Il cristiano ha “fame e sete di giustizia”

In una circolare dello scorso novembre a motivo della pandemia avevo invitato i vari gruppi associativi a non disgregarsi, ma a rimanere uniti cercando di mettere in atto nuove iniziative, ripensando alla nostra vita associativa ed alla formazione con altre modalità, ma con coraggio e determinazione.

In questo ci sono state di aiuto le nuove tecnologie, di cui quasi tutti oggi facciamo uso, che ci hanno permesso di poter proseguire e sviluppare in diverse diocesi il progetto formativo concordato in sede nazionale, grazie agli Assistenti che si sono resi subito disponibilissimi ed a soci e socie che hanno approfondito alcuni temi riportati dalla rivista.

Desidero condividere con voi una delle ultime riflessioni di don Silvio Sgrò, assistente del gruppo di Palermo sulla beatitudine “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia”

Carissime/i Collaboratori Familiari del Clero, vi raggiungo con questo messaggio nel giorno in cui nelle Chiese di Sicilia si celebra la memoria di Maria Madre della Chiesa.

Affidiamo a Lei il nostro cammino e in particolare la vita dei presbiteri, dei diaconi e di tutti coloro che si preparano al ministero ordinato.

In questo mese ci soffermiamo insieme a meditare sulla quarta beatitudine:

“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”

Nell’Esortazione Apostolica “Gaudete et exultate”, Papa Francesco scrive: “Fame e sete sono esperienze molto intense, perché rispondono a bisogni primari e sono legate all’istinto di sopravvivenza. Ci sono persone che con tale intensità aspirano alla giustizia e la cercano con desiderio molto forte. Gesù dice che costoro saranno saziati, giacché presto o tardi la giustizia arriva, e noi possiamo collaborare perché sia possibile, anche se non sempre si vedono i risultati di questo impegno” (n.77).            

 Anche nella nostra terra di Sicilia, a differenza di quanto si possa immediatamente pensare, tanti uomini e donne hanno speso e spendono la loro vita a servizio della giustizia. Portiamo alla memoria le persone più o meno note che hanno offerto tale testimonianza arricchendo con il loro prezioso contributo la nostra terra. Come ci ricorda il Papa, chi ha fame e sete di giustizia, nella maggior parte dei casi, non vede i risultati del proprio impegno e, agli occhi di molti, appare sconfitto e sopraffatto dall’ingiustizia. Sorprendente è la determinazione con la quale molti operatori di giustizia procedono sulla loro strada nonostante tutto, con l’aggravante della solitudine che spesso sperimentano. È quindi possibile credere che “la giustizia presto o tardi arriva” e per questo andare avanti con coraggio, fiducia e speranza.

Preziosa per la nostra riflessione è la testimonianza del giudice Rosario Livatino che, sostenuto dalla fede e spinto da un’autentica fame e sete della giustizia, ha esercitato la sua professione come una missione da vivere “fino in fondo”.

Di seguito riporto una parte della lettera che i vescovi di Sicilia hanno scritto in occasione della sua beatificazione:

Amati figli e figlie delle Chiese di Sicilia, il Signore ha benedetto ancora questa nostra terra!

L’ha benedetta in uno di noi cresciuto in una comunissima famiglia delle nostre e in una delle nostre città dove ha respirato il profumo della dignità e dove ha appreso il senso del dovere il valore dell’onestà e l’audacia della responsabilità.

L’ha benedetta nella sua giovinezza che la forza della fede e gli ideali dell’angelo hanno trasfigurato di una bellezza straordinaria, impregnandola di amore per il bene comune, di passione per la verità e di sete della giustizia.

L’ha benedetta nella sua professione di magistrato esercitata coraggiosamente come missione laicale al servizio del Regno e della Storia, tanto dentro le aule pubbliche dei tribunali quanto nei meandri più nascosti del cuore umano, che egli ha saputo attraversare con discrezione e fermezza per garantire la difesa della legalità e tentare finanche la redenzione di chi ha avuto l’ardire di infrangerla.

 L’ha benedetta nella testimonianza del suo martirio, con cui egli ha seguito fino in fondo le orme del Maestro che, “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1).  Il 21 settembre del ’90 segna infatti il momento culminante di un cammino che coincide con la sua stessa vita e che procede decisamente nello stile della Pasqua: un cammino in cui la logica dello “scambio” propria del clientelismo che rende schiavi dei poteri forti di turno, è soppiantata — passo dopo passo — da quella del “dono”, che si compie nella gratuità incondizionata attraverso il passaggio obbligato della croce.

Oggi il Signore ha benedetto ancora questa nostra terra nella sua beatificazione, con la quale offre a noi e a tutti un modello nuovo e dirompente di santità: un modello insolito, che aggiunge ai canoni tradizionali del concetto di santità i connotati dei “santi della porta accanto “con la loro attualità e la loro concretezza, ma soprattutto con l’originalità della loro specifica missione, vissuta coerentemente per diventare più umani in sé stessi e più fecondi per il mondo.

A conclusione desidero esortare ciascuno di noi a non commettere l’errore di ritenere operatori di giustizia solo quegli eroi che hanno coraggiosamente lottato contro l’illegalità.                                

Il Papa ci ricorda che tutti i discepoli del Signore che vogliono fare la Sua volontà, sono operatori di giustizia.  A proposito scrive: “Tale giustizia incomincia a realizzarsi nella vita di ciascuno quando si è giusti nelle proprie decisioni, e si esprime poi nel cercare la giustizia per i poveri e i deboli” (n. 79). Quindi, anche noi offriamo con coraggio il nostro contributo facendo la volontà di Dio, vivendo onestamente e ponendoci dalla parte dei più deboli.

Uniti nella preghiera, buon cammino. don Silvio

Carla Di Vita