50° Comunità Sant’Egidio Milano – Omelia 5 maggio 2018


Mons. Mario DELPINI – Arcivescovo di Milano


Sarete beati se mettete in pratica queste cose

1. La promessa di Gesù è smentita dalla tristezza dei discepoli?

Dov’è la radice della tristezza dei discepoli di Gesù? I discepoli di Gesù sono impegnati, talora fino alla frenesia, ma capita di incontrare discepoli impegnati e tristi, generosi e tristi, dedicati e tristi, intraprendenti nel bene e tristi. I discepoli di Gesù sono spesso circondati di ammirazione per quello che fanno, per la quantità e la qualità del bene compiuto, ma capita di incontrare discepoli di Gesù che si lamentano, che comunicano scoraggiamento e delusione, che lasciano intravedere nella loro fedeltà una specie di volontarismo esasperato, nella loro perseveranza una specie di rassegnazione gravata dall’impossibilità di sottrarsi: hanno dato la parola e la mantengono, ma quanto pesa! Hanno aderito con entusiasmo, ma quante volte se ne rammaricano! Forse la promessa di Gesù è smentita dall’esperienza? Gesù ha promesso la beatitudine a coloro che vivono secondo il suo esempio: lavano i piedi come li ha lavati lui e Gesù assicura: sapendo queste cose siete beati se le mettete in pratica. Ma l’impressione che talora i discepoli di Gesù non siano beati. Forse i discepoli di Gesù facendo tanto bene non sperimentano la beatitudine perché hanno della beatitudine una visione diversa rispetto alla promessa di Gesù. C’è infatti anche il rischio che il lavare i piedi ai fratelli si configuri come una pratica compresa tra le attitudini che l’”inno alla carità” censura: la carità… non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia.

2. Celebrare la beatitudine del servo piccolo.

La beatitudine della carità è l’incontro con Gesù: chi accoglie colui che io manderò accoglie me. Chi vive per Gesù trova in lui la sua gioia e perciò trova nell’accogliere colui che viene nel nome del Signore come il suo Signore e perciò vi trova la sua gioia. La relazione personale con Gesù, la persuasione della sua presenza, la verità della relazione con lui è la ragione sufficiente della beatitudine. Nella pratica ordinaria del servizio si alimenta l’attesa dell’incontro con Gesù: allora invece lo vedremo faccia a faccia. Adesso conosciamo in modo imperfetto, allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Come il tralcio unito alla vite produce molto frutto, così il discepolo in comunione con il Maestro; il motivo della beatitudine però non è il “molto frutto”, ma la comunione con il Signore, l’amico dei nostri giorni, il fratello della presenza quotidiana, il Signore del cielo e della terra che si rende presente come il servo che lava i piedi ai discepoli. La beatitudine della carità è il compiersi dell’umanità di chi vive nella dedizione. Il bene che si compie fa bene a chi lo riceve, ma fa bene anche a chi lo compie. Chi vive nella dedizione diventa una persona che sperimenta la pienezza di Dio. I tratti della carità descritti da Paolo sono forme pratiche dello stile cristiano che rendono lieta la vita: tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Che uomo, che donna divento se prendo i tratti dell’umanità di Gesù? Mi rendo conto che io, peccatore e limitato come sono, posso fare del bene, sono capace di amare, posso ospitare la misericordia e la compassione di Dio. Allora conoscerò come anch’io sono conosciuto… Lo sguardo su di me che rende cosciente della stima che Dio ha per me è il motivo della mia gioia. La pratica della carità si predispone al compimento escatologico. Non si tratto solo di un presente da rendere più sopportabile, non si tratta solo di mettere mano all’impresa di aggiustare qualche pezzo compromesso della vita umana e dall’ambiente in cui viviamo: si tratta di mettersi in cammino verso un “allora” in cui il sospiro di “adesso” trova compimento. Lo sguardo che si rivolge oltre la precarietà, verso il Regno dei cieli ha dato motivo a molti santi per affrontare fatiche, avversità, umiliazioni, e persino il martirio. Se i discepoli tengono fisso lo sguardo su Gesù e sperano il compimento in paradiso, cominciano a sperimentare la beatitudine promessa.