Armida Barelli e … Il Miracolo del Sacro Cuore


Eliana Marcora : Collaboratrice Familiare del Clero – Coordinatrice regionale per l’Associazione della regione Lombardia


La guerra aveva arrestato le costruzioni, i vincoli post-bellici bloccavano gli affitti. Sarebbe stato difficile trovare un palazzo da trasformare in università. Ida, aiutata dai familiari, trovò per caso in via Sant’Agnese, l’antico convento delle Umiliate, Il prezzo di vendita era un milione. Si accinse all’impresa, anticipando cinquantamilalire, frutto di una raccolta fondi dell’AC. Armida, con audacia tutta sua, fondata sulla fiducia nel Sacro Cuore proseguì le trattative. Non c’era tempo per richiedere un prestito: il milione si doveva pagare entro tre giorni, alle ore 15 del terzo giorno. Fecero ricorso a una banca fuori Milano, che aveva tra gli scopi della Fondazione l’impegno d’aiutare la futura Università Cattolica. Il Consiglio di Amministrazione della banca, riunitosi in assemblea straordinaria decise di concedere l’aiuto, rinviando l’elargizione della somma soltanto a… Università inaugurata. E telegrafò la decisione alla Barelli. Naturalmente la soluzione proposta era inaccettabile!

Quel giorno, con Armida c’erano gli amici Padre Gemelli, Don Olgiati, Necchi e qualche altro del comitato, riuniti nella sede di «Vita e Pensiero». Parve loro che tutto crollasse: non solo avrebbero perso la somma data come caparra e tanto faticosamente raccolta, ma avrebbero dovuto rinunziare al palazzo trovato, rimandando la realizzazione dell’Università così audacemente sognata! Mancavano poche ore allo scadere del contratto! 

Nonostante lo scoraggiamento così profondo Ida reagì prontamente. Di fronte alla impossibilità umana di avere in tre ore di tempo un milione a disposizione ricorse con una richiesta interiore irresistibile a «Colui che dei milioni è il solo e il vero padrone», poi si azzardò a fare la sua proposta: “Ebbene, promettiamo di dedicare l’Università Cattolica al Sacro Cuore, se ci concede di farla. Abbiamo bisogno di un miracolo per riuscire”.

Promisero. E il miracolo avvenne, rievocato da Ida che lo descrive con semplicità, facendo  percepire senza clamore l’intervento divino.

“Arrivò nell’ufficio il Conte Lombardo. Vedendo i quattro attorno a un tavolino – padre Gemelli, don Olgiati e Necchi – con la testa fra le mani per non mostrare che piangevano e Ida con in mano il famoso telegramma della Banca che rifiutava il prestito, disse: “Sono proprio contento che questa utopia dell’Università Cattolica finisca. V’invito al pranzo di funerale dell’Università Cattolica al ristorante dell’Orologio (in Piazza Duomo)”. 

Risposi Ida, perché gli altri non erano in grado di parlare: “Conte, accetteremo stasera il pranzo di funerale dell’Ateneo Cattolico, se non avremo potuto pagare, entro le ore 15, il milione per comperare la sede e così sarà finito il nostro sogno. Ma fino alle tre noi aspettiamo. Se il Signore vuole che facciamo noi l’Università Cattolica ci manderà il milione, se Lui non vuole, perché dovremmo ostinarci? Abbiamo promesso al Sacro Cuore d’intitolare a Lui l’Università se ci darà la grazia di farla sorgere. Perciò speriamo contro ogni speranza”. Il Conte se ne andò indispettito. Ma proprio mentre scendeva le scale, una frase della Barelli gli attraversò come un lampo la mente: «Abbiamo promesso al Sacro Cuore d’intitolare a Lui l’Università”. Si inquietò pensando a come lui stesso continuasse a vantarsi di essere il cassiere del Sacro Cuore. E questa non era forse un’opera del Sacro Cuore? Come poteva il cassiere rifiutarsi di adempiere al suo ufficio? Il Conte non resistette allo scompiglio interiore e mandò alla Barelli un biglietto con scritte queste parole: «Da un’ora il tuo Sacro Cuore mi ha messo l’inferno in cuore! Voglio la mia pace, eccoti il milione!». Al biglietto aggiunse il rispettivo assegno.

Armida gli rispose: “Caro conte, non la ringrazio, perché non lei ha dato il milione, ma il Sacro Cuore, che ha cambiato, a favore della Sua Università, la sua testa che io non ero riuscita a convincere».
Qualche anno dopo, sulla  rivista “Vita e Pensiero” padre Agostino Gemelli, presentando nel dicembre del 1921 l’Università divenuta realtà scrisse: «L’Università Cattolica del Sacro Cuore è uscita dal Suo Cuore, così come Egli l’ha voluta. Ed è così che il sogno è divenuto realtà».

Nella vita di Armida Barelli l’apostolato liturgico e la devozione al Sacro Cuore non si esauriscono in una semplice pratica di preghiera, ma animano il grande sforzo di edificare una moderna cultura cattolica, di formare una nuova classe dirigente per un’Italia cristiana.

Si evidenziano di seguito alcuni momenti della vita di Armida Barelli, che descrivono il suo cristianesimo come un’attuazione anticipata del Concilio Vaticano II. La sua partecipazione alla missione della Chiesa si riflette in alcuni passaggi della Costituzione Lumen Gentium.

  1. Essere Chiesa: chiamati alla partecipazione dentro una realtà concreta, animata dallo Spirito 

[1917] La sua vita si era mantenuta semplice, operosa, distaccata dal superfluo. La ricchezza non la seduceva, la povertà non la impensieriva. Aveva sempre lavorato per il bene senza alcun compenso ed anche sopra le forze. […] Non l’amore della vita comoda, non avidità di guadagno, non rispetto umano le impedivano di fare la propagandista, ma l’impreparazione culturale, il terrore pubblico, il desiderio di solitudine nella preghiera. 

[1946] Il 15 maggio, in una circolare alle presidenti delle associazioni, batte su questo punto: «Noi non facciamo politica, sorelle mie, l’Azione Cattolica è al di sopra e al di fuori della politica. Ma noi siamo cattoliche al cento per cento e non solo praticanti, ma militanti. Vogliamo perciò con tutte le nostre forze un’Italia cristiana». 

  1. Pluralità di carismi e molteplicità di contributi. L’Ac dentro la vita della propria comunità

[1935] All’inizio della guerra, mandò questa specie di proclama all’esercito delle sue «sorelline»: «Nel grave momento che attraversa la patria nostra, la nostra Gioventù Femminile deve essere in prima linea con la preghiera, con il sacrificio, con l’opera. I nostri soldati sopportano animosi le fatiche e i disagi……Noi dobbiamo aiutarli con la preghiera, assisterli del nostro meglio con opere caritative e spirituali. […] Dobbiamo inoltre sottostare alle rinunce e ai sacrifici, restrizioni su tutta la linea, tono austero di vita, sacrifici, preghiere. Fate celebrare Sante Messe, perché la patria nostra abbia presto la pace di Cristo nel regno di Cristo⋟

  1. La gioia di essere laici: chiamati a “lavorare” per un progetto alto, per faticare molto per il Signore.

[[1942-43]«Amarti e riparare! Mortificazione per amore. Fammi capire che la vita cristiana è lotta, rinnegamento, distacco per tutta la vita…. Dammi, Signore, di rettificare la mia vita intorno ai punti deboli: mediocrità, egoismo, volontà propria, comodi propri. Che nelle cose avverse io dica: Fiat; nelle liete: Grazie; nelle libere io scelga le più dure, penose, umilianti. Dammi di piangere e di cancellare ogni più anche lieve peccato con la preghiera, la penitenza, le opere di carità … Non possiamo santificarci, senza la virtù e il dolore. Il saper portare la croce vuol dire insegnare agli altri a vivere il cristianesimo. Oh, insegnalo a me, Signore!».

  1. La collaborazione con la gerarchia. Solo un problema di vertice? Ac come racconto di una

corresponsabilità pienamente vissuta nella condivisione del Magistero del Vescovo.

[1917]

La consacrazione nazionale ed internazionale al Sacro Cuore implicava accordi con le autorità italiane e alleate, quindi pratiche burocratiche complicate e lente, mentre la cosa urgeva. Armida Barelli sperava nell’aiuto del Papa. Il 4 maggio le batteva il cuore. …]Nulla chiedere e nulla rifiutare», ripeteva fra sé la Barelli, salendo velata di nero, gli scaloni del Vaticano. Erano le 11.30 quando fu introdotta nello studio del pontefice. Signorilmente, Benedetto XV le andò incontro, con un sorriso: «Dunque lei è qui per essere investita dei sommi poteri?». «No santità sono venuta per dirle che non sono capace, non sono degna, non posso, non posso …». Ida parlava agitatissima, con il cuore in gola. Il Papa l’invitò a sedere accanto a sé e, pacatamente, prendendo il tono di un direttore spirituale, le domandò: «L’ha voluta lei questa carica?». «No, per carità! Non solo non l’ho voluta, ma non la voglio!». La parola le parve irriverente; corresse: «Non la posso accettare!». Benedetto XV che, come tutti i Papi, era abituato a sentire proteste d’umiltà, d’incapacità, d’indegnità da chi veniva chiamato ad un alto ufficio, sapeva in quale conto tenerle, ma questa della Barelli gli parve tanto sincera che ne rimase scosso.  Il Santo Padre l’ascoltò con bontà, le chiese come era nata la Gioventù Femminile a Milano.  Fece un’annotazione e il giorno seguente incaricò la Segreteria di Stato d’invitare i vescovi a favorire questa iniziativa. Ida partì da Roma con una nuova grande idea del Vaticano, con una devozione non mai sentita così intensa per la dignità sacra de Pontefice. […]

Concludo questa presentazione con le parole del dott. Gianni Borsa – Presidente diocesano Azione Cattolica  – Milano

La strada per la santità

La beatificazione darà modo di conoscere meglio la sua fede profonda, la sua innata capacità organizzativa (oggi diremmo manageriale), la genialità nel tradurre idee e progetti in iniziative concrete per il bene comune nei campi della carità, della formazione religiosa, della testimonianza cristiana nelle realtà della vita quotidiane. Armida è stata una donna la cui “corresponsabilità” ha generato opere di carattere educativo, sociale e civile; al contempo si è dedicata senza risparmio alla missione evangelizzatrice della Chiesa universale. La ricordiamo – e la sua figura assume caratteri di grande attualità – come coraggiosa testimone di fede. In anni in cui la presenza femminile era per lo più consegnata alla vita domestica o al lavoro nei campi e nelle fabbriche, si è impegnata a valorizzare il carisma delle donne nella sfera sociale ed ecclesiale, puntando sulla formazione umana e cristiana. 

C’è sempre il rischio, dinanzi ai beati o ai santi, di consegnarli a immaginette ingiallite, o farne dei giganti della fede, “irraggiungibili” e dunque lontani dalla nostra esistenza. Armida Barelli ci segnala, invece (come insegnano tutti i beati e i santi della Chiesa), che ciascuno ha la propria strada da compiere per la santità, cui siamo chiamati dalla grazia del battesimo. Una “grandezza” alla portata di ciascuno.

Numero di Maggio 2022