Non lasciamoci rubare… l’entusiasmo missionario

 

Eccoci qua anche quest’anno per leggere insieme e commentare ancora le pagine dell’esortazione apostolica Evangeli Gaudium!

È una fedeltà che dobbiamo coltivare nei confronti di questo testo che indica le vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni (EG1). Dobbiamo felicemente constatare che questa esortazione è entrata davvero nella riflessione delle nostre chiese locali. Tanti vescovi, parroci, parrocchiani la stanno prendendo sul serio, cercando di declinare il suo immenso tesoro nelle singole realtà diocesane e parrocchiali. È una operazione ecclesiale per certi aspetti davvero inedita. Anche la recente settimana sociale dei cattolici italiani svoltasi a Cagliari, mettendo a tema il lavoro, ha utilizzato come linee guida le definizioni che papa Francesco da del lavoro (libero, creativo, partecipativo e solidale) proprio in Evangelii Gaudium. Senza alcun dubbio tutta la Chiesa sta vivendo una fase di ricezione profonda delle parole del Papa, credo quindi che continuare la nostra riflessione sulla rivista dei famigliari del clero, sia davvero opportuno e indispensabile.

Cercheremo quest’anno di seguire alcune “frasi ad effetto” che Bergoglio usa utilizzando una frase prefisso: non lasciamoci rubare.

Ci sono nove cose che il Papa ci invita a non farci rubare: l’entusiasmo, la gioia, la speranza, la comunità, il Vangelo, l’amore fraterno, il genio femminile, l’entusiasmo dei giovani, l’esperienza degli anziani.

Possiamo fare subito una riflessione introduttiva molto semplice. Qualcosa o qualcuno tenta di rubarci ciò che la gioia del Vangelo (l’evangelii gaudium) ci ha regala ogni giorno. La vita del credente è sempre una battaglia per conservare questa gioia, per difenderla da ciò e da chi intende rubarcela. Dobbiamo davvero vigilare, abbiamo un tesoro da custodire, da proteggere senza farcelo rubare. La frase prefisso non lasciamoci rubare ci ricorda questa lotta spirituale che si compie ogni giorno nella vita e nel cuore di ogni credente.

Credo ci farà bene intraprendere questo viaggio tra le nove cose che non dobbiamo farci rubare, un viaggio che ci farà riflettere e pensare e speriamo alla fine mettere in azione gli “antifurti evangelici” di cui abbiamo bisogno per custodire e far fruttare il tesoro meraviglioso che abbiamo ricevuto.

La prima cosa che il Papa ci invita a custodire è l’entusiasmo missionario.

Siamo nel secondo capitolo, quello intitolato Nella crisi dell’impegno comunitario. Il Papa si rivolge in modo particolare agli operatori pastorali, a tutti coloro che si impegnano nella vita delle comunità, a noi.

Ascoltiamo le sue parole:

  1. Oggi si può riscontrare in molti operatori pastorali, comprese persone consacrate, una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione, che porta a vivere i propri compiti come una mera appendice della vita, come se non facessero parte della propria identità. Nel medesimo tempo, la vita spirituale si confonde con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo ma che non alimentano l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione per l’evangelizzazione. Così, si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore. Sono tre mali che si alimentano l’uno con l’altro.

Individualismo, crisi d’identità e calo di fervore. Quasi come un medico spirituale il Papa individua tre sintomi che denotano un venir meno dell’entusiasmo missionario, ma il nostro “dottore” ci illustra anche le cause. La prima è la preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e distensione. Diciamocelo onestamente: questo primo motivo intacca tutti gli uomini contemporanei. “Devo staccare”, “Anno sabbatico”, “devo prendermi i miei spazi”, lo sentiamo dire da tanti e spesso lo diciamo anche noi. Certo il Papa non è contrario alle vacanze o al relax!…ma dietro la ricerca esagerata dei propri spazi personali si cela una grande tentazione e cioè quella di pensare che la vita e l’impegno siano “fatiche” a senso unico e non di per se rigeneranti.

Quanto è vero.

Abbiamo tutti bisogno di recuperare un sano entusiasmo del vivere riconoscendo che amando e servendo noi acquisiamo anche un benessere vitale! L’impegno a volte ci stanca fisicamente certo, ma rigenera sempre il nostro cuore, a patto che sia un impegno sincero, disinteressato, evangelico. Con coraggio Papa Francesco sottolinea che sovente anche rifugiarci in qualche “momento religioso” può essere una fuga mascherata, un individualismo truccato da spiritualità, ma che ci allontana dagli altri, dalla gente. I nostri fratelli, la condivisione con loro ci preservano sempre dal venir meno dell’entusiasmo missionario.

Continua Francesco.

  1. La cultura mediatica e qualche ambiente intellettuale a volte trasmettono una marcata sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa, e un certo disincanto. Come conseguenza, molti operatori pastorali, benché preghino, sviluppano una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni. Si produce allora un circolo vizioso, perché così non sono felici di quello che sono e di quello che fanno, non si sentono identificati con la missione evangelizzatrice, e questo indebolisce l’impegno. Finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono. In questo modo il compito dell’evangelizzazione diventa forzato e si dedicano ad esso pochi sforzi e un tempo molto limitato.

La cultura mediatica e qualche ambiente culturale a volte sono “ladri” di questo entusiasmo missionario. Difficile non essere d’accordo anche su questo. Siamo davvero immersi in una cultura che spesso sembra squalificare il nostro impegno, una cultura mediatica che da enfasi e risalto a chi nella Chiesa combina disastri, piuttosto a chi produce del bene. Non possiamo farci nulla, a volte è tutto più grande di noi, però lo dobbiamo sapere. Dobbiamo tenere la guardia, specialmente quando affiora dentro di noi la tentazione di pensare che l’evangelizzazione sia una cosa come tutte le altre. Al contrario, non dimentichiamocelo mai, portare il Vangelo agli altri è il dono più grande che possiamo fare. «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (At 1,3.6) dice Pietro allo storpio che si aspetta di ricevere qualcosa da lui alle porte del Tempio.

Questo lo sperimentiamo spesso anche noi preti, quando riceviamo un complimento o un ringraziamento per una omelia domenicale. Devo ammettere che a volte tremano le gambe, perché magari abbiamo avuto l’impressione di balbettare qualcosa o onestamente non c’eravamo nemmeno troppo preparati, eppure la Parola di Dio è potente, supera anche le nostre inadeguatezze e pigrizie. Davvero il dono che possediamo e siamo chiamati a trasmettere è qualcosa di grande, immenso e senza eguali. Questo ci dovrebbe bastare a non venir mai meno al nostro entusiasmo missionario.

Teniamo sempre alta la “tensione”, smascheriamo anche il nostro agire come se Dio non esistesse, ultima grande tentazione che il Papa ci consegna. Bellissimo il Nr. 80 e quante volte Papa Francesco ha ripetuto alla Chiesa queste parole. Dobbiamo ascoltarle, riascoltarle e pregare che ci entrino davvero nel cuore.

  1. Si sviluppa negli operatori pastorali, al di là dello stile spirituale o della peculiare linea di pensiero che possono avere, un relativismo ancora più pericoloso di quello dottrinale. Ha a che fare con le scelte più profonde e sincere che determinano una forma di vita. Questo relativismo pratico consiste nell’agire come se Dio non esistesse, decidere come se i poveri non esistessero, sognare come gli altri non esistessero, lavorare come se quanti non hanno ricevuto l’annuncio non esistessero. È degno di nota il fatto che, persino chi apparentemente dispone di solide convinzioni dottrinali e spirituali, spesso cade in uno stile di vita che porta ad attaccarsi a sicurezze economiche, o a spazi di potere e di gloria umana che ci si procura in qualsiasi modo, invece di dare la vita per gli altri nella missione. Non lasciamoci rubare l’entusiasmo missionario!

don Matteo  Prosperini