Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia: saranno saziati


Mons. Ennio Apeciti – Rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma e Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi


Papa Francesco, nella Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, con la quale invita tutti alla santità, che è il nome tipico dei cristiani, propone come via maestra per diventare santi di mettere in pratica le Beatitudini, che Gesù consegnò ai suoi discepoli sul Monte. 

Nel trattare della quarta beatitudine papa Francesco è molto concreto, nel riprendere le parole di Gesù: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6).

Commenta Papa Francesco: «La giustizia che propone Gesù non è come quella che cerca il mondo, molte volte macchiata da interessi meschini, manipolata da un lato o dall’altro. La realtà ci mostra quanto sia facile entrare nelle combriccole della corruzione, far parte di quella politica quotidiana del “do perché mi diano”, in cui tutto è commercio. E quanta gente soffre per le ingiustizie, quanti restano ad osservare impotenti come gli altri si danno il cambio a spartirsi la torta della vita. Alcuni rinunciano a lottare per la vera giustizia e scelgono di salire sul carro del vincitore» (n. 78).

Non solo, papa Francesco fa una particolare sottolineatura: la fame e sete di giustizia «si manifesta specialmente nella giustizia con gli indifesi» e cita il profeta Isaia: «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,17).

Proprio questa citazione profetica è interessante. È l’inizio stesso del Libro di Isaia, una ouverture che tocca il cuore: Dio piange: «Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me».

Dio è stupito, perché Suo figlio, l’uomo, sembra più cocciuto dei più cocciuti animali: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende» (Is 1,3). 

Di qui il Suo grido, il Suo divino lamento: «Gente peccatrice, popolo carico d’iniquità! Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il Santo d’Israele, si sono voltati indietro» (Is 1,4). 

Dio scongiura i Suoi figli, perché riflettano sugli errori che stanno facendo: «Perché volete ancora essere colpiti, accumulando ribellioni?» (Is 1,5). 

Dio scuote i Suoi figli e li ammonisce: non Gli interessano i sacrifici, le preghiere fatte con le labbra ma non con il cuore; non gli interessano gli atti di devozione, se non sono accompagnati dai comportamenti della vita: «Smettete di presentare offerte inutili; non posso sopportare delitto e solennità. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni» (Is 1,13-16).

E qui arriva, finalmente la citazione fatta dal Papa. Per amare veramente Dio, occorre amare veramente i fratelli e per amare con impegno i fratelli devi amare con cuore sincero Dio.

È un richiamo, questo, che ancora oggi ci interroga e forse ci scuote. La giustizia, oggi, non pare avere molta audience nel mondo: dittature feroci, sono presenti senza che alcuno vi si opponga; genocidi di popoli sono compiuti nel silenzio complice delle nazioni pavide, che pensano solo ai loro immediati interessi economici; menzogne diffuse da stampa e radio ormai serve dei potenti e ingigantite dalle varie forme di manipolazione delle menti elaborate dai diversi sistemi di internet (Facebook, Instagram, WhatsApp, Google, ecc.). 

Anche la Chiesa ne soffre, non solo perché anche nella Chiesa molti mentono o si fanno servi dei potenti, temendone le reazioni, ma anche perché oggi la Chiesa cattolica è vittima proprio della persecuzione della menzogna a mezzo stampa. Un tempo (ma anche oggi in molti Stati) i cristiani venivano uccisi per la loro fede; oggi vengono più subdolamente infangati, attaccati, umiliati attraverso i persuasivi e sofisticati mezzi di comunicazione. 

Eppure, la “beatitudine” ci apre alla speranza, perché non parla della giustizia “astratta”, intorno alla quale si fanno ampollosi discorsi: “Ci vuole più giustizia; occorre garantire a tutta giustizia, ecc.”!

La “beatitudine” parla di “persone”, di quelli che «hanno fame e sete della giustizia».

In effetti, “la giustizia” non esiste come “realtà astratta”: esiste in persone concrete. Non esiste “la giustizia”: esistono “uomini giusti”, “donne giuste”.

Occorrono persone “giuste”. Ce lo ricorda lo splendido dialogo di Dio con Abramo, che intercede per Sodoma: «“Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?”. Rispose il Signore: “Se a Sodoma troverò cinquanta giusti, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo”. Abramo riprese: “Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?”. Rispose: “Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque”. Abramo riprese ancora: “Forse là se ne troveranno quaranta … forse trenta … forse venti … forse dieci”. Rispose: “”Non la distruggerò per riguardo a quei dieci giusti”» (Gen 18,22-33).

Tanto, possono anche solo “pochi giusti”. Non a caso “giusto” è il termine più alto che usa il Vangelo per indicare una persona: Giuseppe era «un uomo giusto» (Mt 1, 19).

E così erano Zaccaria ed Elisabetta: «Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore». (Lc 1, 6).

Giusto era Noè: «Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio» (Gen 6, 9).

Giusto era Simeone: «Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui». (Lc 2,25)

Giusto era Giovanni, che per questo affascinava e inquietava Erode: «Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri». (Mc 6, 20).

“Giusto”, dunque, è il termine più alto, il vertice della perfezione umana secondo la Bibbia, … perché prima di tutto è Dio il “Giusto”. 

Non a caso così lo prega lo stesso Suo Figlio, Gesù: «Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato» (Gv 17, 25).

Egli, Gesù, è il “giusto” per eccellenza, come comprese la moglie di Pilato, quando lo scongiurò di non condannarlo: «Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: “Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua”» (Mt 27, 19).

Così lo definì Pietro, parlando alla folla dopo aver guarito lo storpio «nel nome di Gesù»: «Voi avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino» (At 3,14).

Così lo indica san Paolo: «Gesù, chiamato Giusto» (Col 4,11). Così lo presenta san Giovanni per rianimare la speranza dei credenti: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto» (1Gv 2,1).

Giusto è, dunque, non tanto colui che agisce con giustizia, cioè con equità, dando a tutti lo stesso; dando secondo quanto riceve; punendo se occorre e pazientando se conviene.

No. Giusto è colui che è – cerca di essere e di diventarlo sempre più ogni giorno – “immagine e somiglianza” di Dio: «Egli è la Roccia: perfette le sue opere, giustizia tutte le sue vie; è un Dio fedele e senza malizia, egli è giusto e retto» (Dt 32,4). 

E ancora: «Pietoso e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso» (Sl 116, 5). 

Dio è “giusto”, perché sempre ci aspetta e ci esorta ad avere fiducia, come canta il profeta Isaia: «Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, per questo sorge per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui» (Is 30,18).

Questa la “beatitudine” proclamata da Gesù! Beati coloro che hanno fame e sete di “assomigliare a Dio”; di essere come Lui; di agire come Lui; di pensare e parlare come Lui.

Vengono in mente gli antichi Padri del deserto che ad ogni domanda, rispondevano citando una frase della Bibbia: parlavano parole di Dio! 

E non solo in quei tempi antichi. Penso a san Charles de Foucauld, che, dopo una vita libertina, si innamorò di Dio e visse solo per Lui: «Quando si ama, si imita, quando si ama, si guarda Colui che si ama e si fa come fa lui. Assomigliare a te, condividere le tue opere, è questa la gioia più grande per il cuore che ti ama. Assomigliare, imitare è un bisogno violento dell’amore. La somiglianza è la misura dell’amore».

Da questo desiderio di imitazione scendevano i gesti concreti, come la preghiera: «Quando si ama, si vorrebbe parlare sempre con la persona amata; la preghiera non è qualcosa di diverso: è un colloquio familiare con Colui che amiamo».

Da questo desiderio di imitazione conseguiva il suo stile di vita, il suo apostolato: «Ecco il programma: amore, amore, bontà, bontà. Il mio apostolato deve essere l’apostolato della bontà. Vedendomi si deve dire: “Poiché quest’uomo è così buono, la sua religione deve essere buona”. Se si chiede perché io sono mite e buono, devo dire: “Perché sono il servo di uno assai più buono di me. Se sapeste com’è buono il mio padrone Gesù”».

Un uomo così appassionato mi fa capire anche le altre parole di Gesù: avere «fame e sete» significa desiderare con tutte le proprie forze di essere come Gesù; desiderare di renderlo presente, mettendo tutto l’impegno possibile, la stessa vita: questo indica il binomio “fame e sete”, perché indica i desideri e i bisogni profondi: se non mangi, se non bevi muori. 

Dunque, per Gesù, tutto il desiderio dell’uomo, di ogni uomo deve (dovrebbe) essere quello di essere come Lui, perché così salveremo il mondo, così trionferà la giustizia, ovvero il Suo Regno: «Il regno di Dio non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rom 14, 17).

Dipende dal nostro desiderio, dal desiderio (“fame e sete”) di ognuno di noi. Lo disse splendidamente Benedetto XVI: «È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà».

Chi ha questa “fame” non sarà deluso, mai. Anzi! È quello che disse Gesù a Thomas More chiuso nella Torre di Londra in attesa di essere decapitato per ordine di Enrico VIII: «Riprendi coraggio, anche se sei spaventato; non perdere tutte le speranze. Procedi con passo sicuro; supera tutte le avversità, credendo fermamente che, poiché io combatto con te, sarai vittorioso, e come ricompensa, sarai come me incoronato con la corona della vittoria».