha una famiglia sua e vive come se tutte le famiglie del paese gli stessero a cuore; non ha una casa sua, ma entra in tutte le case, almeno in quelle che gli aprono la porta; non ha figli suoi ma si interessa dei figli degli altri come fossero figli suoi.
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Di che cosa è contento un prete?
Forse si può descrivere qualche cosa della gioia che un prete sperimenta nella sua vita e comprendere come possa essere desiderabile diventare prete. La storia dei discepoli scelti da Gesù può essere la storia di molti preti.
All’inizio c’è forse il sogno di un protagonismo: un prete si sente contento di quello che può fare, di quello che può organizzare, di come tocchi a lui essere alla guida di una comunità. In un certo senso assomiglia a quei discepoli di Gesù che discutono su chi debba essere considerato il più grande. Il prete si sente protagonista e di questo si sente contento, anche se il peso non è lieve: tanti assediano il prete con loro pretese, circondano il prete delle loro critiche, deludono il prete con le loro assenze, ostacolano il prete con proposte alternative, mettono alla prova il prete con la loro indifferenza. Ma il prete protagonista si sente contento di quello che riesce a fare e di quanti intorno a lui confermano il suo ruolo. Si potrebbe dire che è l’essere contento di chi dice “io”.
La maturità porta una gioia più profonda, più vera: quella che viene dal praticare la raccomandazione di Gesù, seguendone l’esempio. Il prete vive in mezzo alla gente come il discepolo che fa parte del gruppo dei discepoli, come un servo che si mette a disposizione, come quell’essere insieme per praticare lo stile di Gesù. Le iniziative del singolo prete sono secondarie, conta la missione comune; quello che dicono di un prete, che siano elogi o critiche, è meno importante di quello che dicono della Chiesa; quello che sono capace di inventare è meno interessante di quello faccio semplicemente eseguendo il mandato che ho ricevuto. Un prete diventa contento nella sua maturità perché lo appassiona la missione comune, il mandato del vescovo, quell’essere compreso nel “voi” che ascolta e pratica quello che Gesù dice. Perciò un prete è contento anche quando lascia il posto a un altro prete, purché la missione continui; un prete è contento anche quando non ha un ruolo, un potere, un incarico tutto suo, purché la missione continui. Si potrebbe dire che è l’essere contento di chi dice “noi”.
Ma il compimento della vocazione di un prete si compie quando il gruppo dei discepoli, questi “noi” del Vangelo ottiene risposta alla domanda: “Dove vuoi che prepariamo la Pasqua?”(Lc 22,9). In sostanza, infatti, la vocazione dei discepoli e la loro missione è di preparare la Pasqua, è di collaborare al compimento della missione di Gesù che vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Perciò i preti, come i discepoli della prima ora, anche quando non possono fare niente, anche quando non hanno più forza e non hanno più salute, non hanno più gente che li ascolti né possono andare a trovare nessuno, anche allora sono contenti, perché preparano la Pasqua di Gesù, la preparano nella loro carne dolorante, nel loro pensiero che si semplifica, nella loro preghiera che si compie nel silenzio. Così è contento un prete, quando si sporge verso l’eternità e si rallegra di intravedere per sé e per coloro che ama il Signore che ha fatto Pasqua, è vivo e fonte di vita. Si potrebbe dire che è l’essere contento di chi, anche senza parole, sperimenta d’essere per il Signore. “io” “noi” “per Te”.
Mons. Mario Delpini