Emittenti del Vangelo
«Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20).
Il mandato del Risorto alla sua Chiesa è chiaro e inequivocabile: ai cristiani di ogni tempo e di ogni luogo è affidato il compito di fare discepoli tutti i popoli insegnando e battezzando. Queste e altre parole di Gesù hanno sempre dato alla Chiesa forza e spinta missionaria e su questo possiamo davvero constatare una grande fedeltà al mandato del Signore. È grazie a queste parole che l’annuncio del Vangelo è giunto fino ai confini estremi della terra. Queste parole hanno ispirato i cristiani a trovare sempre modi e forme nuove per l’annuncio. Li hanno spinti ad entrare nelle culture, nelle forme del linguaggio di ogni popolo. È grazie a queste parole che noi, cristiani dell’ultima ora, ammiriamo secoli di affreschi, vetrate decorate, dipinti, mosaici, nei quali il Vangelo è stato rappresentato ai nostri occhi proprio perché fosse annunciato a tutti popoli. Non solo l’annuncio e l’ammaestramento con le parole. Non solo secoli di predicazione: la Chiesa si è sempre servita anche dell’arte e di ogni forma di ogni cultura che nella strada dell’evangelizzazione incontrava.
Il mandato missionario del Risorto ci ha poi spinti ad abitare anche i luoghi educativi e sociali. Abbiamo annunciato il Vangelo iniziando anche dalla promozione umana, dall’accoglienza dei più poveri fino all’educazione dei più piccoli. Abbiamo ammaestrato i popoli costruendo ospedali, luoghi di ritrovo, oratori. C’è il desiderio di annunciare la buona notizia del Vangelo quando ci spendiamo per l’educazione o per una sana ricreazione dei nostri ragazzi.
Arte, luoghi e attività temporali tutto abbiamo percorso per annunciare il Vangelo, per essere fedeli alle parole del Risorto.
Poi noi cristiani del terzo millennio abbiamo visitato anche i mezzi di comunicazione. Anche in questi luoghi astratti ma assolutamente reali abbiamo visto una grande occasione per ammaestrare i popoli. Radio, TV sono diventate vere e propri areopaghi ove far risuonare le parole del Vangelo. E ora noi modernissimi apostoli 2.0 abbiamo anche abitato il Web, internet frontiera estrema dell’annuncio. Siti, blog, social network, è nata una nuova forma di evangelizzazione a colpi di click.
Mi chiedo sempre davanti a questa continua evoluzione, all’utilizzo di queste forme sempre nuove dell’annuncio, cosa avrebbe fatto Gesù ai nostri giorni. Forse è una domanda un po’ stupida e un pensiero banale, ma davanti allo sforzo che spesso la Chiesa opera nelle così dette attività temporali orientate all’opera di evangelizzazione, viene da chiedersi come le utilizzerebbe Gesù se fosse apparso in mezzo a noi nel terzo millennio.
Ricordo ai tempi del seminario di aver letto alcune pagine di don Lorenzo Milani che nelle sue esperienze pastorali notava che ci siamo messi a vendere gazzosa, noi che possediamo l’acqua della salvezza. Le sue parole suonavano più o meno così.
Certo occorre contestualizzare le riflessioni di don Milani, certo conosciamo lo spirito del prete di Barbiana, ma qualcosa di vero lo sentiamo in queste sue parole.
Nelle indicazioni di Gesù ai suoi discepoli in “partenza missionaria” risuona l’invito «quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi» (Lc 10,8), che ci fa pensare che ogni cultura e ogni forma è adatta al Vangelo. I discepoli dovranno adattarsi a ciò che gli viene messo dinanzi e dall’immagine del cibo, possiamo ricavare anche un invito all’adattabilità nostra davanti a tutto ciò che incontriamo. Anche ai discepoli 2.0 Gesù oggi raccomanderebbe di non scartare niente, di entrare dentro ogni città abitata dagli uomini e accogliere ciò che ci viene offerto. Luoghi, forme culturali, tutto può diventare favorevole al Vangelo. Su questo tra i discepoli dell’anno zero e noi non ci sono grandi differenze.
Altre famose indicazioni missionarie di Gesù le conosciamo molto bene: «curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio» (Lc 10,9). I cristiani curano, anzi potremmo dire, si prendono cura. La cura verso i malati non è soltanto prestazione sanitaria, ma è anche annuncio della vicinanza del regno di Dio. I cristiani che curano i malati non possono esimersi anche dall’annuncio del Regno. Mi piacerebbe fare qualche battuta in proposito, ma mi limiterò a chiedermi se alla continua e auspicabile ricerca dell’eccellenza sanitaria, i cristiani che si dedicano alla cura dei malati e negli anni hanno anche costruito ospedali con spiritualità religiosa, hanno anche perseguito una ricerca nell’eccellenza dell’annuncio. Forse gli evangelizzatori 2.0 hanno perso qualche colpo rispetto ai loro antenati…
Sempre nel vangelo di Luca cogliamo anche una certa sobrietà richiesta a coloro che evangelizzano e che ammaestrano (non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada) . Le indicazioni di Gesù sembrano designare un profilo un po’ “dimesso” del discepolo mandato, quasi che appaia in maniera lapalissiana la potenza del contenuto e non di colui che lo annuncia.
Potremo in coro intonare un bel: ahi, ahi, ahi!
Non vi nascondo una certa soddisfazione nel mostrare i muscoli nelle attività temporali della mia parrocchia. Dobbiamo vigilare attentamente. Il desiderio di creare luoghi accoglienti, moderni, muniti anche di tecnologia a servizio dell’annuncio del Vangelo, non deve mai segnare il passo ad un desiderio di grandezza. Un mostrarsi belli, ricchi, forti davanti agli altri. Tante volte i cristiani 2.0 hanno esagerato e propongono un contenuto d’argento in contenitori d’oro zecchino. È sempre il contrario: il contenuto deve apparire sempre più prezioso del contenitore che l’annuncia.
In questo gioco tra primordi e presente non possiamo dimenticarci che l’ammaestrare e rendere discepoli richiede un tu per tu. L’evangelizzatore è prima di tutto un fratello, un compagno di viaggio e mai un maestro alla TV. L’annuncio del Vangelo richiede prossimità, non siamo soltanto emittenti di un messaggio, ma siamo in primo luogo testimoni di vita. Non ho niente contro radio e TV evangelicamente dedicate, anzi. Trovo in esse un’ottima compagnia per le persone che non possono muoversi da casa perché inferme per esempio, ma vedo anche il rischio che l’emittenza prenda il posto della testimonianza. Un malato oltre ad “andare a Lourdes questa sera” (questa è la frase che mi sento dire quando un infermo si collega per il rosario trasmesso dalla grotta di Lourdes), deve ricevere anche la visita di qualche parrocchiano che continui a dirgli che il regno di Dio è vicino. È vicino no a portata di telecomando, ma a portata di mano, di abbraccio, di bacio.
Entrare nelle case mezzo radio e Tv, non è la stessa cosa che entrarci fisicamente. Il vangelo ha sempre richiesto e sempre richiederà la prossimità e questo accomuna tutti i cristiani di ogni millennio.
Non voglio che i miei ragazzi mi cerchino su Facebook, auspico che mi cerchino in canonica, in Chiesa, in oratorio e per le strade del mio paese. Io desidero incontrarli nelle loro vite e non nei loro profili.
Mangiamo ogni cosa ci venga messa davanti. Tradotto, utilizziamo ogni forma di ogni cultura, ma verifichiamo sempre se l’annuncio ha il primo posto. Se ogni attività temporale è orientata ad esprimere la vicinanza di Dio all’uomo e non si limiti invece a farsi bella e guardarsi allo specchio in una sorta di narcisismo evangelico. Ricordiamoci che mai e poi mai siamo emittenti evangelici.
don Matteo Prosperini