SENZA LE PAROLE
Predicate il Vangelo in ogni momento e se necessario usate le parole. Queste parole attribuite a Francesco di Assisi hanno sempre suscitato in me un grande fascino. Leggendo la sua Regola, soprattutto nei capitoli riguardate lo “stile” missionario, salta agli occhi immediatamente il suo desiderio che il Vangelo sia annunciato da testimoni credibile ancor prima che credenti.
La prima cosa che il Santo di Assisi raccomanda ai suoi frati è che non facciano liti o dispute. Credo sia necessario partire da qui se vogliamo parlare di missione della Chiesa e quali sono le qualità indispensabili per metterla sempre in atto e offrire anche a voi, carissimi famigliari del clero, alcuni spunti circa la vostra vita all’interno della Chiesa e per la Chiesa.
Vorrei fare alcune considerazioni preliminari proprio sul termine Missione per “ripulirlo” da alcuni equivoci e anche da un po’ di “romanticismo”.
Innanzi tutto la missione della Chiesa non è un optional, non si tratta di qualcosa da organizzare quando abbiamo pensato a tutto il resto. Potremmo dire che la parola Chiesa e la parola Missione sono due sinonimi. O la Chiesa è missionaria o non è. Per tanto tempo abbiamo fatto coincidere il significato di missione all’opera straordinaria di tanti preti, religiosi e laici che hanno solcato mari, percorso deserti e foreste e portato il Vangelo fino ai confini estremi del mondo. Questa è certamente Missione. Ma anche io, prete della campagna bolognese, posso definirmi un missionario? E tu che presti servizio in parrocchia sei un missionario o un funzionario? E quando andiamo a fare la spesa o parliamo con il vicino di casa, siamo missionari o condomini?
Ritornando alle parole di San Francesco, il nostro stile di vita, la nostra affabilità è di fatto il campo nel quale annunciamo la buona notizia di Gesù. Siamo missionari tutte le volte che le nostre opere suscitano domande di “curiosità” evangelica.
Noi che spesso ci arrovelliamo nel preparare incontri, definire piani pastorali, ci dimentichiamo che il primo annuncio del Vangelo non avviene con le parole, ma con il modo di vivere.
Capiamo bene quindi che essere missionari significa assumere “acca ventiquattro” lo stile e il pensiero di Gesù, sentirlo intimamente dentro di noi e quanto è difficile tutto questo!
Personalmente posso sentirmi adatto a parlare del Vangelo, attraverso qualsiasi forma e modo, ma altra cosa è lasciare che ogni mia parte sia evangelizzata e quindi di conseguenza missionaria. Che fatica quando il campanello della canonica suona cento volte al giorno avere uno stile sempre evangelico, sempre missionario. Proprio quando sto per mangiare e squilla il telefono, che fatica avere uno stile che richiami quello di Gesù.
Sembrerà banale, forse lo sottovalutiamo, ma il primo modo di essere missionari non è nelle grandi cose o riguardo alle testimonianze “sotto i riflettori”. La prima qualità è il nostro essere affabili, amabili, come dice san Paolo nella lettera ai filippesi: Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! (Fil4.4).
Potremo chiederci se le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, le nostre canoniche sono davvero missionarie. Tutti quanti (preti e laici) siamo spesso travolti dai ritmi quotidiani e ci dimentichiamo che lo stile è il messaggio. Quante volte le persone considerano burbere certe nostre risposte o modi di fare. Il più delle volte lo facciamo inconsapevolmente (ci mancherebbe) ma con la stessa attenzione con la quale prepariamo un’ omelia, un incontro, una qualsiasi azione pastorale, dovremo pensare al nostro stile, alla nostra affabilità. Le persone avvicinabili e amabili testimoniano senza le parole che il Signore è vicino, e questo è il primo passo della missione.
Il secondo passo indicato da San Francesco è quello che i missionari non facciano liti o dispute. Questa indicazione mi piace interpretarla in due modi. Il primo è quello che i missionari non facciano liti o dispute nei confronti di coloro che ricevono l’annuncio. Talvolta la chiesa missionaria arranca proprio perché il nostro modo è un po’ “scontroso”, cioè non alieno allo scontro. Come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, la Chiesa guarda con simpatia il mondo e questa simpatia deve manifestarsi in uno stile che eviti sempre lo scontro e le liti. Noi dobbiamo litigare e scontrarci contro il peccato contro ciò che minaccia la dignità dell’uomo, ma quante volte ci lasciamo invece coinvolgere in scontri e liti superficiali e non essenziali. Le nostre liti con i fotografi ai matrimoni, con i genitori del catechismo, a volte anche nei confronti di padrini e madrine, con chi mette alla prova la nostra pazienza: quanto tutto ciò è grottesco e anche un po’ ridicolo.
Quante volte andiamo allo scontro anche solo per difendere le nostre idee come se il Signore avesse bisogno di spade e bastoni per essere difeso!
È missionario certamente a volte un silenzio, un gesto ripetuto senza mai stancarsi. È missionario quando siamo pecore in mezzo ai lupi (ricordiamocelo sempre) e non lupi in mezzo ad altri lupi.
Il secondo significato dell’indicazione della regola di San Francesco è che le liti e gli scontri possono accadere anche tra di noi e questo è ben peggio del primo!
Vedere due preti litigare o operatori pastorali agguerriti uno contro l’altro è la più grande contro testimonianza che si possa dare. A me piace vedere le assemblee parrocchiali accese e animate. Se il fine è sempre quello della ricerca del bene e del meglio, beh allora le nostre assemblee potranno essere anche infuocate, ma quando si cerca il proprio interesse e la difesa della propria posizione, non dirado le assemblee parrocchiali diventano riunioni di condominio. Noi abituali frequentatori degli ambienti parrocchiali siamo forse quelli che corrono di più questo rischio. Abbiamo bisogno di costante vigilanza e che il Signore sempre ci illumini. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13,35), dice Gesù come una delle sue ultime indicazioni ai suoi discepoli.
Queste semplici, ma fondamentali indicazioni che ci vengono dalla tradizione francescana, ci aiutano a comprendere come tutti noi siamo missionari partendo proprio dalle piccole cose. Ogni luogo che frequentiamo diventa un potenziale campo di missione e ricordarci che il Vangelo si annuncia sostanzialmente senza parole, ci fa proprio bene.
Vorrei concludere pensando a quante volte anche io ho fatto esperienza di essere stato evangelizzato da uno stile assomigliante a quello di Gesù. Qualche confessione nella quale il prete confessore ha avuto la delicatezza di stringermi la mano senza dire troppe parole. Quando qualcuno ha preparato per me un bell’incontro spendendo tempo ed energie. Quanti catechisti più grandi mi hanno accompagnato ai campi scuola usando le loro ferie. E quante volte non li ho fatti dormire di notte correndo qua e la con gli amici e il giorno dopo hanno continuato a stare lì con noi, scommettendo sulla loro azione educativa.
Ma quanto questo è vero anche nella vita delle nostre famiglie, piccole chiese domestiche. Lo sguardo stanco ma felice di una mamma al termine di una lunga e faticosa giornata non è forse la più bella testimonianza missionaria? Così, senza le parole…
don Matteo