La mitezza del vescovo Carlassare


Suor Naike Monique Borgo : suora Orsolina  del Sacro Cuore di Maria.
E’ giornalista pubblicista, direttrice dell’Ufficio Stampa della diocesi di Vicenza, direttrice e conduttrice a Radio Oreb.


Un uomo mite, dal sorriso costante che rivela un cuore buono, rivolto a Dio. Si presenta sempre così p. Christian Carlassare, il vescovo italiano più giovane con i suoi 46 anni compiuti lo scorso 1° ottobre. Nato a Schio (VI), ma cresciuto a Piovene Rocchette (diocesi di Padova, ma provincia di Vicenza), entra nella congregazione dei Missionari Comboniani dopo la maturità. Si forma tra Firenze, Varese e Roma, ma è dopo l’ordinazione presbiterale (4 settembre 2004) che riceve la destinazione per il Sud Sudan dove inizia la sua avventura africana. Ricoprirà vari incarichi fino a quello di vicario generale della diocesi di Malakal, ma l’8 marzo 2021 Papa Francesco lo nomina vescovo della diocesi di Rumbek, dove succede al vescovo Cesare Mazzolari, deceduto nel luglio del 2011. Dopo 10 anni, una diocesi poverissima avrebbe riavuto finalmente un pastore che la potesse accompagnare nell’evangelizzazione, tuttavia non era ancora tempo perché p. Christian cominciasse a camminare con questo nuovo popolo che gli è stato affidato a nome della Chiesa. 

Nella notte tra il 25 e il 26 aprile del 2021 infatti il vescovo Christian ha subito un attentato ad opera di due uomini armati che gli sparano alle gambe. Questo fatto lo costringe appena rimesso in forze a rientrare in Italia per continuare a curarsi ed attendere il momento migliore per poter entrare ufficialmente nella diocesi di Rumbek come nuovo pastore. 

Da subito il futuro vescovo lancia messaggi per ricostituire la pace e l’alleanza con il popolo sud sudanese che il tentato omicidio ha messo in crisi. Il tempo in Italia gli ha permesso di riprendersi completamente per tornare, “perché quello è il posto dove sono stato chiamato”, ripete il comboniano. 

Mentre racconta la “sua” Africa, un sorriso lo porta con il cuore e la mente là: i bambini incontrati, le ragazze da far studiare perché possano avere una vita migliore e possano continuare ad essere perni di famiglie più solide, e poi i seminaristi diocesani da formare, la vita religiosa maschile e femminile da sostenere… Rientra in Sud Sudan per l’ordinazione episcopale il 25 marzo 2022, giorno dell’Annunciazione, “perché sono stato nominato vescovo di Rumbek ed essere ordinato lì diventava una sorta di restituzione alle persone buone, che aspettavano un nuovo pastore da tanti anni”, racconta il vescovo Christian. Una caratteristica che si è notata subito è che il giovane missionario ha improntato il suo ministero episcopale mettendosi in cammino anche fisicamente, incessantemente, sempre tra la gente, capace di muovere un centinaio giovani per andare a piedi ad incontrare Papa Francesco nel febbraio 2023 a Juba (Sud Sudan). Del resto, lo stemma episcopale scelto dopo la nomina è costituito di uno scudo africano nel quale s’incrociano un bastone pastorale e uno da pellegrino, segni evidenti di un preciso desiderio: camminare, anche fisicamente, con un popolo la cui età media è sotto i 19 anni, ferito da anni di guerre sanguinose, con un’economia fragilissima perché ancora legata alla pastorizia. La scelta di far studiare le donne può essere rischiosa perché una donna indipendente, capace di pensare e di opporsi alla visione maschile potrebbe emarginarla, tuttavia la possibilità che le donne istruite possano contribuire maggiormente al mantenimento familiare è sufficiente per continuare, anche in questo aspetto del cammino. Mentre racconta p. Christian trasmette una profonda convinzione: “la donna può cambiare una società”, parole molto forti, anche nell’attuale contesto italiano, segnato drammaticamente dal fenomeno dei femminicidi, che fanno trasparire ancora una volta la mitezza evangelica che abita questo vescovo. 

Nell’Udienza generale del 19 febbraio 2020, Papa Francesco affrontando la beatitudine dei miti, disse: “ll termine “mite” utilizzato [“beati i miti perché avranno in eredità la terra”, Mt 5,5 ndr] vuol dire letteralmente dolce, mansueto, gentile, privo di violenza. La mitezza si manifesta nei momenti di conflitto, si vede da come si reagisce ad una situazione ostile. Chiunque potrebbe sembrare mite quando tutto è tranquillo, ma come reagisce “sotto pressione”, se viene attaccato, offeso, aggredito? In un passaggio, San Paolo richiama «la dolcezza e la mansuetudine di Cristo» (2 Cor 10,1). E San Pietro a sua volta ricorda l’atteggiamento di Gesù nella Passione: non rispondeva e non minacciava, perché «si affidava a colui che giudica con giustizia» (1 Pt 2,23). E la mitezza di Gesù si vede fortemente nella sua Passione. Nella Scrittura la parola “mite” indica anche colui che non ha proprietà terriere, e dunque ci colpisce il fatto che la terza beatitudine dica proprio che i miti “avranno in eredità la terra”.

L’opinione pubblica è stata molto colpita dalla capacità di perdono di p. Christian nei giorni in cui era ancora in ospedale perché appena operato alle gambe, così come non traspare mai nelle sue dichiarazioni il rancore, forse un po’ di paura, ben nascosta e mai rivelata, c’è nel suo cuore, tuttavia quello stesso cuore abita ormai da vent’anni in Africa e lì bisognava continuare a farlo vivere. Lì tra la sua gente, tra il suo popolo, costituito di oltre 60 gruppi etnici. Il senso di appartenenza dei sud sudanesi è fortissimo ed è un altro motivo di scontro, che ha portato spesso a guerre tribali sanguinose. Per questo il tratto mite del vescovo Christian risalta ancora più fortemente, tanto che risuonano ancora le parole di papa Francesco nella catechesi già citata del febbraio 2020: Il mite non è un accomodante ma è il discepolo di Cristo che ha imparato a difendere ben altra terra. Lui difende la sua pace, difende il suo rapporto con Dio, difende i suoi doni, i doni di Dio, custodendo la misericordia, la fraternità, la fiducia, la speranza. Perché le persone miti sono persone misericordiose, fraterne, fiduciose e persone con speranza. Qui dobbiamo accennare al peccato dell’ira, un moto violento di cui tutti conosciamo l’impulso. Chi non si è arrabbiato qualche volta? Tutti. Dobbiamo rovesciare la beatitudine e farci una domanda: quante cose abbiamo distrutto con l’ira? Quante cose abbiamo perso? Un momento di collera può distruggere tante cose; si perde il controllo e non si valuta ciò che veramente è importante, e si può rovinare il rapporto con un fratello, talvolta senza rimedio. Per l’ira, tanti fratelli non si parlano più, si allontanano l’uno dall’altro. È il contrario della mitezza. La mitezza raduna, l’ira separa. La mitezza è conquista di tante cose. La mitezza è capace di vincere il cuore, salvare le amicizie e tanto altro, perché le persone si adirano ma poi si calmano, ci ripensano e tornano sui loro passi, e così si può ricostruire con la mitezza”.

Lo scorso 17 agosto, a Rumbek ha fatto visita al vescovo Carlassare il Segretario di Stato Vaticano Cardinal Pietro Parolin, di origine vicentina anche lui. In quell’occasione, il Cardinale ha sottolineato che “è il perdono, ottenuto da Cristo in croce, la chiave della giustizia e della pace”, la non violenza l’unica strada per superare le divisioni all’interno di una comunità”. Parolin ha quindi ricordato – citando le parole di Papa Francesco durante la già citata visita in Sud Sudan – che facendosi piccoli e lasciando spazio al prossimo nel quale si riconosce un fratello, si diventa grandi agli occhi del Signore.

P. Christian lascia trasparire nei gesti e nelle scelte quotidiane quell’umiltà di chi, essendo fortemente radicato in Dio, è capace di essere perseverante anche nelle più avverse difficoltà, grato per tutto ciò che riceve, sicuro che l’opera provvidente del Signore sia incessantemente in corso. Perché – ci si potrebbe chiedere – mettere a rischio (concretamente) la propria vita? Per una forma estrema ed irrazionale di amore? Perché si è convinti di poter cambiare il mondo? Perché? L’unica risposta, avendo avuto modo di incontrare il vescovo Carlassare, è che il suo è un cuore davvero conquistato da Dio: i “piedi in cammino e cuori ardenti” slogan della giornata missionaria mondiale del 2023 sono davvero i suoi. “Piedi in cammino” che lo portano ovunque sia necessario: dalle celebrazioni domenicali, alle visite delle famiglie, alle catechesi…fino alla presidenza della mediazione negli incontri ecumenici con gli altri pastori delle chiese cristiane riformate ampiamente presenti in Sud Sudan. “Cuori ardenti” capaci di sintonizzarsi con le gioie e i dolori che si ascoltano, perché continuino a segnare le scelte quotidiane a favore dei poveri, degli emarginati, dei dimenticati “per salvare l’Africa con l’Africa”, ricordava san Daniele Comboni, fondatore della congregazione religiosa cui appartiene il vescovo Christian, ma anche per narrare con la propria vita che è possibile scegliere il celibato per il Regno ed esserne contenti fino al punto da affascinare altri cuori in cerca di senso profondo per la propria vita. Il mite in realtà è forte, non perché sicuro di sé, ma perché riceve forza dalla relazione principale della sua vita, quella con il Signore Gesù. Il mite cerca continuamente il volto di Dio e l’unica terra cui anela è il fratello, come Papa Francesco ha ben spiegato nella citata udienza: “La “terra” da conquistare con la mitezza è la salvezza di quel fratello di cui parla lo stesso Vangelo di Matteo: «Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello» (Mt 18,15). Non c’è terra più bella del cuore altrui, non c’è territorio più bello da guadagnare della pace ritrovata con un fratello. E quella è la terra da ereditare con la mitezza!”.