Martire della carità e del silenzio


Suor Naike Monique Borgo : suora Orsolina  del Sacro Cuore di Maria.
E’ giornalista pubblicista, direttrice dell’Ufficio Stampa della diocesi di Vicenza, direttrice e conduttrice a Radio Oreb.


Diventare “martire della Carità e del Silenzio” probabilmente non era negli orizzonti di p. Placido Cortese, frate minore conventuale e sacerdote, tanto più per un giornalista che diresse il Messaggero di Sant’Antonio dal 1937 al 1943. Un vero paradosso! Eppure la vita di Nicolò Matteo Cortese, il futuro p. Placido, è una chiave di comprensione di una beatitudine che crea sempre qualche fatica: nel vangelo di Matteo al versetto 10 del capitolo 10 si legge «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». 

Primo di quattro figli, nato a Cherso il 7 marzo 1907 (oggi Croazia), Nicolò Matteo nacque in una “famiglia modello, non ricca ma dignitosa”, si legge nella testimonianza di un’amica di famiglia. I tratti della madre, Antonia Battaia, vengono facilmente ricordati perché sempre sorridente, gentile, buona… Il padre, Matteo Cortese, era guardiaboschi. Insieme crebbero i quattro figli con valori saldi e una fede genuina, tanto che nel 1920 il futuro p. Placido venne affidato dal padre ai frati minori conventuali “perché ne curino l’educazione e facciano di lui un buon religioso, se così a Dio piacerà”. Entra così nel collegio di Camposampiero (Padova). Gli viene quindi dato il nome di Placido e vive il noviziato nel convento della basilica di sant’Antonio a Padova. Emette la prima professione il 10 ottobre 1924 e la professione definitiva il 4 ottobre 1928, quest’ultima nella basilica di san Francesco ad Assisi. Nel Collegio internazionale dell’ordine a Roma completa gli studi ed il 6 luglio 1930 viene ordinato sacerdote. Riceve come prima destinazione la basilica del Santo a Padova, luogo che gli permette di vivere il ministero con passione e zelo in modo particolare dai giovani universitari che frequentano Padova. In padre Placido trovano infatti un ottimo confessore e direttore spirituale. Nel 1933 viene destinato come viceparroco in una parrocchia di Milano, ma nel 1937 viene richiamato a Padova per dirigere la rivista “Messaggero di sant’Antonio”. 

E’ durante questi anni che p. Placido matura ed incarna la beatitudine dei perseguitati a causa della giustizia che papa Francesco nella catechesi del 29 aprile 2020 sviscera spiegando che “quando appare la santità ed emerge la vita dei figli di Dio, in quella bellezza c’è qualcosa di scomodo che chiama ad una presa di posizione: o lasciarsi mettere in discussione e aprirsi al bene o rifiutare quella luce e indurire il cuore, anche fino all’opposizione e all’accanimento (cfr Sap 2,14-15). È curioso, attira l’attenzione vedere come, nelle persecuzioni dei martiri, cresce l’ostilità fino all’accanimento. Basta vedere le persecuzioni del secolo scorso, delle dittature europee: come si arriva all’accanimento contro i cristiani, contro la testimonianza cristiana e contro l’eroicità dei cristiani. Ma questo mostra che il dramma della persecuzione è anche il luogo della liberazione dalla sudditanza al successo, alla vanagloria e ai compromessi del mondo. Di cosa si rallegra chi è rifiutato dal mondo per causa di Cristo? Si rallegra di aver trovato qualcosa che vale più del mondo intero. Infatti «quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?» (Mc 8,36). Quale vantaggio c’è lì?” 

All’inizio della sua esperienza di direttore del “Messaggero” padre Placido era ancora scettico su quanto si diceva rispetto alle persecuzioni messe in atto da fascisti e nazisti, la svolta avvenne proprio grazie al suo ruolo di direttore del Messaggero (parlava anche la lingua croata), che gli fece conoscere il campo di concentramento di Chiesanuova, alla periferia di Padova. Dopo la prima visita, il francescano non smise di prodigarsi per portare agli internati conforto e generi di necessità come cibo, vestiario e medicinali… 

Dopo il crollo del fascismo l’8 settembre 1943, p. Cortese diventa il riferimento più rilevante nella zona di Padova per la FRA.MA, un’organizzazione clandestina nata durante la Resistenza. Egli orienta tutta la sua opera assistenziale a favore di perseguitati politici, ebrei, militari alleati prigionieri o ricercati ed il suo confessionale è il fulcro di tutta la sua azione. 

Nella citata catechesi, il Pontefice sottolinea, purtroppo con immutata attualità, che essere perseguitati a causa della giustizia porta con dolore a “ricordare che, in questo momento, ci sono molti cristiani che patiscono persecuzioni in varie zone del mondo, e dobbiamo sperare e pregare che quanto prima la loro tribolazione sia fermata. Sono tanti: i martiri di oggi sono più dei martiri dei primi secoli. Esprimiamo a questi fratelli e sorelle la nostra vicinanza: siamo un unico corpo, e questi cristiani sono le membra sanguinanti del corpo di Cristo che è la Chiesa”.

Il pensiero di diventare martiri non può essere considerato veramente attraente, soprattutto in chi vive una autentica condizione di pericolo, a meno di aver già compiuto un importante cammino di ascesi, cioè di unione così profonda con il Signore da desiderare mettere nelle sue mani fino in fondo anche la possibilità di donare la vita per Lui. Risultano illuminanti i versetti 7 e 8 del capitolo 5 della Lettera ai Romani, dove si legge “Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”. Se già san Paolo ammette che con grande fatica si potrà trovare qualcuno disposto a morire per un giusto, si intuisce allora quale conversione radicale abbia vissuto il cuore di p. Placido, forse aiutato dall’attività in confessionale dove l’ascolto di confessioni, storie e necessità che l’hanno condotto ad una imparagonabile unità con il Signore! Eppure questo è quanto il Signore Gesù consegna ai suoi discepoli nell’ultima cena: “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). 

È lo stesso Maestro che poche ore dopo finirà la sua vita mortale sulla croce, in una condanna atroce, tra quelle riservate ai peggiori malfattori. Proprio a Lui che parlava e viveva l’amore. 

Chissà se nel cuore di p. Placido hanno risuonato questi versetti! Di certo, il cammino di conversione ha subito una grande accelerazione al punto da essere con la sua vita “pietra d’inciampo” per gli altri, esattamente come il suo Maestro, che era segno di contraddizione per chi lo incontrava. Dal gennaio 2021 davanti alla basilica di sant’Antonio a Padova è stata posta una delle pietre d’inciampo che vogliono essere aiuti per la memoria storica soprattutto per quella legata ai fatti della seconda guerra mondiale. Padre Placido è diventato anche una pietra d’inciampo dunque, quasi a voler continuare l’opera di ricerca della verità che da giornalista e direttore fece con grande passione. Proprio l’impegno in ambito giornalistico e lo zelo apostolico hanno fatto sì che il 5 giugno 2017 gli venisse conferita anche la Medaglia d’oro al Merito Civile dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è stata consegnata a Padova l’8 febbraio 2018. 

Dentro quel confessionale infatti venivano consegnate indicazioni su uomini e donne in pericolo o da aiutare nella fuga. Vi era una particolare “grammatica” capace di essere compresa solo dalla fitta rete che p. Placido aveva creato. Ciascuno aveva un suo compito: chi si preoccupava dei vestiti, chi dei documenti, chi delle foto, chi del trasporto… Gli tornò utile non aver dimenticato la lingua natìa, il croato, alla quale aggiunse anche lo sloveno, che gli permise di comprendere direttamente gli internati. L’intraprendenza e la creatività lo aiutarono e fece tutto perché quelle vite fossero salve. Tutto per il gusto che il vangelo metteva nelle giornate e nella vita di p. Placido. 

Papa Francesco metta in guardia però: “dobbiamo stare attenti anche a non leggere questa beatitudine in chiave vittimistica, autocommiserativa. Infatti, non sempre il disprezzo degli uomini è sinonimo di persecuzione: proprio poco dopo Gesù dice che i cristiani sono il «sale della terra», e mette in guardia dal pericolo di “perdere il sapore”, altrimenti il sale «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente» (Mt 5,13). Dunque, c’è anche un disprezzo che è colpa nostra, quando perdiamo il sapore di Cristo e del Vangelo”.

Non è il caso di p. Placido Cortese, descritto da tutti come placido e cortese con tutti, oggi riconosciuto venerabile e martire della carità e del silenzio perché, quando venne arrestato l’8 ottobre 1944, preferì la morte brutale che gli venne inflitta verso il 15 novembre 1944 piuttosto che il tradimento dei suoi amici e collaboratori. A Trieste, nella sede della Gestapo si compì la sua vita, non lontano da dove nacque. Nella Positio presentata al Dicastero per le cause dei santi si legge: “Era l’anno 1943, al Seraphicum, in via S. Teodoro, era ospite a tavola il P. Placido Cortese, un frate padovano che parla il croato. Lavora nell’assistenza agli internati del lager di Padova [si riferisce al campo di Chiesanuova, ndr]. Alla fine del pranzo ci siamo stretti la mano ed abbiamo scambiato i saluti in croato. Di bassa statura e quasi impercettibilmente zoppicante.

Quando fu rapito, hanno detto che sono giunte due persone che gli hanno chiesto di visitare una persona ammalata. E se ne è persa traccia. Abbiamo avuto martiri del segreto confessionale. Padre Placido martire del silenzio sacerdotale: non ha voluto tradire i nomi dei suoi collaboratori. Riteneva che ciò che gli si diceva anche fuori della confessione, fosse come se glielo avessero detto in confessione”.

Un martire vero, testimone di un amore che infiamma il cuore e permette di accogliere anche la persecuzione a causa della giustizia sapendo che il Regno si costruisce anche così.