Presbiteri e laici insieme nell’unico popolo di Dio

 

Il Papa Giovanni Paolo II, nel Convegno di Verona del 2006, affermava che il compito dei  laici cristiani è quello di portare la gioia del Signore risorto  e la speranza cristiana nel mondo.

Infatti, ciascuno di noi unito a Cristo mediante il battesimo, è chiamato a fare dono della propria vita agli altri; a rendere attuale il dono che Cristo ha fatto di se stesso, attraverso il proprio servizio nella Chiesa e la testimonianza nella società. Quindi, perché ci sia Chiesa, bisogna che ci siano i laici; infatti, se i ministri ordinati sono al servizio della comunità anche i laici lo sono, vale per tutti il versetto dell’evangelista Marco: “Il Signore non è venuto per essere servito, ma per servire”.

Papa Francesco  lo ricorda nell’ Esortazione Evangelii gaudium quando dice: “Soggetto evangelizzatore non è soltanto il ministro ordinato ma è tutto il popolo di Dio, in ragione del fatto che in virtù del battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr. Mt 28,19) e che ogni battezzato, qualunque sia la sua funzione nella chiesa ed il grado di istruzione della sua fede è un soggetto attivo di evangelizzazione”.

Tutti siamo quindi chiamati a rispondere ad un impegno comune nella Chiesa, la responsabilità è di tutti: laici e ministri ordinati, ognuno con i rispettivi carismi e ministeri.

La chiesa è fondata su una comunità sacramentale, gerarchicamente ordinata, che però non produce maggiore prestigio in alcuni, in quanto essa è comunità di fratelli che si accolgono e camminano insieme – sinodo – nella Chiesa sulla strada della fede, della speranza e della carità, riscoprendo la gioia di essere cristiani .

Questa sinodalità deve esprimersi a tutti i livelli anche nella collaborazione fra laici e presbiteri.

Il ministro ordinato è il sovraintendente, ma ciascuno è responsabile per la sua parte perché “sono molte le membra ma uno solo il corpo” (1Corinzi 12,20).

La cura della interiorità, diventa quindi  fondamentale per noi che, rispondendo ad una chiamata, viviamo il servizio al prete come una missione.

Infatti la cura della nostra vita spirituale ci fa scoprire i doni dello Spirito, i carismi, i quali  non ci vengono elargiti per  gratificazione personale, ma sono doni che dobbiamo mettere al servizio per l’utilità comune, nella comunità, nell’associazione, nella chiesa, senza nessun recondito desiderio di averne una ricompensa.

Ogni cristiano in virtù del battesimo e dei carismi ricevuti, non può essere quindi uno che collabora saltuariamente, ma ha un diritto ed un obbligo dinanzi a Dio, nella chiesa e nella comunità in cui vive.

Tutto ciò ci fa capire quale impegno abbia ciascuno di comunicare la gioia di aver incontrato Cristo, perché da Lui riceviamo forza, speranza, perché è Lui che dà senso alla nostra vita.

Questa gioia, che nasce da un cuore libero, dobbiamo prima comunicarla tra di noi, sostenendoci vicendevolmente, creando comunione tra di noi per poi diffonderla a tutti coloro che il Signore metterà sul nostro cammino. “Con Gesù Cristo nasce e rinasce la gioia” dice Papa Francesco.

Il presbitero ha il compito di rendere presente il mistero di Cristo ed i laici, con l’occhio del laico, lo aiutano a non perdere la complementarietà, sdrammatizzando, e prestando attenzione alle difficoltà oggettive.

Il prete è chiamato a tessere comunione e quindi, ha bisogno di sperimentare comunione vivendo un clima di famiglia nella quotidianità della sua vita e del suo ministero, quel clima di famiglia che lo dispone poi ad essere strumento di comunione dentro la comunità.

Farsi compagni di viaggio del prete, richiama la cordata, come in una salita in cui si cammina affrontando insieme le difficoltà e gli imprevisti, perché solo restando insieme si può raggiungere la meta che è il bene dei fratelli.  Il cammino della santificazione infatti non avviene mai da soli.

La preghiera della nostra associazione di intercessione al Padre, implora che ciascuno di noi, accanto al prete, sia: “Sull’esempio di Maria, umile presenza di amore e di pace, disponibile ed accogliente, capace di ascoltare, compatire e consolare, di custodire e meditare nel cuore ogni cosa”.

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Nei nostri gruppi, siamo chiamati a mantenere vivo il senso della  vocazione e del servizio ecclesiale, anzitutto amando l’associazione, condividendone il cammino nelle sue difficoltà, nel  “ricambio  generazionale”, coinvolgendo altri, divenendo corresponsabili dell’ideale che l’associazione porta avanti, avendo chiaro che qualsiasi servizio si compia  in associazione o nella propria comunità, viene svolto per Cristo e per la Chiesa.

Una delle prime riviste dell’associazione di Palermo “Frumentum Christi” , riportava nel titolo le parole che Mons. Strazzacappa (il santo sacerdote che intuì la necessità di formare tutti coloro che assistevano i preti nelle canoniche) aveva pronunciato ai familiari riuniti nel 1963 per la fondazione dell’Associazione in Sicilia: “La Familiare deve essere Frumentum Christi che germina nel nascondimento, matura al sole dell’ Eucaristia e diventa pane per gli altri attraverso il suo generoso servizio e la sua piena disponibilità”.

Da allora  l’associazione ha camminato tanto, perché accanto ai familiari parenti dei preti, il Signore ha chiamato e continua a chiamare delle persone per svolgere nella Chiesa la missione di stare accanto ai sacerdoti, collaborando con loro in tanti servizi e aiutandoli  così, a coltivare insieme, un rapporto di carità pastorale, anche verso quanti si avvicinano per la prima volta alla comunità, affinché trovino in essa un clima di famiglia e una Chiesa aperta e accogliente.

 

Questa riflessione è scaturita dalle tematiche delle meditazioni tenute da S. E. Mons. Di Cristina, Vescovo Emerito di Monreale, nel corso degli esercizi spirituali svoltosi a Palermo nel mese di settembre scorso.

 

Una Collaboratrice Familiare del Clero

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