Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio


Mons. Ennio Apeciti – Rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma e Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi


«Questa beatitudine ci fa pensare alle numerose situazioni di guerra che si ripetono» (n. 87). Così comincia il commento di Papa Francesco alla settima Beatitudine, proposta per l’universale cammino di santità nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate.

Il Papa continua allargando il concetto di “guerra” non più alle guerre “tradizionali”, quelle che hanno insanguinato il mondo intero nel secolo scorso – il secolo delle Guerre mondiali – e che lo insanguinano ancora oggi con la «Terza guerra mondiale  a pezzi», come ripete spesso il Papa. 

Egli allarga l’orizzonte e il concetto di guerra: «Ho menzionato le guerre, ma guardiamo certe periferie. Guardiamo i bambini senza scuola, la gente che ha fame, la gente che non ha assistenza sanitaria, l’immensa quantità di gente che non ha acqua corrente, la gente che non ha accesso al minimo per vivere dignitosamente». Così ha detto nel messaggio, inviato ai partecipanti alla 23° Giornata della Pastorale Sociale, tenutasi a Buenos Aires nei giorni 3-5 dicembre 2020. Ed ha continuato denunciando gli altri due nemici della pace: «Le ideologie che vogliono impadronirsi dell’esperienza vissuta di un popolo, e le passioni, che sempre sono come un rullo compressore, che vanno avanti e distruggono».

Nell’Esortazione Gaudete et exsultate, poi, aggiunge un altro tipo di guerra, quella delle parole: «Per esempio, quando sento qualcosa su qualcuno e vado da un altro e glielo dico; e magari faccio una seconda versione un po’ più ampia e la diffondo. E se riesco a fare più danno, sembra che mi procuri più soddisfazione. Il mondo delle dicerie, fatto da gente che si dedica a criticare e a distruggere, non costruisce la pace. Questa gente è piuttosto nemica della pace e in nessun modo beata» (n. 87).

Papa Francesco ci richiama: solo chi “opera per la pace” può essere – e sarà – chiamato “figlio di Dio” (Mt 5,9). 

Figlio di Dio, perché costruttore di pace, comporta una premessa importante: il figlio impara da suo papà a parlare e a comportarsi. Significa che Dio, il Padre, è il “Dio della pace”, il “Dio buono e misericordioso”, che sempre perdona, sempre pazienta, sempre dialoga, non pensa mai male, anzi neppure vede il male, come canta il profeta Abacuc: «Tu, dagli occhi così puri che non vedi neppure il male» (cfr. Ab 1,13). 

Così canta Isaia il Messia atteso, il Figlio di Dio, Gesù: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5). 

E proprio questo fu l’annuncio dato agli uomini dagli angeli di Dio: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14).

E come Egli è “Dio, Padre di pace”, così siamo chiamati ad essere noi, Suoi figli: «Il regno di Dio, infatti, non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rom 14,17). Così scrive Paolo ai cristiani di Roma, e continua: «Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole» (Rom 14,19). E poi ancora: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace» (Rom 15,13). Ed è questo il suo augurio: « Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace» (Rom 15,13).

Questo, per Paolo, comporta l’impegno a cercare ciò che unisce, l’armonia, la concordia, perché «Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1Cor 14,33).

Così scrive ai cristiani di Corinto, una comunità un poco litigiosa, alla quale raccomanda anche: «Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi» (2Cor 13,11).

E ai cristiani di Filippi ricorda che la gioia è il «gigantesco segreto dei cristiani», come scrisse Georges Bernanos: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. […] E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. I[…] quello che è vero, che è nobile, che è giusto, che è puro, che è amabile, che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. […] E il Dio della pace sarà con voi!» (Fil 4,4-9).

In effetti, Dio ci vorrebbe così, uomini e donne di pace, imparando da Suo Figlio, nostro fratello Gesù, che ammonì i suoi primi discepoli: «Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9,50). 

È lo stile che Gesù chiese ai suoi discepoli, preparandoli alle difficoltà: li manderà «come agnelli in mezzo a lupi» (Lc 10,3), ma non dovranno avere paura, anzi: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”» (Lc 10,5). 

È la convinzione di Gesù, il suo insegnamento continuo: quando incontrate un nemico, «pregate per lui»; quando sapete che uno parla male di voi, voi parlate bene di lui: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44). Nel Vangelo di Luca Gesù è ancora più esigente: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra» (Lc 6,27-29).

È il suo grande testamento, consegnatoci nell’Ultima Cena: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27).

È quella che dona come primo suo saluto dopo la sua risurrezione: «Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”» (Lc 24,36 e Gv 20,19.26).

La sua non era la stessa “pace del mondo”, ma quella di Dio, quella del Vangelo, che i discepoli avrebbero dovuto portare nel mondo senza paura: – «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21); «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27); piuttosto «abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

È lo stesso coraggio che ci chiede Papa Francesco nella Gaudete et exsultate: «Non è facile costruire questa pace evangelica che non esclude nessuno, ma che integra anche quelli che sono un po’ strani, le persone difficili e complicate, quelli che chiedono attenzione, quelli che sono diversi, chi è molto colpito dalla vita, chi ha altri interessi. È duro e richiede una grande apertura della mente e del cuore […] costruire la pace è un’arte che richiede serenità, creatività, sensibilità e destrezza» (n. 89).

È duro, è difficile, ma non impossibile. Tutta la storia della Chiesa è scandita da uomini e donne che hanno creduto nella pace e si sono impegnati ad essere operatori di pace con la loro vita e le loro parole.

Basti pensare, proprio, al secolo scorso, il più insanguinato nella storia dell’umanità.

Papa Benedetto XV, mentre infuriava la Prima guerra mondiale, non ebbe paura di definirla «una carneficina», un «immane flagello», «suicidio dell’Europa», «la più fosca tragedia dell’odio umano e dell’umana demenza», «orrenda carneficina, che ha fatto del mondo un ospedale ed un ossario».

Indisse una giornata di preghiera per la pace, componendo una preghiera, ove «sgomenti dagli orrori di una guerra che travolge popoli e nazioni» invocava il Cuore di Gesù perché ispirasse «consigli di mitezza» ai «reggitori e ai popoli» e avessero «pietà di tante madri angosciate per la sorte dei figli; pietà di tante famiglie, orfane del loro capo, pietà della misera Europa, su cui incombe tanta rovina». Quando, poi, l’Italia entrò in guerra (24 maggio 1915) fu profetico: «Il terribile incendio si è esteso anche alla Nostra diletta Italia, facendo purtroppo temere anche per essa quella sequela di lagrime e disastri». 

Ma non si rassegnò e fece aggiungere alle Litanie della Madonna l’invocazione «Regina della pace», che ancora oggi recitiamo: «Quando l’uomo ha indurito il suo cuore e l’odio ha pervaso la terra; quando imperversano il ferro ed il fuoco ed il mondo risuona di armi e di pianti […] con sicura fiducia diciamo: “Regina pacis, ora pro nobis!”». Infine, il 1° agosto 1917 pubblicò la famosa Nota ai Capi dei Paesi con precise indicazioni per giungere «quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale ogni giorno più appare inutile strage»,

Il Papa fu ricoperto di insulti, ma i punti per la pace che aveva proposto furono astutamente ripresi dal presidente americano, Woodrow Wilson, che li impose agli alleati.

Benedetto XV forse fu inascoltato – almeno ufficialmente – e umiliato, ma non si rassegnò ed indicò una strada che la Chiesa non ha mai più cessato di percorrere.

Il suo successore, Pio XI, scongiurò di non tornare alla guerra e durante la Conferenza di Monaco, l’ultimo ipocrita cedimento europeo a  Hitler, offrì la sua stessa vita per la pace, «mentre milioni di uomini vivono ancora in ansia per l’incombente pericolo di guerra e per la minaccia di stragi e rovine, che non si possono neppure immaginare» (29 settembre 1938).

Un appello raccolto e rilanciato dal suo successore, Pio XII, che, quando fu reso noto il Patto Molotov – von Ribbentrop, con cui Germania Nazista e Unione Sovietica si spartivano la Polonia, disse alla radio (24 agosto 1939) di parlare a nome di «tutti i retti di cuore, tutti quelli che hanno fame e sete di giustizia, tutti quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore […] delle madri e dei padri, che dovrebbero abbandonare le loro famiglie, degli umili, che lavorano e non sanno, degli innocenti, su cui pesa la tremenda minaccia, dei giovani, generosi dei più puri e nobili ideali. […] l’umanità intera aspetta giustizia, pane libertà, non ferro che uccide e distrugge». E gridò: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra».

Non fu ascoltato e iniziò la Seconda guerra mondiale, ma non si rassegnò e lottò contro quei due “Imperi del male”, che attuarono il più immane genocidio della storia umana: il Papa salvò più di 770.000 ebrei dallo sterminio.

Il suo grido per la pace fu ripreso da san Paolo VI, che il 4 ottobre 1965 si recò – primo papa a farlo – a New York per parlare all’Assemblea Generale dell’ONU: «Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!». 

Egli, poi, il 1° gennaio 1968 istituì la Giornata Mondiale della Pace: «Lo facciamo perché la pace è nel genio della religione cristiana, poiché per il cristiano proclamare la Pace è annunciare Gesù Cristo […] e solo dal Vangelo, alla fine, può effettivamente scaturire la pace, non per rendere fiacchi e molli gli uomini, ma per sostituire nei loro animi agli impulsi della violenza e delle sopraffazioni le virili virtù della ragione e del cuore d’un vero umanesimo […] Occorre suscitare negli uomini del nostro tempo e delle generazioni venture il senso e l’amore della pace fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà, sull’amore».

San Paolo VI riprendeva in questo modo l’appello di san Giovanni XXIII che, ormai vicino alla morte, aveva pubblicato l’enciclica Pacem in terris. (11 aprile 1963) e volle indirizzarla non ai soli cristiani, ma «a tutti gli uomini di buona volontà», a tutti coloro che desideravano la pace e per essa pregavano Dio: «Allontani egli dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace» (n. 91).

San Paolo VI per quella prima Giornata della pace propose un’accorata preghiera: «Ricordati, Padre di misericordia, di tutti quelli che sono in pena, soffrono e muoiono nel parto di un mondo più fraterno. Che per gli uomini di ogni lingua venga il tuo Regno di giustizia, di pace e d’amore». 

Originariamente avrebbe dovuto essere una Giornata di preghiera per la pace: fu accolta da tutto il mondo e, per questo, si dovette rinunciare a chiamarla “di preghiera”, ma solo “per la pace”, onde rispettare i non credenti, ma tanto bastò a Papa Montini, perché la pace è il bene supremo dell’uomo: dove regna la pace lì c’è Dio.