“Non abbiate paura!”

(Gaudete et exsultate nn. 129-139)


Mons. Ennio Apeciti: Rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma e Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi


«Nello stesso tempo, la santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo».

Così scrive Papa Francesco in Gaudete et exsultate (n. 129) nel nuovo paragrafo su “Alcune caratteristiche della santità”.

«Nello stesso tempo» è un voluto collegamento con il paragrafo precedente, che abbiamo meditato nel mese scorso: il paragrafo sulla gioia.

Precisa il Papa: «Audacia, entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso nel vocabolo parresia, parola con cui la Bibbia esprime anche la libertà di un’esistenza che è aperta, perché si trova disponibile per Dio e per i fratelli».

«Non abbiate paura»

La parresia di cui il papa parla è quella di chi accoglie l’esortazione di Gesù: «Non abbiate paura» (Mc 6, 50).

Ad essere precisi, le parole di Gesù hanno un contesto e un’introduzione precisa. Gesù ha appena compiuto la moltiplicazione dei «cinque pani e due pesci», con i quali ha sfamato «cinquemila uomini», avanzando addirittura «dodici ceste di pane» (Mc 6, 38-44). Ma Gesù non si ferma a godersi l’entusiasmo della folla: va «sul monte a pregare» (Mc 6, 46), poi li raggiunge nella notte, camminando sulle acque in tempesta. Al vederlo, i discepoli si misero a gridare spaventati, pensando fosse un fantasma (Mt 14, 26), ma Gesù disse loro: «Coraggio, sono io!» (Mt 14, 27). Per questo aggiunge «Non abbiate paura»: perché c’è Lui; perché Lui è lì con loro e placa il vento sferzante e li conduce all’approdo sicuro.

È il grido da sempre della fede: «Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura?» (Sl 27, 1); «Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato» (Sl 34, 5).

«Non abbiate paura», perché «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). È il grido che da allora attraversa i tempi, da quella notte a Corinto, quando il Signore in visione disse a Paolo: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male» (At 18, 9-10).

«Ho avuto paura»

È il grido che ha segnato la storia dei cristiani in questi ultimi cinquanta anni, da quando fu eletto papa san Giovanni Paolo II. Proveniva da una zona del mondo, oppressa dalla più lunga e sanguinosa persecuzione della storia della Chiesa: milioni di innocenti erano stati massacrati, per la sola colpa di credere in Dio. E non era solo il comunismo ad affermarlo, perché anche la cultura cosiddetta occidentale affermava la stessa convinzione, solo con più ipocrita prudenza: “Dio è un fatto privato”, dicevano nell’Occidente capitalista; “Dio non esiste”, faceva eco l’Oriente marxista.

Molti tra i credenti erano spaventati, timorosi, rassegnati e cominciava a vedersi quell’esodo che oggi ci impressiona in modo drammatico.

Ma proprio in quel tempo – il 16 agosto 1978 – venne Giovanni Paolo II. Veniva «da un paese lontano», come disse apparendo alla Loggia di San Pietro con qualche errore nel suo pur sciolto italiano: «Lontano – continuò -, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana». Confidò che aveva avuto paura ad accettare la nomina, ma che lo aveva «fatto nello spirito dell’ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima».

In Lui e in Lei confidava ed esortò a confidare, con le parole appassionate della sua prima omelia (22 ottobre 1978): «Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la Sua potestà! […] Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! […] Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, della civiltà, dello sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!».

Non abbiate paura del mondo

Declinò questo invito nei suoi ventisei anni di pontificato. «Non abbiate paura del mondo!» e andò subito in Messico, anche se dovette entravi non come “papa”, ma come “signor Woytjla” poiché la Costituzione proibiva ancora i titoli e gli abiti ecclesiastici. E andò in Polonia, ancora schiacciata dal comunismo, accolto da milioni di fedeli, … che non comparvero mai in alcuna ripresa televisiva! E girò il mondo, senza timore di regimi e governi, sempre annunciando quel Gesù, «il Redentore dell’uomo, centro del cosmo e della storia». 

«Non abbiate paura» dell’incontro con i credenti di altre religioni e Giovanni Paolo II girò il mondo per incontrare tutti, a partire dai fratelli ebrei della Sinagoga di Roma, ove prega la più antica comunità di ebrei della storia.

«Non abbiate paura» dei potenti di turno e, quando il 3 dicembre 1981 il generale Jaruzelski sospese le libertà civili in Polonia e arrestò Lech Walesa. Minacciò di volare in Polonia per difendere con la sua vita il suo popolo. E lo fece ancora debole e incerto dopo il misterioso – eppure miracoloso – attentato del 13 maggio 1981, quando “una mano premette il grilletto (quella di Alì Agca) e un’altra mano lo deviò”, quella della Madonna di Fatima, venerata in quel giorno. Non temette di ammonire le potenze occidentali, perché non si avventurassero nella prima Guerra del Golfo, perché «La guerra è un’avventura senza ritorno»! (25 dicembre 1990). E fu profeta. E dopo l’orribile massacro delle Torri Gemelle di New York (11 novembre 2001), invitò tutti i capi religiosi ad Assisi perché insieme implorassero pace da Dio (24 gennaio 2002).

«Non abbiate paura» del dolore e ne fece esperienza nella sua stessa carne, senza nasconderlo, testimoniando così quanto fosse vero l’incipit della sua Lettera Apostolica Salvifici doloris (11 febbraio 1984): «Completo nella mia carne — dice l’apostolo Paolo spiegando il valore salvifico della sofferenza — quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).

«Non abbiate paura» del futuro! Fu la sua grande consegna al termine dell’Anno Santo, introducendoci al Terzo Millennio cristiano, quando ci esortò: «Andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Cristo. […] Il nostro passo, all’inizio di questo nuovo secolo, deve farsi più spedito nel ripercorrere le strade del mondo» (Lett. Ap. Novo Millennio ineunte (6 gennaio 2001, 58).

«Chi fa entrare Cristo, non perde nulla»

Un grido, quello di san Giovanni Paolo II, che fu ripreso con commosse parole dal mite e santo Benedetto XVI, quando – altrettanto inaspettatamente per lui e per la Chiesa – fu eletto papa. Il 24 aprile 2005, iniziando il suo ministero di Supremo Pastore, commosse il mondo, ricordando proprio le parole di san Giovanni Paolo II – «Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!» – e continuò: «Egli parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell’uomo, alla sua dignità, all’edificazione di una società giusta». E spiegò: «Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita».

«L’impegno di annunziare il Vangelo»

Il grido di Gesù – «Non abbiate paura» – si deve però trasformare in coraggio, quello che ebbero gli apostoli sin dai primi tempi, infuocati dal fuoco dello Spirito Santo, quando per bocca di Pietro dissero al Sinedrio che li minacciava: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5, 29).

Quel coraggio o meglio quella passione per l’annuncio che fece – e fa ancora vibrare – il cuore di Paolo: «Guai a me, se non predicassi il Vangelo» (1Cor 9, 16); «L’amore di Cristo mi spinge; mi incalza e mi sostiene» (Cfr. 2Cor 5, 14).

A questo coraggio chiamava tutta la Chiesa il cardinale Ratzinger, il 18 aprile 2005, proprio il giorno prima di essere eletto papa: «Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».

Contro questa “dittatura” si levava – si deve levare – il cristiano, e continuò: «Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo», […] al suo amore, alla vera gioia».

Riecheggiano qui le parole di un altro Papa Santo di questo nostro tempo di santi: Paolo VI, che da una parte – come nota anche papa Francesco – denunciò «la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro; essa si manifesta nella negligenza e soprattutto nella mancanza di gioia e di speranza».

Sono parole dell’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) e concluse con l’entusiasmo appassionato: «Conserviamo dunque il fervore dello spirito. Conserviamo la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Sia questo per noi – come lo fu per Giovanni Battista, per Pietro e Paolo, per gli altri Apostoli, per una moltitudine di straordinari evangelizzatori lungo il corso della storia della Chiesa – uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (n. 80).

Non freddi burocrati, ma testimoni appassionati

È quanto Papa Francesco torna a proporci nella Gaudete et exsultate: «Ci mette in moto l’esempio di tanti sacerdoti, religiose, religiosi e laici che si dedicano ad annunciare e servire con grande fedeltà, molte volte rischiando la vita e certamente a prezzo della loro comodità. La loro testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita» (n. 138).