Beati i miti, perché avranno in eredità la terra


Mons. Ennio Apeciti – Rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma e Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi


Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. 

Comincia, così, la seconda riflessione di Papa Francesco sulle beatitudini come “modello di santità”. E finisce il paragrafo con un’espressione fulminante: «Reagire con umile mitezza, questo è santità».

La mitezza, dunque, è la via alla santità, ovvero alla perfetta imitazione del Maestro, alla “identificazione” con il Maestro, perché la santità non è altro che l’essere come Lui, a sua immagine e somiglianza; averne il volto e le parole, il pensare e il decidere.

La “mitezza”, dunque, come “la” caratteristica del perfetto imitatore di Cristo, del discepolo vero del Signore Gesù. 

Il “mite” Gesù

Non a caso l’unica volta che Gesù parla di sé e dice come vede se stesso, come egli è, è proprio quella custodita nel Vangelo di Matteo: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore». (Mt 11,29)

Vale la pena custodire tutto il pensiero di Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero». (Mt 11, 28-30)

Gesù parla agli “stanchi”, agli “oppressi”, ai “delusi”, a quelli che sognano un poco di riposo, di ristoro, di serenità, di dolcezza forse dopo che hanno provato tristezza, delusione, amarezza. 

A tutti questi Gesù dice: «Fate come me! Siate miti! Siate umili!»

«Io – dice Gesù – ho fatto una scelta precisa: ho scelto di essere mite e umile in questo mondo violento!» 

Entrò così a Gerusalemme, come ricorda l’evangelista Matteo, citando la profezia di Zaccaria: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina». (Mt 21,5)

«Io – dice Gesù – ho provato incomprensione, umiliazione, odio, al punto da essere torturato e ucciso con una morte terribile come quella della crocifissione. Ma non ho reagito né con vendetta né con violenza. Eppure, lo avrei potuto fare. Quando uno dei miei discepoli tagliò l’orecchio di uno di quelli venuti ad arrestarmi, gli dissi di non usare più la spada: “O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?” (Mt 26, 53) E quando Pilato mi prendeva in giro, gli dissi solo che non avrebbe avuto alcun potere su di me, se non gli fosse stato concesso dall’alto (cfr. Gv 19,11). Non lo sfidai; non reagii offeso alle sue parole superbe, che mi minacciavano della morte crudele in croce. Non gli risposi: anche per lui, per Pilato, stavo offrendo la vita, per lui come per tutti i Pilato che sarebbero venuti nel mondo. Quei Pilato che si lavano le mani davanti all’ingiustizia. Quei Pilato che sono prepotenti con i deboli e strisciano davanti ai potenti. Ma io ho pregato anche per loro, mostrando loro un modo diverso di vivere».

«Perché avranno in eredità la terra»

«Perché avranno in eredità la terra». Anche la seconda parte della Beatitudine mi ha affascinato. Gesù non promette un premio a chi è mite, non gli fa un dono,ma chiede loro – ad ognuno di noi – un impegno. Gesù non promette un possesso – avere in eredità la terra – ma una missione: se sarete miti, vincerete! Se sarete miti avrete la terra; avrete quel mondo di gioia e di pace e di bellezza, che tutte le creature desiderano e cui anelano!

San Francesco d’Assisi comprese queste parole di Gesù e insegnò ai suoi discepoli la famosa 27a Ammonizione: «Dove è amore e sapienza, ivi non è timore né ignoranza. Dove è pazienza e umiltà, ivi non è ira né turbamento. Dove è povertà con letizia, ivi non è cupidigia né avarizia. Dove è quiete e meditazione, ivi non è affanno né dissipazione. Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa (cfr. Lc. 11,21), ivi il nemico non può trovare via d’entrata. Dove è misericordia e discrezione, ivi non è superfluità né durezza».

È uno stile che ci provoca: invece di lamentarci dei tempi in cui siamo e delle persone con cui viviamo, cominciamo ad agire differentemente, rispondendo con amore all’umiliazione, con gentilezza all’invidioso, con pazienza all’irascibile, con generosità all’egoista.

E siamo sicuri: non è debolezza, ma vera forza. Solo gli umili sono capaci di essere forti, anzi “sono forti”, perché non si arrendono, non si scoraggiano.

Solo gli umili sono i veri “rivoluzionari”, quelli che riescono e riusciranno a plasmare un mondo diverso, molto più e molto più veramente dei mille e mille profeti di nuove visioni … e di nuove follie, come quelle che sembrano stiano accecando la mente di molti, di molti europei, di molti italiani … di molti cristiani!

Imparare la mitezza di Dio

Dobbiamo tornare ad imparare da Dio se vogliamo plasmare un vero mondo dell’uomo, dove regnino quella pace e quella felicità cui tutti aneliamo, cui tutti anelano, anche quelli che pensano di realizzarla uccidendo i cristiani, imponendo con l’odio la loro legge di libero amore.

Dobbiamo tornare ad imparare da quel Dio che è innamorato dell’essere umano e lo/ci tratterà sempre come solo un innamorato può fare e come ce lo descrive splendidamente il profeta Osea: «Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare». (Os 11,4) E lo fece – come lo fa – anche quando i suoi figli lo rifiutavano o lo tradivano: «Si adornava di anelli e di collane e seguiva i suoi amanti, mentre dimenticava me!» (Os 2,15) Ma Dio non punì Israele, il Suo popolo, per questo, anzi lo rapì come un innamorato focoso rapisce la donna amata e la portò nel deserto, per rinnovarle parole appassionate e infuocati gesti d’amore: «Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore». (Os 2,16)

Dio non riuscirebbe a fare altro che amare, perché Lui è così; è come una mamma, anzi ancora di più: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io non ti dimenticherò mai!» (Is 4915)

Dobbiamo tornare ad imparare da quel Dio che canta il Libro della Sapienza: «Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la dolce e certa speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento». (Sap 12, 18-19)

Lo stile che Dio ama

La mitezza fu il motivo per cui Dio scelse Mosè: «Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza, lo scelse fra tutti gli uomini. Gli fece udire la sua voce». (Sir 4, 4)

Dio ci esorta da sempre ad essere miti, come canta il salmo 45: «Cavalca per la causa della verità, della mitezza e della giustizia». (Sl 45, 5)

E il Libro del Siracide ci insegna: «Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato». (Sir 17-20)

E san Paolo, che aveva un carattere istintivamente collerico, confidò ai cristiani di Corinto: «Ora io stesso, Paolo, vi esorto per la dolcezza e la mansuetudine di Cristo» (2Cor 10, 1)

Anche lui cercava di imparare ad essere mite e voleva che fossero così i suoi discepoli, come ricordò a Timoteo: «Un servo del Signore non deve essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare quelli che gli si mettono contro». (2Tm 2, 24-25)

La mitezza dei santi

È la mitezza che vince! Perché la mitezza conquista il cuore! Sono i miti che vincono! E la storia ne è piena. 

Penso alla romana beata Anna Maria Taigi (1769-1837), dal carattere gioioso e gentile … e dal marito collerico, come dichiarò lui stesso al processo di beatificazione della moglie: «Spesso tornavo a casa stanco, di malumore e irascibile, ma ella sempre sapeva addolcirmi e rallegrarmi. Taceva paziente e mi usava tante buone maniere, tanta gentilezza che mi faceva passare ogni malumore».

Penso ad un’altra beata di Roma, Elisabetta Canori Mora (1774-1825), che sopportò le infedeltà del marito e la povertà nella quale egli aveva precipitato tutta la famiglia, prima benestante. Pregava per lui e continuava a trattarlo con bontà. Alla fine – anzi alla morte della moglie – egli comprese e, da libertino quale era, divenne frate francescano e sacerdote.

Mi piace ricordare san Clemente Maria Hofbauer (1751-1820), il patrono di Vienna. Era un padre redentorista, che girava per la città, chiedendo la carità per i bambini orfani, che egli aveva raccolto. Un giorno entrò in una trattoria e vide seduti al tavolo alcuni avventori che giocavano allegri a carte. Si accostò e uno di loro, disturbato nel gioco, lo riempì di improperi. Padre Clemente taceva e questo rese ancora più furibondo quell’uomo, che gli sputò in faccia. Il padre prese il fazzoletto, si pulì e con calma disse: «Signore, questo era per me. Ora mi dia qualcosa per i miei orfani, per favore». Nella trattoria scese il silenzio. L’uomo, ammutolito, si vergognò, estrasse il portafoglio e mise nel cappello una grossa somma. E poco tempo dopo andò da Padre Clemente, si confessò e divenne uno dei suoi più grandi benefattori.

Lui ci sta aspettando

Certo non è facile. Noi – almeno io – ci arrabbiamo e spesso lo facciamo perché siamo delusi da noi stessi, dai nostri errori, e ci spazientiamo e scoraggiamo. 

In questi casi valga l’insegnamento di san Francesco di Sales: «Rialza dolcemente il tuo cuore quando cade; umiliati pure davanti a Dio scoprendo la tua miseria, ma non meravigliarti della tua caduta: è naturale che l’infermità sia malata, che la debolezza sia debole e la miseria sia misera. Pentiti con tutte le forze dell’offesa che Dio ha ricevuto da te e, con coraggio e fiducia nella Sua misericordia, rimettiti subito nel cammino della virtù che avevi lasciato. E vedrai che Lui ti stava aspettando».