Incaricati dell’Impossibile

a cura di Mons. Mario Delpini – Vescovo Ausiliare di Milano

 

  1. L’impossibile e il mistero.

La mentalità del mondo definisce l’orizzonte del possibile nei limiti di quello che le risorse umane possono produrre, calcolare, pensare. Molte cose che anni fa erano impossibili sono diventate possibili perché sono progredite le conoscenze, le tecniche, le risorse disponibili. La mentalità del mondo ha circoscritto il mondo e per quanto abbia esplorato l’universo fino a distanza impressionanti, ha però deciso che poi ci sono confini che non si possono superare e verità che non si possono prendere per vere.

Il mondo ha applicato lo stesso criterio anche alle pagine del Vangelo e alle verità cristiane: alcuni leggono volentieri il vangelo, ma come un repertorio di belle frasi, come un manuale di buone maniere, ma hanno confinato nell’impossibile e nell’incredibile il cuore del Vangelo, cioè la verità a proposito di Gesù.

Gesù è il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria: impossibile.

Gesù è morto e risorto: impossibile.

Gesù è realmente presente nel pane e nel vino consacrati: impossibile.

I credenti, quelli almeno che non si lasciano contagiare dalla mentalità del mondo,  credono che il Padre che sta nei cieli e che è prima di tutti i cieli e sopra tutti i cieli, operi nella storia e chiamano la sua opera il mistero che salva, più luminoso della luce, più ragionevole della ragione, più necessario dell’aria che si respira, più lieto di ogni gioia che la terra possa produrre.

L’impossibile i cristiani lo chiamano mistero.

  1. Incaricati dell’impossibile.

Di questo impossibile sono specialmente incaricati i preti.

Ecco, forse un prete si può definire anche così: incaricato dell’impossibile.

Prende il pane e il vino e lo offre come il corpo e il sangue di Cristo. Tutti i giorni si compie per la parola del prete  quello che è impossibile, il mistero della presenza reale della Pasqua di Gesù che diventa pane per la vita del mondo. Un prete lo fa con semplicità, come cosa ordinaria. È, infatti, incaricato  dell’impossibile

Si avvicina ai drammi più dolorosi, visita le persone malate, accoglie in chiesa i morti e canta l’alleluia, io credo risorgerò! Così spesso canta la speranza impossibile: lo dice e canta come una verità familiare. È incaricato dell’impossibile.

 

Un prete prende la responsabilità di una comunità pastorale: si tratta di convocare parrocchie diverse, identità comunitarie e personali che si sono costruite in autonomia e, per così dire, in parallelo, per dire: dobbiamo incontrarci, dobbiamo pensare insieme, farci carico insieme della missione di annunciare il vangelo a questo territorio, diventare un cuore solo e un’anima sola uniti nella carità, nella collaborazione concreta, nel rispetto di ambiti di competenza ma resistendo alla tentazione dell’autoreferenzialià. E un prete lascia la parrocchia dove è stato prima e si fa carico dell’impresa: alcuni la giudicano impossibile, alcuni anche cercano di renderla impossibile. Ma il prete ritiene che sia l’impresa in cui opera la potenza di Dio, ritiene che lo Spirito di Dio sia presente e operi nella gente di buona volontà perché con stile cristiano, cioè con gli stessi sentimenti e i pensieri di Gesù, si costruisca una comunità cristiana.

Il prete si dedica a questa impresa con dedizione e intelligenza quotidiana, soffrendo dei fallimenti e rallegrandosi  dei frutti promettenti, non si lamenta e non si sorprende, non si esalta e non si illude. Semplicemente offre il suo ministero, ogni giorno. È incaricato dell’impossibile.

Un prete, come capita, come capita a tutti prima o poi, si ammala, la malattia di aggrava, i giorni di speranza si alternano ai giorni di scoraggiamento e al sentimento dell’irreparabile. Un prete vorrebbe fare anche del suo soffrire un’offerta gradita a Dio, unita al soffrire di Gesù, sostenuto dalla speranza della risurrezione, come estremo atto d’amore per la sua comunità, come il seme che muore per produrre molto frutto.  Alcuni giudicano questa impresa impossibile, perché hanno posto i confini della speranza fin dove comincia il dominio della morte. Il prete invece si consegna al mistero perché sa che il nostro Dio è il Dio dei vivi e non dei morti e nel suo Figlio Gesù fa risorgere anche i morti. Perciò nello strazio dell’anima e del corpo, il prete celebra la sua messa anche quando deve stare in un letto piuttosto che sull’altare. È incaricato dell’impossibile.

 

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Mons. Mario Delpini

Vescovo Ausiliare di Milano