Invettive per propiziare un anno di grazia

 

  1. Invettiva contro il pensiero timido.

Il pensiero timido è figlio di una delusione. Le grandi ideologie, le grandi narrazioni, il pensiero superbo si è dichiarato fallito. Il frantumarsi dei disegni ambiziosi che pretendevano di spiegare tutto e di avere tutte le risposte ha fatto nascere il pensiero timido. Il pensiero timido è in sostanza una specie di dichiarazione della rinuncia a pensare. Il pensiero timido compila un elenco di domande proibite. Non chiedete più: perché? Non chiedete più: che senso ha? Non aspettatevi più un gran che dal pensiero. Accontentatevi di sapere come si fa, quanto costa, quanto rende, quanti sono quelli che vengono in chiesa, quanti sono quelli che… E sulle cose serie della vita andare dove vi porta il cuore. Informatevi con le statistiche e consolatevi con le poesie. Ma lasciate perdere il pensiero: che pretesa è quella di costruire una visione del mondo? come potete immaginare di capire il mistero di Dio? chi può avere il coraggio di affrontare la domanda sulla morte? Il pensiero timido preferisce ordinare i dati, accumulare informazioni, suggerire procedure. Contro il pensiero timido pronuncia la sua invettiva il veggente dell’apocalisse: Il Signore Dio è l’alfa e l’omega, la sua signoria abbraccia i tempi e rivela il significato di ogni cosa: a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli! E’ dunque il tempo di un pensiero audace che affronta le grandi domande e propone le risposte che sono ispirate dalla rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve. E’ dunque il tempo per uno studio approfondito, prolungato, paziente per avere qualche cosa da dire alle sette Chiese e a tutte le Chiese. E’ tempo di un pensiero buono, costruttivo e fiducioso che non si compiace dello scetticismo e della critica sistematica, ma si rallegra della verità, perché crede nella verità e crede che la verità è buona, affidabile. Crede che la verità è Gesù di Nazaret e a partire da qui si avventura sulle vie del pensiero audace e insieme umile, le vie del pensiero costruito con serietà e insieme con una sorta di gioia, il gaudium de veritate.

  1. Invettiva contro la tristezza meschina.

La tristezza meschina è frutto dell’amor proprio ferito. La tristezza meschina non viene dalla compassione, né dallo sdegno per il male. E’ piuttosto amica del malumore, prende a pretesto i piccoli disagi e ne fa un motivo di scoraggiamento e di risentimento. Parla il linguaggio del lamento e semina dappertutto lo scontento, la diffidenza. Non si trova bene da nessuna parte e ha da dire su qualsiasi cosa. La tristezza meschina può abitare anche là dove tutto è ben organizzato: c’è sempre una mancanza di tempo o un imprevisto che alimenta la tristezza meschina. La tristezza meschina può abitare anche là dove uno è servito in tutto, trova tutto pronto e gli danno da mangiare e da dormire anche se per tutto il giorno non ha combinato niente: c’è sempre una pretesa che non è soddisfatta o una decisione che non è condivisa per alimentare la tristezza meschina. L’invettiva contro la tristezza meschina è pronunciata dal veggente dell’Apocalisse che non sta a discutere con coloro che si lasciano abitare da questo sentimento infelice. Piuttosto proclama la beatitudine. Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia… L’invettiva contesta il lamento, perché innalza il cantico di lode; l’invettiva contesta il malumore, perché irradia la gioia che viene da Colui che è, che era, che viene: grazie e pace a voi! L’invettiva contesta lo scontento e la diffidenza, perché arde del fuoco dello Spirito. Non lasciatevi prendere dalla tristezza meschina, se dovete essere tristi, sia per il dolore dei vostri peccati, sia per la compassione per i fratelli e sorelle che sono troppo provati dalla vita, sia per lo sdegno che contesta il mondo sbagliato e invoca il Regno di Dio.

  1. Invettiva contro il convivere pigro.

Vivono insieme, ma non si vogliono bene. Vivono insieme, ma ciascuno per sé. Vivono nella stessa casa, hanno lo stesso scopo, i loro giorni hanno ritmi simili, ma ciascuno è geloso delsuo tempo, è arbitrario nelle sue scelte, traffica persé ilsuo talento. Il convivere pigro è per sfruttare tutti i vantaggi della vita comune e scaricare su altri tutte le fatiche che rendo abitabile e confortevole la casa comune. Il convivere pigro non ama essere coinvolto e non fa niente per coinvolgere. L’invettiva contro il convivere pigro è pronunciata dall’ardore missionario che cerca ogni occasione per contagiare i vicini e renderli fratelli, per annunciare l’evento decisivo che cambia il mondo: “Abbiamo trovato il Messia!”…”Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti: Gesù, il Figlio di Giuseppe, di Nazaret” …”Vieni e vedi!”… L’invettiva contro il convivere pigro intende sciogliere i rapporti sclerotizzati, qualificare la comunicazione quotidiana che si è banalizzata, mettere in discussione le abitudini alla vita in pantofole, alle comodità difese come privacy. L’invettiva contro il convivere pigro propone la fraternità, come la grazia da accogliere e l’impresa a cui dedicarsi, propone a ciascuno di farsi carico della gioia di chi vive accanto, di interessarsi gli uni degli altri con la sollecitudine fraterna che predispone all’edificazione del presbiterio. L’invettiva contro il pensiero timido, contro la tristezza meschina, contro il convivere pigro ha solo uno scopo: di augurare che l’anno seminaristico sia un anno di grazia e che nessuna grazia vada perduta per chi arde dal desiderio di diventare prete per condividere con tutti la gioia, la verità, il fuoco del Vangelo di Gesù.

Mons. Mario Delpini

Arcivescovo di Milano