Non lasciamoci rubare… l’ideale dell’amore fraterno

di don Matteo Prosperini

All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristiani! La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica. Inoltre, alcuni smettono di vivere un’appartenenza cordiale alla Chiesa per alimentare uno spirito di contesa. Più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale.

Al numero 98 dell’Evangelii Gaudium, Papa Francesco introduce il doloroso tema delle contese tra i cristiani che egli non esita a chiamare guerre. Rileggendo questo primo numero circa il non lasciarci rubare l’ideale dell’amore fraterno, ho “isolato” le parole che il Papa usa per descrivere, quasi “fotografare” alcune situazioni ecclesiali. Ecco le parole: guerre, invidie, gelosie, ricerca di potere, prestigio, piacere e sicurezza economica. Estrapolando queste parole ci sembra di ascoltare un vero e proprio “bollettino di guerra”, eppure qui si sta parlando della Chiesa, alla Chiesa e ai cristiani. Continuiamo a leggere l’esortazione apostolica e poi proviamo a fare alcune considerazioni circa la vita delle nostre comunità cristiane.

Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro ad inseguire il proprio benessere. In vari Paesi risorgono conflitti e vecchie divisioni che si credevano in parte superate. Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: «Siano una sola cosa … in noi … perché il mondo creda» (Gv 17,21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti. (Nr.99)

A coloro che sono feriti da antiche divisioni risulta difficile accettare che li esortiamo al perdono e alla riconciliazione, perché pensano che ignoriamo il loro dolore o pretendiamo di far perdere loro memoria e ideali. Ma se vedono la testimonianza di comunità autenticamente fraterne e riconciliate, questa è sempre una luce che attrae. Perciò mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti? (Nr.100)

Leggere queste parole ci fa un gran bene e ci fa anche un po’ male. Ci fa bene perché, ri-centrano tutto il nostro essere Chiesa. È l’amore fraterno la rivelazione più grande del dono pasquale. In tutto il tempo di Pasqua abbiamo ascoltato nella liturgia la lettera e il Vangelo di Giovanni e soprattutto nelle domeniche prima dell’Ascensione, il tema dell’amore fraterno è risuonato nelle nostre assemblee liturgiche. Non si può amare Dio che non si vede se non si amano i fratelli che si vedono. L’amore e la comunione tra noi è il segno del nostro amore per il Signore. Le parole di Bergoglio fanno anche un po’ male perché ci arrivano diritte in pancia, pensando alle divisioni che spesso ci sono nella Chiesa e nelle singole comunità. Come preti, e come famigliari del clero, ci rendiamo conto come costruire la comunione sia qualcosa di estremamente faticoso. Innanzi tutto, la comunione tra noi è qualcosa da chiedere al Signore e non è direttamente uno sforzo personale. Prima di tutto è Grazia, dono che riceviamo dal celebrare insieme l’eucarestia. Ogni domenica la comunità cristiana deve chiedere questo dono, il dono della comunione.

In secondo luogo, poi dobbiamo smascherare senza timidezze o timori tutti i comportamenti mondani nostri ed ecclesiali. Dobbiamo davvero respingere ogni tentazione di ricerca di potere, dobbiamo fuggire davanti al nostro desiderio di dominio e di supremazia verso gli altri, dobbiamo combatterlo spiritualmente e confessarlo. Aggiungo che dobbiamo anche prendere le distanze da questi atteggiamenti che a volte incontriamo nella Chiesa. Senza presunzioni o “savonarolismi”, credo sia importante imparare a dissentire, allontanandoci dai luoghi ecclesiali, dove il servizio si è trasformato in prepotente presenzialismo, in meschina competizione. Via, via…fuggiamo questo tipo di Chiesa, quando la incontriamo abbiamo la libertà, l’umiltà, ma anche il coraggio di dire: grazie, non con me.  Il Papa ci ha ricordato al Nr. 100:

Perciò mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?

Via, via, fuggiamo davanti a questo stile ecclesiale, scegliamo sempre la comunione tra noi anche se questa significherà costruire comunità più “semplici”, meno “strutturate”. Dico questo perché è proprio quando “aziendalizziamo” le parrocchie che cominciano le guerre tra di noi e tutti quei sentimenti che l’esortazione ci descrive. L’ideale dell’amore fraterno viene spesso deriso e considerato una favola per bambini. Può essere. Forse abbiamo confuso l’amore fraterno con una sorta di idillio senza contrasti e discussioni. Se leggiamo gli Atti degli Apostoli ci accorgiamo subito come la Chiesa delle origini era spesso attraversata da discussioni e punti differenti, ma sia Pietro che Paolo, spesso su opposte posizioni, avevano a cuore il Vangelo e non la leadership! Avevano a cuore che Gesù fosse conosciuto e non di occupare posti di favore. Mai nella chiesa (quella vera) gli evangelizzatori piantano radici e diventano funzionari inamovibili…possiamo dire questo anche della Chiesa del terzo millennio?

Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto ci fa bene amarci gli uni gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto! A ciascuno di noi è diretta l’esortazione paolina: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21). E ancora: «Non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9). Tutti abbiamo simpatie ed antipatie, e forse proprio in questo momento siamo arrabbiati con qualcuno. Diciamo almeno al Signore: “Signore, sono arrabbiato con questo, con quella. Ti prego per lui e per lei”. Pregare per la persona con cui siamo irritati è un bel passo verso l’amore, ed è un atto di evangelizzazione. Facciamolo oggi! Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno! (Nr.101)