La Chiesa in minoranza
Don Gianluca Padovan – Sacerdote della diocesi di Vicenza – Vice delegato vescovile per il dialogo interreligioso – referente per il Triveneto del dialogo con i mussulmani
«Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. In contrasto con un periodo precedente, verrà vista molto di più come una società volontaria, in cui si entra solo per libera decisione. In quanto piccola società, avanzerà richieste molto superiori su iniziativa dei suoi membri individuali.
Scoprirà senza dubbio nuove forme di ministero e ordinerà al sacerdozio cristiani che svolgono qualche professione. In molte congregazioni più piccole o in gruppi sociali autosufficienti, l’assistenza pastorale verrà normalmente fornita in questo modo. Accanto a questo, il ministero sacerdotale a tempo pieno sarà indispensabile come in precedenza. Ma nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica».
Queste parole non sono mie, ma furono dette da Joseph Ratzinger durante una trasmissione radiofonica nel Natale del 1969. Fanno parte di un ciclo di cinque lezioni sul futuro della Chiesa dopo il Concilio, ed hanno avuto una nuova risonanza a partire dalle dimissioni di Papa Benedetto XVI nel 2013. Ho voluto riproporle anche a voi come esempio, per apprezzare come già negli anni ’60 fosse luogo comune del pensiero ecclesiale l’idea di una “Chiesa di minoranza”.
Con questa espressione si intende, di solito, fare riferimento ad una situazione in cui la comunità cristiana è poco numerosa, economicamente povera, scarsa di strutture e di altri strumenti sociali con cui intervenire nella società; per questo motivo la Chiesa di minoranza è anche marginale rispetto al suo contesto socioculturale. Generalmente, la Chiesa di minoranza è opposta alla “società cristiana”, che a partire dagli imperatori romani Costantino e Teodosio, nel IV secolo, fece dell’Europa un’unica comunità religiosa omogenea, legata al Papato ed alle pratiche cattoliche, fino agli scismi anglicano e luterano del XVI secolo.
Semplificando, possiamo dire che a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale la Chiesa cattolica in Europa perde terreno, le masse se ne allontanano mentre politica, economia e cultura allentano progressivamente i rapporti con le gerarchie ecclesiastiche e con la sensibilità cristiana. La Chiesa, abituata a considerare l’Europa come la propria patria storica, si scopre ormai straniera nelle terre di antica evangelizzazione. È il tempo in cui viene concepita l’idea di una “nuova evangelizzazione”, e di una missione indirizzata ai battezzati per aiutarli a riscoprire il senso del proprio Battesimo. Anche diversi movimenti cattolici, come neocatecumenali e rinnovamento nello Spirito, hanno come radice questa stessa prospettiva.
È una rivoluzione copernicana, ma va compresa fino in fondo per non ridursi ad uno slogan senza sostanza. Il rischio forte è quello di pensare che l’essere minoranza sia solo una disgrazia, un incidente storico a cui rimediare il più in fretta possibile.
In queste poche righe, io spero invece di mostrarvi che la Chiesa è sempre stata in minoranza, anche nei suoi momenti di maggior presa sociale e monopolio politico, economico e culturale. E questo essere minoranza non le ha mai fatto male, anzi è stato uno degli elementi che più l’hanno aiutata a vivere davvero il Vangelo e ad essere collaboratrice di Dio nel servizio alla salvezza del mondo.
L’errore, se posso chiamarlo così, è di prospettiva: se limitiamo l’orizzonte del nostro mondo alla sola Europa, o addirittura alla sola Italia, allora possiamo senz’altro affermare che per alcuni secoli la Chiesa fu maggioranza assoluta, perché la quasi totalità della popolazione e delle forze sociali erano legate ad essa.
Ma se invece prendiamo come unico riferimento il mondo nel suo insieme, e l’umanità tutta come destinataria del Vangelo, ci rendiamo conto che la Chiesa non è mai riuscita a diventare maggioranza.
Ripercorrendo velocemente i duemila anni di storia cristiana, vediamo come Gesù sia stato per tutta la vita un pensatore marginale rispetto al popolo di Israele, un maestro controcorrente, che ha suscitato un piccolo gruppo di discepoli ma è stato rifiutato dalle autorità e non ha trovato un sostegno nella popolazione più ampia.
Dopo la sua morte (e risurrezione, per noi credenti), a partire dall’opera dei primi discepoli si sviluppano diverse comunità cristiane prima in Gerusalemme e poi nelle altre città dell’Impero Romano, con una graduale espansione da oriente verso occidente. Meno conosciuta, c’è anche una crescita verso oriente, dove alcune comunità cristiane si avventurano nell’Impero dei Parti e continuano fino in India e addirittura in Cina occidentale.
Questo grande movimento missionario copre distanze grandissime ed abbraccia tutto il mondo antico, ma ha come risultato quello di disseminare in Europa, Asia ed Africa tante piccole comunità cristiane, che nella propria città sperimentavano la fragilità di essere poco numerose, politicamente insignificanti, spesso povere e di scarsa cultura. Non a caso scrisse Paolo ai Corinzi:
“Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio”. (1 Cor 1,26-29)
La debolezza evidente delle comunità cristiane diventa per loro motivo di fede, di affidamento a Dio, di stupore e gratitudine nel constatare come proprio attraverso questi strumenti inadeguati il Signore vada diffondendo il Vangelo e trasformando il mondo.
Quando poi l’Impero di Roma adotta il cristianesimo come religione di stato, ed in seguito i vari regni barbari lo imiteranno, la Chiesa finì col sentirsi al centro del mondo. Ma sbagliava. La maggior parte dell’umanità non conosceva il Vangelo e non aveva particolari rapporti con il cristianesimo. La comunità cristiana, anche se ormai grande e numerosa, restava in minoranza nel vasto mondo. Ma l’orizzonte, che per gli antichi abbracciava tutto il vecchio mondo, dal Portogallo al Giappone, per una prima parte del Medioevo si rimpicciolì agli occhi degli Europei e si restrinse a Mediterraneo e Nord Europa. Così poterono cullare l’illusione di aver convertito tutto il mondo. La scoperta europea delle Americhe, e poi le spedizioni dei grandi navigatori intorno al mondo, rivelarono l’errore.
So di aver parlato di qualcosa che non sembra aver molto a che fare con l’annuncio del Vangelo, eppure in questi passaggi culturali troviamo chiavi di lettura necessarie per costruire il nostro modo di essere credenti oggi. Il mondo che Dio ci chiama ad abitare è più grande di noi, lo è sempre stato e sempre lo sarà. La Terra stessa, il nostro pianeta, è solo uno dei mondi abitabili, e l’Universo è tanto grande da riservarci senz’altro innumerevoli sorprese!
Sperimentando questa piccolezza, la Chiesa che siamo noi cresce alla scuola dell’umiltà evangelica, e si rende conto della propria vocazione: non conquistare il mondo, ma abitarlo da protagonista capace di parlare e di agire in un modo che scuota le coscienze, che susciti dibattito, che inneschi collaborazioni e promuova la fratellanza. La Chiesa non potrà mai abbracciare il mondo, perché il mondo è molto più grande di lei, e dobbiamo abbandonare questa retorica che falsa le nostre prospettive. Al contrario, noi per primi e le comunità cristiane a cui apparteniamo, siamo chiamati ad essere concittadini delle altre persone e delle altre comunità che da sempre coabitano con noi. Noi siamo e saremo sempre solo uno degli attori sul palcoscenico della storia, ma è nostro compito giocare una parte significativa, capace di contribuire alla buona riuscita dello spettacolo. Non abbiamo ricevuto un mandato da conquistatori, ma da servitori generosi e coraggiosi. Siamo missionari, in quanto uomini e donne che vivono il Vangelo e lo testimoniano anzitutto con le scelte concrete, e quindi anche nel parlare apertamente di Cristo.
Siamo e saremo sempre uno gruppetto di minoranza, e possiamo ringraziare Dio per questo, perché ci mette così nella condizione di essere liberi di dare testimonianza senza doverci atteggiare a padroni. Senza sottometterci a nessuno, non cerchiamo affatto di sottomette, ma ci mettiamo accanto a chiunque sia in cammino, come Cristo ad Emmaus, e facciamo delle nostre vite un pellegrinaggio verso il mistero di Dio che sta di fronte a tutte le sue creature. Così, come dice l’antico testo della Lettera a Diogneto: “A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani».