Santità e Beatitudini

di Mons. Ennio Apeciti

 

Così scrive papa Francesco nel n. 63 dell’Esortazione Apostolica Gaudete es Exsultate: «Ci possono essere molte teorie su cosa sia la santità, abbondanti spiegazioni e distinzioni. Tale riflessione potrebbe essere utile, ma nulla è più illuminante che ritornare alle parole di Gesù e raccogliere il suo modo di trasmettere la verità. Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini (cfr. Mt 5,3-12; Lc 6,20-23)».

Ci indica, dunque, le Beatitudini come il “manifesto della santità”, la “via della santità”.

Le Beatitudini come ce le hanno trasmesse san Matteo e san Luca nel Vangelo. In questa doppia versione c’è una preziosa verità: furono sicuramente dette da Gesù e furono subito sentite così importanti, che i primi discepoli e dopo di loro i primi cristiani, i primi nostri fratelli, sentirono che non se ne poteva e non se ne voleva fare a meno.

Lo si vede bene anche attraverso la loro struttura, il modo con cui i due evangelisti che le hanno trasmesse.

Vi sono, infatti, alcuni elementi comuni ai due evangelisti: le Beatitudini sono dette dopo la chiamata dei primi quattro discepoli (Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni) in Matteo, mentre in Luca sono dopo la chiamata dei dodici apostoli. Quindi esse sono il messaggio consegnato ai suoi apostoli, perché lo trasmettano di generazione in generazione fino a noi.

In ambedue gli evangelisti Gesù le proclama, «vedendo le folle» (Mt 5, 1) e perché «c’era una gran folla di discepoli e una grande moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone» (Lc 6, 12). Le Beatitudini, dunque, sono il messaggio di speranza che Gesù vuole donare a tutti coloro che cercano una risposta – o meglio “la” risposta alla loro vita, al suo senso: sono un messaggio di gioia e di speranza per gli uomini spesso provati. Non a caso – ed è il terzo elemento comune – le Beatitudini sono proclamate da Gesù dopo aver compiuto molti miracoli, dopo aver guarito ogni sorta di male e liberato da ogni tristezza: «Condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici, ed egli li guariva» (Mt 4, 24). A Matteo fa eco Luca: «Erano venuti per ascoltarlo e per essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi venivano guariti» (Lc 6, 18).

È per tutti costoro che Gesù proclama un messaggio – il Suo – diverso, alternativo a quello del suo mondo, ove malattie e dolore erano la conseguenza inevitabile delle loro colpe, come ci ricorda sempre la terribile domanda dei discepoli a Gesù sul cieco nato: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?» (Gv 9, 2).

Non è così per Gesù, che è venuto per salvare e non per giudicare né per condannare; che è venuto per indicarci la strada che conduce alla Vita.

Le Beatitudini in Matteo

In Matteo esse sono il primo grande annuncio, l’ouverture dell’intero suo Vangelo, del grande Discorso della Montagna, che occupa tre capitoli, dal quinto al settimo.

Gesù è sul Monte come Mosè. O meglio è sul Monte come Dio, perché sul Monte, sul Sinai, Mosè riceve le Tavole della Legge da Dio … nel Vangelo di Matteo è Gesù che parla e “consegna” la sua Legge Nuova ai suoi discepoli, a noi. Quella “consegna” fatta in quel giorno ai suoi discepoli ci è stata tramandata di generazione in generazione sino a noi, sino ad oggi. I discepoli del Vangelo di Matteo sono come Mosè: noi siamo oggi Mosè; la figura di Mosè si applica a noi!

Le Beatitudini in Luca

In Luca le Beatitudini sono fatte «in un luogo pianeggiante», sull’erba verde, come quando egli moltiplica il pane e il pesce per la gente affamata (Mc 9, 39). L’erba, la pianura richiama il “giardino”, il “Paradiso”, parola greca che significa, appunto, “giardino”.

Anche Luca fa un discorso solenne: sono quattro beatitudini e quattro guai, per avere il numero di “otto”, che simboleggia la stessa eternità di Dio. Così se in Matteo il numero dieci richiama i comandamenti dati a Mosè, in Luca esse richiamano la perfezione, il tempo eterno di Dio, per ricordarci che le Beatitudini sono per tutti i popoli, per tutti i tempi, per noi.

Beatitudini nella Liturgia

Non è, allora, un caso che le Beatitudini siano il brano del Vangelo che ci è proposto nella Solennità di Tutti i Santi del 1° novembre … per la Commemorazione dei Defunti il giorno dopo! I santi, coloro che sono già in Cielo, quell’immensa moltitudine che contempla Dio e gioisce presso di lui sono accomunati a quei nostri fratelli e quelle nostre sorelle che forse attendono ancora di essere resi puri nel modo degno di poter contemplare Dio e noi preghiamo per loro, per tutti i defunti perché le nostre preghiere ottengano per loro da Dio il dono splendido della Sua gioia, appunto quelle che egli proclama: «Beati …!». Beati sono i santi, Beati sono i defunti, Beati siamo noi ancora viventi, perché chiamati a questa Beatitudine eterna, gioia senza fine alla Sua presenza: «Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Salmo 15, 9-11).

Beatitudini e Rito Ambrosiano

Le Beatitudini sono l’indicazione del cammino, che Gesù ci chiama a fare, che ci offre per provare quella gioia, che è posta nel cuore di ogni essere umano e cui anela ogni essere umano!

È per questo che le Beatitudini – e tutti i tre capitoli di Matteo – sono la grande catechesi quaresimale della Liturgia Ambrosiana da tempi antichissimi, quasi risalenti al suo massimo Patrono: Ambrogio ne fece il testo fondamentale del cristiano, il testo che accompagnava il cammino dei candidati al Battesimo, che avrebbero ricevuto nella Veglia Pasquale. Le Beatitudini sono il Manifesto cristiano: così deve essere ognuno di noi. O almeno: così dovrebbe essere ognuno di noi! Perché così saremo ciò che siamo: Cristiani, ovvero Cristo, che vive in noi; Cristo che siamo noi, suoi testimoni e amici.

Beatitudini e Benedetto XVI

Le Beatitudini, infatti, non solo parlano a noi; non solo ci indicano il cammino per il Cielo. Esse ci svelano il volto stesso di Gesù! Le Beatitudini sono in primo luogo il ritratto di Gesù, che noi siamo chiamati a seguire e ad imitare.

Lo disse splendidamente papa Benedetto XVI nell’omelia proprio per la Solennità di Tutti i Santi del 1° novembre 2006, dopo aver proclamato le Beatitudini commentò: «In verità, il Beato per eccellenza è solo Lui, Gesù. È Lui, infatti, il vero povero in spirito, l’afflitto, il mite, l’affamato e l’assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l’operatore di pace; è Lui il perseguitato a causa della giustizia. Le Beatitudini ci mostrano la fisionomia spirituale di Gesù e così esprimono il suo mistero, il mistero di Morte e Risurrezione, di Passione e di gioia della Risurrezione. Questo mistero, che è mistero della vera beatitudine, ci invita alla sequela di Gesù e così al cammino verso di essa. Nella misura in cui accogliamo la sua proposta e ci poniamo alla sua sequela – ognuno nelle sue circostanze – anche noi possiamo partecipare della sua beatitudine. Con Lui l’impossibile diventa possibile e persino un cammello passa per la cruna dell’ago (cfr. Mc 10, 25); con il suo aiuto, solo con il suo aiuto ci è dato di diventare perfetti come è perfetto il Padre celeste (cfr. Mt 5, 48)»

Beatitudini e Padri

Benedetto XVI lo ripeté nell’Angelus di 30 gennaio 2011: «Esse rispecchiano la vita del Figlio di Dio che si lascia perseguitare, disprezzare fino alla condanna a morte, affinché agli uomini sia donata la salvezza». E aggiunse il commento di un antico eremita, Pietro di Damasco, che mi ha affascinato: «Afferma un antico eremita: “Le Beatitudini sono doni di Dio, e dobbiamo rendergli grandi grazie per esse e per le ricompense che ne derivano, cioè il Regno dei Cieli nel secolo futuro, la consolazione qui, la pienezza di ogni bene e misericordia da parte di Dio … una volta che si sia divenuti immagine del Cristo sulla terra”. Il Vangelo delle Beatitudini si commenta con la storia stessa della Chiesa, la storia della santità cristiana, perché – come scrive san Paolo – “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (1Cor 1,27-28). Per questo la Chiesa non teme la povertà, il disprezzo, la persecuzione in una società spesso attratta dal benessere materiale e dal potere mondano». E certamente sarebbe bello citare i commenti dei nostri antichi Padri.

Beatitudini di Francesco

Basti quello che ci ripete anche Papa Francesco, il quale non a caso continua la citazione con cui ho iniziato questo articolo, scrivendo: «In esse (nelle Beatitudini) si delinea il volto del Maestro». E aggiunge: quel “volto” noi «siamo chiamati a farlo trasparire nella quotidianità della nostra vita», perché le Beatitudini «sono come la carta d’identità del cristiano».

Ci si riconosce, dunque, dal nostro vivere le Beatitudini! E certamente non è cosa facile. Papa Francesco ce lo ricorda: «Nonostante le parole di Gesù possano sembrarci poetiche, tuttavia vanno molto controcorrente rispetto a quanto è abituale, a quanto si fa nella società; e, anche se questo messaggio di Gesù ci attrae, in realtà il mondo ci porta verso un altro stile di vita. Le Beatitudini in nessun modo sono qualcosa di leggero o di superficiale; al contrario, possiamo viverle solamente se lo Spirito Santo ci pervade con tutta la sua potenza e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio. Torniamo ad ascoltare Gesù, con tutto l’amore e il rispetto che merita il Maestro. Permettiamogli di colpirci con le sue parole, di provocarci, di richiamarci a un reale cambiamento di vita. Altrimenti la santità sarà solo parole» (Gaudete et exsultate n. 65-66).

Beatitudini e Santi

I santi, invece, sono proprio quelli che hanno creduto nelle Beatitudini.

«Beati i poveri» e santa Chiara d’Assisi chiese a papa Innocenzo III di avere il «privilegio della povertà»: le clarisse non avrebbero mai dovuto possedere nulla, perché unico loro tesoro è Gesù.

«Beati gli afflitti» e san Vincenzo de’ Paoli esortò i suoi preti: «Serviamo con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni».

«Beati i miti» e san Francesco di Sales raccomandò: «Bisogna aver pazienza con tutti, e innanzitutto con se stessi».

«Beati i misericordiosi» e santa Teresa d’Avila decise: «La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio ha tutto. Dio solo basta».

«Beati i puri di cuore» e la Venerabile Madeleine Delbrel cantò: «Facci vivere la nostra vita come una festa senza fine, come un ballo, come una danza, fra le braccia della tua grazia».

«Beati gli operatori di pace» e di san Francesco d’Assisi si ricorda: «Dov’è odio, che io porti l’amore; dov’è offesa, che io porti il perdono; dov’è discordia, che io porti l’unione».

«Beati i perseguitati» e santa Edith Stein disse: «Il nostro amore verso il prossimo è la misura del nostro amore a Dio. L’amore di Cristo non conosce frontiere».

Se loro ci sono riusciti, posso riuscirci anche io.