La salvezza dell’irreparabile
La salvezza dell’irreparabile
- L’arroganza dell’irreparabile.
Il male compiuto si impone con l’arroganza dell’irreparabile. “Quello che è stato è stato e non c’è rimedio”. Si può anche dire: “Me ne dispiace”, ma non c’è rimedio. Si può anche dire: “Non sapevo, non capivo, non mi rendevo conto”, ma non c’è rimedio. Si può anche dire: “Non lo farò più”; ma ciò che è fatto è fatto, non c’è rimedio.
Perciò il delitto è punito con la lapidazione secondo la legge di Mosè: la pena di morte sanziona la persuasione che l’adultera ha commesso il male irreparabile: non resta che una punizione esemplare.
La mentalità di sempre, anche di oggi, si arrende facilmente all’arroganza dell’irreparabile. “Abbiamo litigato. E’ finita. Il rapporto si è spezzato”. La frattura è irreparabile.
“Mi hai deluso. Mi hai tradito. Non mi fido più”. La stima è perduta per sempre, il rapporto si è spezzato e la situazione è irrimediabile.
“Hanno scritto di te che hai fatto questo e quello. Dovresti vergognarti!”. La fama è compromessa per sempre. Per gli anni a venire, chiunque sentirà pronunciare il tuo nome ne proverà disprezzo. Il discredito è definitivo, il danno per il tuo nome è irrimediabile.
- Siamo stati liberati (Rm 7,6).
Ma Gesù si pone di fronte all’irrimediabile come colui che trova rimedio.
L’atteggiamento di Gesù di fronte all’irreparabile non è la rassegnazione, non è l’accondiscendenza. La rassegnazione e l’accondiscendenza sono atteggiamenti conformi alla sensibilità contemporanea: sembra infatti che di fronte al dramma del peccato la nostra sensibilità induca non tanto a chiedere il perdono, ma piuttosto a minimizzare fino alla banalità. L’accondiscendenza induce a convincere e a convincersi che non c’è niente che sia peccato. Fa’ quello che vuoi, quello che ti piace, quello che ti conviene. Quello che fai va bene …
La parola di Gesù entra nel dramma del peccato, prende sul serio la devastazione che il male provoca nella vita delle persone e nelle relazioni tra le persone. Annuncia però che c’è un vangelo di liberazione, c’è una parola di perdono, c’è un rimedio all’irrimediabile: le passioni peccaminose si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. Ora, invece, siamo stati liberati dalla Legge per servire secondo lo Spirito che è nuovo.(Rm 7,5-6)
“Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più (Gv 8,11).
- Lo Spirito, che è nuovo.
La novità dello Spirito è principio di vita nuova, rende possibile scrivere una storia nuova. La comunità dei discepoli è come il lievito che fa fermentare tutta la pasta, che fa diventare storia la grazia, che dà motivo per contemplare e cantare le opere di Dio.
Possiamo anche noi oggi contemplare e cantare le opere di Dio.
L’opera di Dio è di fare del peccato una occasione per la misericordia. Il peccato dell’adultera, il peccato degli scribi e dei farisei zelanti per la legge e maldisposti verso Gesù diventa occasione per la misericordia: la consapevolezza del proprio peccato induce a lasciar cadere le pietre che si volevano scagliare contro l’adultera e per l’adultera la condanna a morte è trasformata nell’avviarsi di una vita nuova. La misericordia di Dio si manifesta nel perdonare, nel perdonare tutti, accusatori e accusati, difensori della legge e trasgressori: per tutti, per tutti c’è misericordia. Così vive la comunità dei discepoli in mezzo agli uomini: non come coloro che si ritengono giusti e che accusano gli altri di peccato, ma come coloro che sono peccatori e hanno fatto esperienza di misericordia e sentono la bellezza di annunciare a tutti il vangelo della misericordia, la possibilità di porre rimedio all’irrimediabile.
L’opera di Dio è liberare dalla Legge per servire secondo lo Spirito: la storia che nasce dal perdono è intensa di frutti dello Spirito. Nasce dallo Spirito che è nuovo una persona che è nuova, una comunità che è nuova: dal cuore docile allo Spirito viene il bene, dalla persona abitata dallo Spirito vengono le opere buone: la gioia, la carità, la benevolenza, la mitezza, l’amore per la giustizia, la fantasia per immaginare una economia diversa, una politica diversa, una convivenza diversa, l’energia per affrontare le sfide, la resistenza per fare fronte alle opposizioni, per non lasciarsi piegare dalle delusioni, per non lasciarsi stancare dall’ingratitudine.
L’opera di Dio è “far trovar grazia davanti a coloro che ci hanno deportati, perché tutta la terra sappia che tu sei il Signore nostro Dio” (Bar 2,14-15). Il popolo in esilio, il cristiano nel mondo, il discepolo nel vissuto quotidiano desidera essere una presenza che suscita simpatia, che stringe rapporti di amicizia, che edifica una convivenza solidale e così dà lode a Dio. L’arte di abitare la città praticando il buon vicinato è la strada abituale per fare di quell’enorme conglomerato di eremiti, che vivono in città condannati alla solitudine, una fraternità che produce frutti di pace.