Essere Santi, scegliere il meglio

Carissimi Familiari del Clero, con questo contributo iniziamo un percorso di riflessione che ci condurrà per tutto quest’anno. Spero davvero di essere all’altezza del compito che la vostra associazione mi ha affidato, so che siete lettori “dal palato fine” e certamente don Marco, che mi ha preceduto in questa rubrica, vi ha abituato bene! Lasciate che mi presenti prima di iniziare a scrivere. Sono don Matteo Prosperini e sono un prete della diocesi di Bologna. Ordinato nel 2007 sono un parroco di provincia anzi, diciamolo pure, di campagna. Ringrazio il Signore per il dono che mi ha fatto e ringrazio anche voi che mi avete chiesto di offrirvi queste riflessioni mensili. Riflettere e scrivere significa fermarsi, trovare una sosta nelle nostre occupazioni giornaliere e questo non potrà che farmi bene! E allora partiamo alla scoperta dell’umanità della Chiesa che sarà il filo conduttore di questa sezione della vostra rivista.

In modo particolare oggi proviamo a riflettere circa l’universale chiamata alla santità quale fine di un’esistenza che si compie nella comunione con Dio, nella risposta ad una vocazione specifica. Non vi nascondo che appena mi è stato affidato il titolo per questa mia riflessione mi sono alquanto spaventato. Cosa posso dire io a proposito di un tema così grande e per certi aspetti davvero insondabile?

Mentre mi arrovellavo cercando un filo conduttore al quale aggrapparmi, come sempre la Parola di Dio mi si è rivelata un ottimo sentiero da percorrere per giungere ad uno sguardo “panoramico”, bellissimo circa questo argomento. Mentre meditavo la Scrittura della seconda domenica di avvento e fuori dalla mia chiesa una nebbia ghiacciata e densa nascondeva la campagna che mi circonda, mi sono soffermato su un passaggio della lettera che Paolo scrive ai cristiani di Filippi: Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (Filippesi 1,6). Questa frase di Paolo è molto cara ai vostri sacerdoti che stimate e con i quali collaborati. Il giorno della nostra ordinazione presbiterale il Vescovo ha fatto su di noi questa preghiera, ha chiesto che il Signore porti a compimento ciò che ha iniziato in noi. Certamente questa frase di Paolo non è ad uso esclusivo dei preti, l’apostolo scrive ai credenti di quella comunità e credo proprio che in questa suo preghiera sia racchiuso il senso della santità, quale fine dell’esistenza umana.

La nostra santità è innanzitutto e sostanzialmente un’opera divina. È il Signore che ha iniziato in noi la Sua opera ed è proprio Lui che più di tutti (anche di noi stessi) desidera portala a compimento. Troppo spesso consideriamo soltanto l’aspetto “ascetico” della nostra santità, aspetto certamente importante, ma che tuttavia non ne è la base, il fondamento. La santità in primo luogo non è un cammino faticoso verso la vetta, ma è l’opera silenziosa e irrevocabile di Dio sulla nostra vita. Nulla può fermare questo compimento, nulla può impedire a Dio di realizzare la nostra santità, nulla la può fermare, ma il nostro peccato può decisamente “tirare il freno” in questo processo di trasformazione della nostra vita. È il peccato che come un laccio pieno di nodi ci rallenta e impaccia i nostri passi. Non a caso proprio la seconda domenica di avvento ci proponeva la figura di Giovanni Battista il quale, prima di ogni cosa, chiede ad ognuno di noi la conversione, condizione necessaria affinché il cammino della nostra santità possa proseguire. La conversione è la nostra libera scelta di tagliare i legacci che ci tengono al palo, sciogliere i nodi che ci rendono schiavi e tristi. Battesimo di conversione e perdono dei peccati (Lc 3,3): desideriamo di sciogliere i lacci del peccato e il Signore attraverso il suo perdono scioglierà i nodi.

L’apostolo Paolo poi continua ad illuminarci riguardo alla santità nella sua lettera ai filippesi:  Perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo (Filippesi 1,9-10). Paolo desidera che i filippesi crescano, si arricchiscano: ciò che ci appassiona di più è vedere gli altri crescere. Questa è l’esperienza per esempio di ogni genitore. Qual è il desiderio più grande? Vedere i propri figli crescere, diventare donne e uomini arricchiti, capaci cioè di scegliere (come dice Paolo) il meglio. Ecco un altro aspetto imprescindibile della nostra santità, la capacita di scegliere il meglio. Ciò che ognuno di noi spera per i propri figli, il Signore lo spera molto di più per ognuno di noi. Essere santi significa imparare a scegliere il meglio, questa è la risposta a Dio e la scelta di ogni specifica vocazione. Il nostro percorso di crescita e di santità passa attraverso il discernimento tra il bene e il male, ma si perfeziona nella scelta del meglio. Infondo non è questo che ammiriamo nelle figure dei santi che veneriamo e spesso campeggiano appesi in qualche quadro nelle nostre case e nelle nostre canoniche? Il loro aver scelto il meglio, quella parte migliore che Gesù indica a Marta nel vangelo di Luca (Lc 10,42). La tradizione ignaziana vede proprio nel ”magis” quella ricerca dell’amare sempre di più che ci spinge ad un movimento verso la volontà di Dio. I santi che la chiesa riconosce e venera hanno di fatto compiuto questo cammino e proprio le loro vocazioni ci spingono a fare altrettanto. Forse a volte avvertiamo un sottile grigiore e una noiosa stanchezza nelle nostre comunità parrocchiali perché ci siamo tutti fermati al discernere il bene e il male, ma ci siamo dimenticati che il nostro cammino di santità deve essere sempre indirizzato alla scelta del meglio. Ogni specifica vocazione nella chiesa risponde a questa ricerca. Non si abbraccia una scelta per comodo, oppure per mancanza di alternative. Noi sentiamo di poter vivere una specifica vocazione proprio perché la consideriamo il meglio. Quante altre cose avremmo potuto fare nella nostra vita…ma la ricerca del meglio ci ha spinto ad abbracciare proprio quella e non altre.

Aiutiamo i nostri giovani in questo discernimento. Siamo tutti immersi (adulti e giovani insieme) in un clima che ci invita a scegliere il facile, il comodo, il breve, il piacevole, tutti criteri comprensibili, ma altra storia è il magis.

Per compiere questo cammino bisogna evidentemente allenarsi. Come il nostro corpo va allenato per poter compiere una corsa o una bella nuotata, così anche la nostra capacità di discernimento va allenata in questa direzione. Come? Cominciando dalle cose piccole.

Ogni giorno siamo di fronte alla scelta del meglio, ogni giorno posso ricercare la parola migliore da dire ad un mio fratello o ad una mia sorella. Ogni giorno posso discernere il gesto migliore da compiere in una situazione, ogni giorno posso scegliere il modo migliore di amare la realtà e le persone che mi stanno accanto. Ogni giorno.

Si incomincia sempre dalle cose piccole per poi essere allenati alle scelte grandi. Chi è fedele nel poco è fedele, è fedele anche nel molto (Lc16,10), dice Gesù. Si incomincia da una corsa di pochi chilometri per allenarsi alla maratona, si incomincia con qualche vasca per saper nuotare un’ora intera.

I santi che sentiamo amici e intercessori accendano in noi il desiderio di imitarli in questo cammino. Non sentiamoli icone irraggiungibili, ma cartelli che indicano come poter lasciare a Dio la possibilità di realizzare il Suo sogno, portare a compimento ciò che ha iniziato in noi.

Chiudo la Bibbia, spengo qualche luce in chiesa e mi avvio nella mia giornata, giunto a sera avrò scelto il meglio?

don Matteo