Alcune sfide del mondo attuale. Globalizzazione dell’indifferenza

 

In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo. (Evangelii Gaudium 54)

La nostra lettura dell’esortazione apostolica continua a passo spedito e seguiamo papa Francesco nel suo addentrarsi nelle sfide del mondo attuale.

Forse in questi numeri dell’Evangelii Gaudium riconosciamo ancor di più i sentimenti e tutta l’appassionata visione sull’uomo da parte del nostro Papa. Ci piace, quando senza peli sulla lingua, ribadisce, quasi grida, che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste (nr.52). Non esita a descrivere queste situazioni del mondo contemporaneo chiamandole patologie e sappiamo bene che davanti ad una patologia non si può rimanere insensibili. Bergoglio non esita a richiamare il comandamento Non uccidere e a rileggerlo in chiave contemporanea dandogli il nome di “economia dell’esclusione e dell’iniquità”. Non è possibile, continua il Papa al numero 53, che non faccia notizia il fatto che muoia  assiderato un anziano ridotto a vivere in strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Mentre leggiamo queste pagine appaiano ai nostri occhi i volti della povertà che spesso incontriamo nella nostra vita, nelle nostre città e nelle nostre parrocchie. Ci accorgiamo toccando con mano, di essere davvero di fronte a cose più grandi di noi, a sistemi strutturalmente perversi che generano lo “scarto” come ama chiamarlo Francesco.

Mentre sottolineo la mia esortazione apostolico pensando a quante persone considerate “scarti” affollano la mia esperienza e i nostri televisori, sento queste parole nette e severe del Papa, come parole assolutamente famigliari.

Papa Francesco si inserisce nella grande scia dei suoi predecessori che in diversi interventi ed encicliche cosiddette “sociali” avevano spesso evidenziato come sovente l’equilibrio tra individuo e ordine sociale, politico ed economico venisse in qualche modo deteriorato e compromesso.

Riaffiorano alla mia memoria gli studi in seminario e le appassionanti pagine che il magistero pontificio ci ha consegnato a perpetua riflessione.

Potrei citare subito la Rerum Novarum di Leone XIII che già a fine del diciannovesimo secolo sottolineava come l’uomo e la famiglia, entrando a far parte della società civile, trovassero nello stato non aiuto, ma offesa, non tutela, ma diminuzione dei propri diritti, la civile convivenza sarebbe piuttosto da fuggire che da desiderare (Nr.10).

Questa pietra miliare delle encicliche sociali, che sempre merita di essere riletta e celebrata, contiene preziosi spunti di riflessione circa l’uguaglianza e la vera utilità delle ricchezze.

Tutti i successori di Leone XIII ne hanno in qualche modo carpito la ricchezza. Cito per tutti Pio XII che in un famoso radio messaggio, proprio a 50 anni dalla Rerum Novarum, ribadisce come i beni da Dio creati per tutti gli uomini, equamente affluiscono a tutti, secondo i criteri di giustizia e di carità.

Le parole di Papa Francesco riportano poi certamente alla Pacem in terris di Giovanni XXIII, una delle più grandi encicliche di ogni tempo. Proprio riprendendo il radio messaggio di Pio XII, Giovanni XXIII ribadisce l’inalienabilità dei diritti e dei doveri, i quali sono universali e inviolabili.

Quante pagine potremmo citare e quanta ricchezza in questo senso la Chiesa possiede!

L’Evangelii gaudium non è che un altro tratto di strada del magistero della Chiesa.

Oggi il Papa vede nella globalizzazione dell’indifferenza (cfr. Nr. 54) l’ennesimo prodotto dell’economia dei nostri tempi. Davvero il benessere ha spento le luci sui drammi che si consumano molto spesso accanto a noi.

Ricorderemo tutti come una delle prime uscite di Francesco, fu proprio quella di recarsi nelle acque di Lampedusa a rendere omaggio alle migliaia di vittime della tratta del mare. Fu un segno molto importante perché accese o riaccese le luci su ciò che accade quotidianamente nei nostri mari. Fu anche un grande insegnamento per tutti noi credenti su come sia necessario, anche di fronte a cose più grandi di noi, non spegnere l’attenzione verso le ingiustizie e verso la realizzazione del famoso “scarto”.

Davvero in questo senso noi siamo la città luminosa collocata sul monte.

Spesso la vastità dei problemi e la loro apparente irresolubilità ci rassegna all’impotenza e l’impotenza all’indifferenza. Allora sì che la nostra vita di fede gioca una partita rischiosa.

Mi pare opportuno ricordarmi che anche il Concilio Vaticano II, nella costituzione Gaudium et Spes ci mette in guardia verso questa deriva nell’indifferenza. Come sappiamo il Concilio seguì una linea pastorale, propositiva e mai di anatema. Fu una vera svolta anche nel linguaggio conciliare e nel porsi della Chiesa verso il mondo. Esso fu visto, forse per la prima volta, con simpatia e ciò che il concilio ha prodotto fu davvero per lo sviluppo della Chiesa e del mondo stesso e in qualche modo oggi ne godiamo i frutti.

Eppure spulciando proprio la Gaudium et Spes ci imbattiamo in un passaggio realmente severo. L’unico luogo di tutto il Concilio nel quale si mette sul piatto l’esito della salvezza eterna di ognuno di noi.

Leggiamolo insieme:

Il cristiano che trascura i propri impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, mette in pericolo la propria salvezza eterna (GS 43). Parole davvero nette e severe. Il concilio lega l’esito della nostra salvezza proprio alla nostra capacita di prenderci cura, di non apparire indifferenti al dolore del nostro prossimo. Viene in mente il samaritano buono raccontato da Luca nel suo Vangelo e il destino del sacerdote e del levita che passano nell’indifferenza dall’altra parte della strada.

Le parole di Papa Francesco e di tutti coloro che lo hanno preceduto ci risveglino da ogni torpore e da ogni indifferenza.

 

 

 

don Matteo