Ne vale ancora la pena

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta,  e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa (Mt 5,13) .

Conosciamo tutti molto bene questo detto di Gesù che ci spinge in ogni tempo ed in ogni luogo ad essere testimoni incisivi del suo Vangelo laddove le relazioni con gli altri uomini ci conducono. Essere sale e luce è il segno di una nuova vita e una nuova comunità che sempre rinasce dalla presenza del Risorto. Come la luce che filtra fin dentro le stanze più buie attraverso ogni crepa o ogni anfratto e che nemmeno la distanza può rendere inefficace, così anche noi possiamo, anzi dobbiamo, avere la stessa capacità di filtrare nel buio che a volte avvolge l’esistenza degli altri.

E così il sale. Il suo sapore, ciò che da un “di più” alla nostra esistenza e a quella altrui, al contrario di una vita insipida e per questo facilmente calpestabile.

Luce e sale significano impegno nel mondo, nelle relazioni sociali, nel lavoro, in ogni ambiente in cui il cristiano vive. Difficile vivere questo mandato del Signore, ammettiamolo. Più facile nascondersi in un grigio e a volte più tranquillo anonimato. Difficile il compito della testimonianza costante, se dicessimo il contrario saremmo mentitori. Testimoniare a volte è difficile perché ci domanda di uniformarci al nostro Maestro che ha dato la sua vita. Essere sale e luce, può essere per noi faticoso, può metterci in minoranza specialmente nei luoghi del mondo che meno di tutti vogliono essere illuminati e salati.

Tra tutti questi luoghi c’è certamente il lavoro, dove la quasi totalità di ogni credente passa la maggior parte della propria giornata. Come riuscire a vivere cristianamente ed evangelicamente il tempo e lo spazio del lavoro?

In prima analisi c’è il nostro modo di vivere e “stare” al lavoro. Essere luce e sale significa certamente essere testimoni attraverso un nostro stare nel luogo di lavoro che dia una buona testimonianza. Potremo davvero aprire una discussione ampia ed articolata su come ognuno di noi sia chiamato ad evangelizzare il proprio modo di vivere l’ambiente del lavoro, dal rapporto con i colleghi, alla gestione della propria eventuale leardership, alle scelte etiche e morali che tante volte il lavoro ci chiama a compiere. Il nostro stare di fronte alla legge, al fisco…che tema infinito è questo!

Mi viene in mente la famosa lettera a Diogneto, documento della cristianità antica molto caro alla nostra tradizione.

I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati (Cap V).

Obbedire alle leggi stabilite, ma superarle con la vita, mi sembra un’ottima sintesi della nostra capacità di stare nel mondo, nelle relazioni sociali e lavorative.

Vi è poi un secondo aspetto della presenza cristiana all’interno del mondo del lavoro, quella dei cristiani che “danno” lavoro.

Non mi riferisco solo ad imprenditori o artigiani uomini e donne di fede, ma a tutte le realtà con la “targa ecclesiale” che generano lavoro. Penso a tante cooperative, scuole paritarie, o altre realtà di ispirazione cristiana. Queste sono ovviamente un grande dono, ma allo stesso tempo una grande responsabilità. Proprio gli ambienti con “statuto cristiano” devono essere più attenti e vigili sul loro modo di operare riguardo al lavoro, che non avvenga mai che proprio questi luoghi siano iniqui o disattenti alla realtà dei lavoratori, vigiliamo. Spesso la fatica nell’ essere generatori di lavoro in stile cristiano nasce dalla impossibilità di avere risorse economiche, più che umane o organizzative.

Tanti familiari, coadiuvando i propri parroci conoscono queste fatiche di gestione e sanno quante energie e preoccupazioni portano in se. Tante volte tra sacerdoti ci si interroga se “ne valga ancora la pena” e se la fatica della gestione, i bilanci sempre in affanno non siano una buona ragione per abbandonare questa strada di testimonianza, di educazione, di inserimento nel lavoro di persone svantaggiate.

Siamo tutti concordi (ed anche ecclesialmente concordi) sulla preziosità delle nostre cooperative sociali, delle scuole paritarie a volte piccole, ma assolutamente preziose nella loro opera. Ma questa preziosità non può certo reggersi da sola, ha bisogno di sostegno e questo occorre dirlo.

In primis l’operato di queste realtà va difeso e incoraggiato (certo ripulendolo da secondi fini o incoerenze strutturali), ma se vogliamo stare del mondo e, come dicevamo sopra essere luce e sale, dobbiamo certamente esserci in maniera giusta, nel rispetto di ogni legge e come ci ha insegnato la lettera a Diognieto, superare le leggi con la nostra vita. In tanti zone del nostro Paese, delle nostre Diocesi, le realtà cristianamente ispirate compiono vere e proprie profezie riguardo il lavoro, l’educazione, la correzione dalle dipendenze, la formazione al mondo del lavoro e chi più ne ha più ne metta. Una Chiesa che riconosce questi valori deve anche dare un sostegno, le belle parole e gli attestati di stima a volte rischiano di essere sterili aiuti.

C’è anche un secondo aspetto che credo che oggi sia davvero importante non sottovalutare: queste realtà danno lavoro a tante famiglie.

In un’ epoca nella quale anche ecclesialmente ci poniamo mille interrogativi su come sostenere il lavoro ed aiutare chi lo ha perduto, non dimentichiamoci mai che spesso siamo responsabili di tanti lavoratori e le loro famiglie. Operatori sociali, insegnanti, coadiutori, personale addetto. Mentre offriamo un servizio cristianamente ispirato, noi permettiamo la realizzazione di tante persone, di tante famiglie. Rendere economicamente sostenibili le nostre realtà significa dare stabilità e futuro a tante persone e questa è una grande e bellissima responsablità.

don Matteo