Dire la stessa Fede con diverse parole


Don Gianluca Padovan – Sacerdote della diocesi di Vicenza – Delegato vescovile per il dialogo interreligioso – Referente per il Triveneto del dialogo con i mussulmani


L’Oriente cristiano abbraccia anche la storia delle antiche comunità asiatiche, oggi scomparse ma ancora presenti attraverso le loro testimonianza. I cristiani nestoriani in Cina, ormai estinti, ci offrono ancora stimoli missionari, per accettare la sfida di dire la fede cristiana con parole e simboli di altri popoli e culture. Vedremo qui un antico testo del cristianesimo cinese e le riflessioni sull’inculturazione del Vangelo che può suscitare.

Fra i molti e diversi “orienti” del cristianesimo, ciascuno con una propria storia e tradizione, alcuni si sono diffusi in tutto il mondo mentre altri, dopo un periodo di relativa vivacità, hanno conosciuto un progressivo declino, talvolta fino all’estinzione. È il caso dell’esperienza millenaria delle comunità cinesi di tradizione nestoriana. La fede cristiana arrivò in quelle regioni già nel VII secolo, forse anche prima, lasciando testimonianze archeologiche ancora oggi leggibili. La più nota di queste è la “Stele di Xi’an, scolpita nel 781 in due lingue, il cinese ed il siriaco, per commemorare la storia di una comunità cristiana fondata da un monaco persiano di nome Alopen, giunto ad evangelizzare quella zona verso il 635. Queste comunità, con alterne vicende e nonostante diverse persecuzioni, sopravvissero almeno fino al XIV secolo. Esse, isolate dal resto delle Chiese, si confrontarono con l’ambiente cinese, ed in particolare con il taoismo ed il buddismo che ne costituivano il nerbo spirituale. Non conosciamo molto della quotidianità di questi cristiani cinesi, tuttavia ai primi del 1900 il sinologo francese Paul Pelliot ebbe la possibilità di analizzare una gran quantità di antiche pergamene presso il monastero buddista di Dunhuang, e lì ritrovò diversi testi cristiani. In particolare ha avuto una certa fortuna tra gli studiosi la cosiddetta “Gloria di Dunhuang”, un testo forse del V sec. che mostra il tentativo di tradurre la fede cristiana in espressioni più comprensibili e significative per la lingua e la mentalità degli antichi cinesi. Poiché non esiste una traduzione pubblicata in italiano, ecco un mio tentativo di mettere tutti voi in contatto con questo testo antichissimo e ricco di spiritualità:

I cieli eccelsi ti adorano con profonda reverenza,
la vastità della terra medita compìta la pace e l’armonia universali,
la prima natura dell’uomo trova ristoro e riposo,
in Te, misericordioso Padre dell’universo. 
L’assemblea dei giusti ti adora con assoluta devozione,
ogni essere illuminato canta le tue lodi,
ogni spirito attende con piena fiducia il tuo soccorso,
quando la tua santa luce scende misericordiosa a salvare dal Maligno.
Misterioso, irraggiungibile, elevato, vero ed eterno,
o Padre misericordioso, o Figlio radioso, o Spirito Santo!
Grande Sovrano, fra tutti i re tu sei il Re dei re,
fra tutti i santi sei il Santo dei santi.
Tu in eterno dimori nella luce segreta che non ha sponde né confini,
o splendente Maestà che instancabile vieni incontro alla nostra debolezza.
Sin dal principio nessun uomo ti ha veduto,
né alcuno ha potuto immaginarti con gli occhi della carne.
Tu solo sei perfetto nella chiara santità della perfetta virtù,
Tu solo sei potenza senza misura nella tua santa maestà,
Tu solo non cambi e grandiosamente esisti,
Tu radice e sorgente di ogni cosa buona, e niente ti è superiore.
Noi ora proclamiamo la tua misericordia e la tua bontà,
agogniamo alla tua gioia misteriosa perché illumini il nostro mondo,
o Messia onorato, o Santissimo Figlio!
Tu che hai attraversato vittorioso le sofferenze di questo mondo,
salva gli abbandonati che nessuno aiuta.
O Re glorioso che vivi in eterno,
benedetto Agnello della misericordia,
Tu che togli il dolore del mondo e non hai ricusato di soffrire,
abbi pietà di tutti i viventi, liberaci dal peso della colpa,
restituiscici la purezza della nostra natura, dacci ristoro.
O Figlio glorioso che siedi alla destra del Padre,
Tu che siedi sul trono nel più alto dei cieli, ascolta la nostra preghiera:
mandaci il legno che ci salverà dal torrente di fuoco!
Signore, Padre di misericordia!
Signore, nostro Maestro!
Signore, Re dell’Universo!
Signore, Salvatore del mondo!
Dio onnipotente, vieni e salva gli affaticati e gli oppressi.
Gli occhi di tutti guardano a te in attesa,
manda la rugiada sulla terra inaridita,
fa’ che quanti si ristorano in te crescano radicati nel bene.
O Santo dei santi, Messia da tutti onorato,
noi ti adoriamo con il Padre misericordioso, oceano di comprensione,
e con il Santissimo Spirito, umile e puro, specchio limpido e senza ombre della tua volontà. Amen.

Non sappiamo esattamente quale posto occupasse questa preghiera nella liturgia e nella devozione dei cristiani di Dunhuang, e diverse delle sue formule risultano piuttosto oscure. Possiamo però intuire come mai il cristianesimo sia stato inizialmente chiamato dagli antichi cinesi “La Via Luminosa”, vista l’insistenza in questa preghiera di riferimenti alla luce ed al chiarore. Questi nostri antichi fratelli orientali, forse stimolati dall’ambiente buddista cinese, che pone al centro il tema dell’illuminazione interiore, hanno voluto esprimere la propria lode a Dio riconoscendo in Lui lo splendore segreto che gli occhi della carne non possono vedere. Questo testo ci permette di ricordare che fin dal principio le comunità cristiane hanno fatto quanto potevano per esprimere la propria fede in parole comprensibili e comunicabili. Mai il cristianesimo è stato una dottrina riservata a pochi, mai le comunità si sono sentite superiori o hanno voluto isolarsi, ma anche nei contesti più difficili hanno sempre tentato di dare testimonianza alla speranza evangelica. Al di là delle singole espressioni, la Gloria di Dunhuang ci richiama alla prima forma di carità verso i fratelli, ovvero l’impegno a dare loro occasioni per incontrare il messaggio di Cristo attraverso noi stessi. Queste comunità, costrette spesso a spostarsi dalle persecuzioni interne al mondo romano o dagli scontri fra le stesse Chiese cristiane che si tacciavano a vicenda di eresia, esse furono tra le prime a sperimentare su larga scala una radicale trasformazione dei linguaggi, dei simbolismi e delle pratiche religiose. Intuiamo, anche da piccoli elementi come il testo di Dunhuang, cosa possa aver significato per i missionari cercare strade nuove con cui dare testimonianza alla costante verità del Vangelo, ma allo stesso tempo ci accorgiamo di quale grande conversione interiore sia avvenuta nei cinesi che prestarono ascolto alla loro predicazione e si sforzarono di tradurla nei modi di parlare e di pensare a loro più familiari. 

La narrazione buddista cinese vede ancora oggi il mondo come uno spazio caratterizzato dall’esperienza del dolore esistenziale, ed ogni atto spirituale deve tenere conto di questa comprensione e proporsi come un credibile strumento di liberazione dalla sofferenza. La fede cristiana, la lode al Dio trinitario espressa con la voce degli antichi cinesi, non avrebbe avuto alcun senso per loro se non si fosse confrontata esplicitamente con queste visioni, avendo il coraggio di adottarne il linguaggio e le immagini per parlare al cuore cinese partendo dalle preoccupazioni e dai desideri più genuini che già vi albergavano. Come avvenne allora, quando per alcuni secoli si assistette al fiorire e diffondersi di comunità e di monasteri nestoriani in Tibet e nella Cina occidentale fino alla Mongolia, così deve avvenire anche oggi. La storia delle comunità cristiane in quell’Oriente estremo che è la Cina, anche se si tratta di una storia giunta alla fine diversi secoli fa, resta come parte necessaria del patrimonio condiviso di tutte le Chiese. Essa è un appello che arriva a farsi sentire nella vita personale di ciascuno di noi, se siamo disposti a prendere sul serio l’impegno missionario che il Vangelo ci consegna, perché possiamo tutti farci carico del dovere di testimoniare la speranza cristiana a partire non dalle nostre personali preferenze, ma dall’attenzione amorevole verso i nostri fratelli e sorelle, dal dare valore ai loro pensieri, desideri, speranze e sofferenze. Dopo tutto, il primo a cambiare se stesso per andare incontro al prossimo fu proprio il Verbo di Dio che arrivò a farsi uomo per poter incontrare noi uomini.