Il modello del Familiare del Clero dall’approvazione dello Statuto ad oggi

 

di Melina Asciutto*

 Premessa

Il  mio   primo incontro con l’Associazione avvenne nel lontano ottobre del 1981, quando ebbi la gioia di partecipare a Carini, un paese del palermitano, ad un corso di esercizi spirituali per Familiari del Clero, promosso dal Centro Regionale della Sicilia e diretto da Mons. Gianni Cielo, allora segretario di redazione della rivista  “Familiari del Clero” che era sorta proprio nello stesso anno. Era quello un momento molto significativo per il futuro assetto giuridico-istituzionale dell’Associazione nazionale. I gruppi già esistenti da circa un ventennio in alcune regioni italiane, diedero vita al primo Consiglio Nazionale il quale, verso la fine degli anni ’70 ed inizi anni ’80, si riunì più volte  a Roma, presso il Consiglio Permanente della C.E.I., sotto la sapiente guida di Mons. Egidio Caporello, allora vescovo di Mantova e Sottosegretario della C.E.I., per riflettere, confrontarsi ed affrontare le varie questioni che man mano affioravano, allo scopo di definire le linee portanti della nascente Associazione e le finalità che la stessa si proponeva di realizzare.

I responsabili della Sicilia, che avevano partecipato con interesse ai lavori romani, comunicarono ai partecipanti  a quel corso di esercizi a cui io prendevo parte, tutto quel fermento organizzativo che portò alla stesura della bozza dello Statuto dell’Associazione da sottoporre alla presidenza della C.E.I. per la relativa approvazione.  Approvazione che avvenne poi, come sappiamo, il 17 febbraio 1982.

Da allora ho cercato di vivere la vocazione di Familiare, come sorella di Sacerdote, impegnandomi attivamente nella vita dell’Associazione in ambito diocesano e regionale, partecipando quasi sempre ai Consigli Nazionali e seguendo tutte le iniziative portate avanti a tutti i livelli nel tempo.

In base quindi alla mia esperienza, maturata in lunghi anni di cammino associativo, cercherò di individuare e presentare gli elementi portanti del modello tradizionale di Familiari del Clero, così come lo Statuto lo presenta, e come la storia di questi ultimi trent’anni l’ha visto realizzato. Ciò per cogliere i principi fondanti del servizio dei Familiari del Clero, del loro carisma, della loro spiritualità e quali sono stati gli elementi che si sono evoluti nel tempo, in base anche ai cambiamenti avvenuti nel contesto storico sociale ed ecclesiale.

Concretamente, vedremo come nella tradizione si sono sviluppati:

la dimensione vocazionale del servizio di Familiare del Clero;

il suo fondamento teologico in quanto servizio ecclesiale;

la corrispondenza tra le qualità femminili e i bisogni dei preti.

La dimensione vocazionale del servizio di Familiare del Clero

Dai movimenti ispiratori alle prime esperienze associative, la nota peculiare dell’Associazione è stata sempre contrassegnata dall’aspetto vocazionale della missione di Familiare del Clero. Mons. Egidio Caporello, incaricato dalla Presidenza della C.E.I. per curare tutti gli aspetti organizzativi e strutturali relativi all’istituzione dell’Associazione nazionale, così esprimeva il suo pensiero riguardo alla dimensione vocazionale: “Il servizio di Familiare del Clero appare oggi come un’affascinante e consapevole realizzazione di vita battesimale. Non è una vocazione d’altri tempi, ma una realtà che provoca oggi nuovi appelli, porta a scoprire nuove disponibilità, nuove genialità, presenze più competenti ed efficaci; un’Associazione che spero saprà ripresentare a tutta la Chiesa il fascino di una vita spesa in responsabile collaborazione con il Clero per le comunità cristiane”[1] .

Naturalmente, i fondatori dell’Associazione, vedevano la vocazione di Familiare innestata nella vocazione battesimale e nella scelta laicale secondo lo spirito del Concilio Vaticano II. La Costituzione Dogmatica su “La Chiesa” (Lumen Gentium)  aveva già delineato con chiarezza il ruolo dei laici nella missione salvifica della Chiesa. Al n. 31, infatti sancisce: “I fedeli, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti Popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano…”. E ancora: “Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio .… Essi vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli i doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo, a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità”.

Trattasi questo di un vero programma di vita, recepito per i  Familiari del Clero dallo Statuto dell’Associazione, rimasto quasi invariato nello spirito anche dopo il rinnovo del testo effettuato dalla C.E.I. nel 1999. L’Associazione infatti si rivolge ai “genitori, ai parenti ed ai collaboratori e collaboratrici, a coloro quindi che, rispondendo ad una particolare chiamata, si dedicano all’assistenza domestica ed al servizio diretto dei Sacerdoti, partecipando in tal modo al loro ministero nella comunità cristiana”(Statuto, dall’Art. 2).

Il primo scopo associativo  è proprio quello di “aiutare i Familiari del Clero a comprendere sempre meglio, nella luce della fede, l’identità della loro missione; a vivere il loro quotidiano lavoro come prezioso servizio al Signore e alla sua Chiesa; a impegnarsi a crescere nell’equilibrio umano, nella rettitudine morale e nella spiritualità che tale servizio richiede” (Statuto, dall’Art. 3).

Trattasi quindi di una vocazione laicale che valorizza l’umile lavoro di ogni giorno, anche se nascosto e privo di riconoscimento;  ma è proprio in questo contesto, nella realtà in cui siamo inseriti, che realizziamo il nostro cammino di santificazione, non chiusi nel nostro guscio o nelle strette pareti della  canonica o della casa del prete, ma aperto alle dimensioni di Cristo e del mondo. Non estranei quindi ai problemi della giustizia, della pace, ai disagi che vivono le famiglie, i giovani, i migranti; aperti anche al mondo dell’economia, del lavoro, della politica, dell’ecologia, delle comunicazioni. Vivere quindi partecipi delle gioie e dei dolori del mondo, cercando sempre di essere ovunque gioiosi testimoni del Signore Risorto.

Questo ideale di vita, fondato su solide basi teologiche, è stato sempre oggetto di riflessione in tutti i nostri incontri di formazione realizzati nei vari ambiti di vita associativa: diocesani, regionali e nazionale, aggiornandoci e facendo tesoro dell’insegnamento del Magistero della Chiesa che negli anni ci ha arricchito con profondi e stimolanti documenti. Basti pensare alla “Christifideles laici – Esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II su vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo” del 1988. Questo ci ha consentito di avere maggiore consapevolezza della nostra missione e di andare avanti nel cammino associativo, confortati anche dagli incoraggiamenti dei nostri Vescovi che, in tutte le occasioni, ci sono stati di stimolo per vivere al meglio la nostra vocazione,  dimostrando gli stessi apprezzamenti  per il servizio che rendiamo alla Chiesa nella

persona dei suoi ministri. Non potendo citarli tutti, mi piace concludere questo primo punto della relazione,  riportando  alcune espressioni dei nostri prelati sul tema vocazionale.

Mons. Luigi Maverna, Segretario Generale della C.E.I., nel febbraio 1982, trasmettendo a Mons. Egidio Caporello lo Statuto dell’Associazione F.d.C., approvato nello stesso mese dai Vescovi italiani, dichiarava ufficialmente che la nostra Associazione “sta tanto a cuore all’Episcopato e a tutti i Sacerdoti” e si augurava che la stessa Associazione,  “consapevole del ruolo che le Familiari del Clero sono chiamate a svolgere nella Chiesa potesse scoprire e indicare per loro nuove prospettive e nuove disponibilità per una presenza più qualificata ed efficace nel servizio e collaborazione con il Clero”.

Il Cardinale Carlo Maria Martini, nel primo Convegno Nazionale tenutosi a Milano nel 1983, definiva la nostra missione come “un servizio nella Chiesa che scaturisce da una vera vocazione di laici cristiani… vocazione: cioè un luogo di santificazione personale, un luogo di santificazione nel tessuto sociale ecclesiale, una santità laicale che si esprime attraverso l’esercizio dei diversi servizi e ministeri della vita sociale e dell’impegno ecclesiale…”.

Il Cardinale Camillo Ruini, nel maggio del 1992, inviò una lettera ai Sacerdoti del Vicariato di Roma, agli Assistenti di Associazioni, di Movimenti, di gruppi ecclesiali, per invitarli a ricercare e preparare all’interno delle proprie comunità persone idonee e disponibili ad assistere i Sacerdoti nella vita domestica e pastorale, facendo opera di sensibilizzazione perché sia compresa ed apprezzata la vocazione e la missione della Familiare come vero ministero ecclesiale.

Il Cardinale Dionigi Tettamanzi, allora Segretario Generale della C.E.I., il 31 agosto 1994, tramite la nostra Rivista, inviò un messaggio ai Familiari del Clero, dove  esprimeva fra l’altro stima e gratitudine, invitandoci a seguire con fedeltà ed entusiasmo il nostro itinerario associativo, crescendo nella comprensione gioiosa di quella esaltante vocazione e missione che lo Spirito Santo ci ha dato per la crescita della Chiesa e della sua santità.

Il fondamento teologico del ministero di Familiari del Clero

 

La missione di Familiari del Clero ha un preciso quadro teologico di riferimento: il mistero della Chiesa, considerato alla luce del Concilio Vaticano II. Ne risulta un’immagine di Chiesa completamente nuova: una Chiesa considerata come Popolo di Dio, a cui lo Spirito fa dono di carismi e ministeri diversi; una Chiesa quindi tutta ministeriale, fondata sul Cristo povero e servo; una Chiesa che ha il dovere di riconoscere la pluralità dei doni, dei servizi, dei ministeri con i quali si costruisce in armonia l’unica Chiesa di Cristo.

Una unità, come quella del corpo, secondo l’immagine paolina, dove ogni membro, pur nella diversità, svolge la propria funzione per il bene di tutto l’organismo (1 Cor 12,12-27). E, nella Chiesa di Dio, lo Spirito Santo distribuisce i suoi doni con una meravigliosa varietà; nessuno ha tutti i doni, nessuno ne è del tutto privo, ad ognuno viene partecipato un dono specifico a beneficio di tutta la comunità cristiana, ma direi di tutta l’umanità (1 Cor 12,4-11).

In seno al popolo di Dio, in una Chiesa di comunione, ove tutti insieme formiamo il Corpo mistico di Cristo, inseriti in Lui come “tralci dell’unica vite”, noi Familiari del Clero troviamo la nostra precisa collocazione, con un ruolo di dignità e di responsabilità che va riconosciuto e valorizzato, perché si tratta di un dono dello Spirito che deve portare frutto per la Chiesa.

Essere Familiari  è quindi il dono che noi abbiamo ricevuto dallo Spirito, è il nostro modo di partecipare alla missione della Chiesa; non quindi un fatto privato, ma un servizio che svolgiamo per l’utilità comune, per partecipare al mistero salvifico di Cristo e collaborare all’edificazione del regno di Dio su questa terra.

E’ importante sottolineare che questa dimensione di ecclesialità del servizio di F.d.C., l’abbiamo fatta nostra acquisendola nel tempo. L’Associazione si è impegnata molto per farci assimilare, interiorizzare e soprattutto vivere questa prospettiva di ecclesialità. Sono stati molti gli stimoli che essa ci ha fornito al riguardo attraverso convegni nazionali, giornate di spiritualità, riflessioni e contenuti specifici sulla nostra Rivista, ma anche attraverso gli incontri diocesani e regionali.

La dimensione ecclesiale, vista anche nella prospettiva diaconale di servizio, soprattutto nei Convegni Nazionali è stata approfondita in tutti i suoi molteplici aspetti: biblico, teologico, ecclesiologico, antropologico e per qualche aspetto anche psicologico, sotto la guida di esperti e cultori delle suddette discipline. Solo per citarne alcuni, ricordiamo:

Primo Convegno nazionale (Milano, maggio 1983), nel quale il Cardinale Martini ha riconosciuto il ministero ecclesiale della Familiare, sottolineandone il suo significato teologico a partire dalla riflessione biblica. Tale discorso è stato come un’indicazione programmatica per la nascente Associazione in quanto è stata riscontrata l’essenza del suo carisma e della sua missione nella Chiesa. Riportiamo brevemente qualche stralcio del suo pensiero: “… Voi siete oggi concretamente seguaci, discendenti spirituali di quelle donne che seguirono Gesù, che sono state presso il Calvario, presso il sepolcro e, dopo l’Ascensione, nella Chiesa primitiva. Prima accanto a Gesù e poi accanto agli Apostoli …. Esiste dunque nella vita di Gesù, degli Apostoli e della primitiva comunità un ministero di accompagnamento, un ministero  di attenzione e di servizio, un ministero sussidiario ma necessario per l’organico sviluppo della Chiesa e del suo servizio all’uomo, un ministero al servizio di altri ministeri, perché il frutto dell’Eucaristia, centro ed anima di tutti i ministeri, sia meglio raggiunto …”.

Primo Corso di formazione per dirigenti (Roma – 1986), dove nella relazione tenuta da Mons. Gianni Cielo è stato sviluppato magistralmente il tema: “Identità e funzione della Familiare: un ministero nella Chiesa” attingendo alla riflessione biblica, teologica e al Magistero della Chiesa. Interessante la comparazione fra ministero e servizio alla luce del Vangelo: “… Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,43-45).

2° Corso di Formazione per Dirigenti (Verona – settembre 1990), dove è stato approfondito il tema: “Identità della Familiare del Clero in relazione con il Sacerdote e la comunità”, argomento sviluppato con un taglio prettamente psicologico.

Convegno nazionale di Loreto – settembre 1995. Tenendo conto delle mete formative proposte dal Consiglio nazionale  per quegli anni e  riguardanti: la dimensione del servizio, il senso vivo della Chiesa, il particolare carisma mariano, in questo convegno ne sono stati approfonditi tutti gli aspetti sotto la guida di validi ed esperti relatori. L’accento, questa volta, è stato posto sul tema del servizio. Il servire come tratto del volto di Dio rivelato in Cristo, in cui il relatore, Mons. Diego Coletti, ha indicato per i Familiari, attraverso il servizio, una via di salvezza ed uno stile di vita.

Convegno Formativo nazionale – Vico Equense (NA) – settembre 1999. Mi piace concludere la disamina di questo punto del mio discorso, riportando alcuni contenuti della relazione tenuta in questo luogo dalla nostra compianta Presidente nazionale, Maria Pia Spadoni, sul tema: “Il servizio della Familiare: forma di ministerialità ecclesiale”. Ella, al riguardo, così si esprimeva: “La nostra ministerialità, cioè il nostro servizio, è segno di elezione da parte del Signore. Il Signore ci ha scelto perché ci ha amato, ci ha eletti e collocati in una porzione di Chiesa, a servizio di un grande ministero che è quello del prete …. La nostra è una presenza di amore, è una presenza che umanizza la casa del prete, che non gli consente di inaridire, che lo aiuta ad esprimere in pienezza il dono della fraternità per tutti. Una presenza materna come quella di Maria accanto a Gesù, presenza capace di dedizione, di sacrificio, di dimenticanza di sé. Una maternità, se è autentica, non potrà limitarsi al Sacerdote, ma si dilaterà alla comunità, a ogni persona che bussa, che chiede, che entra… Il nostro è un ministero da svolgere ‘senza sandali’, come camminare in una terra sacra, e in ‘punta di piedi’, cioè con quella discrezione, con quell’equilibrio, quel rispetto che si deve avere per ciò che è di Dio. Dobbiamo allora creare intorno al Sacerdote un clima di riverenza per il dono che porta e nello stesso tempo un clima di accoglienza, di ‘calore di famiglia’ dove egli possa trovare riposo dalle fatiche, un clima di fiducia e di incoraggiamento che lo aiuti a superare i momenti di difficoltà, di delusione, di pessimismo, di sfiducia”.

Ma per far ciò, il nostro ministero deve avere delle connotazioni, delle caratteristiche particolari.

E’ il ministero della discrezione e del silenzio: non curiosità, non invadenza, ma custodire nel silenzio ciò che veniamo a conoscere;

il ministero dell’ accoglienza: fare sentire tutti attesi ed accolti;

il ministero dell’ascolto e della consolazione: essere in ascolto  del mondo, in ascolto di quella sete profonda che ogni uomo si porta dentro;

il ministero della collaborazione: il nostro compito non è solo quello di lavare i piatti e riordinare la casa, ma anche quello di animare la comunità  mandando avanti gli altri, stando dietro le quinte, per essere, nel bisogno, la persona che offre la sua piena  disponibilità;

il ministero della preghiera: la linfa vitale del nostro essere e della nostra missione; ascolto della Parola, vita eucaristica, preghiera liturgica;

il ministero della gratuità: non ambire eredità, privilegi, raccomandazioni, ma anche e soprattutto non aspettarsi riconoscimenti.

E’ la gratuità del restituire agli altri i doni che il Signore ci ha fatto;

il ministero della libertà di cuore: il Sacerdote non è nostro, non ci appartiene, fosse pure nostro figlio o fratello.

Con il prete i legami di famiglia devono essere rifondati ad un altro livello e domandano una relazione effettivamente nuova. Dobbiamo chiedere al Signore un cuore libero, capace di soffrire e di gioire con il Sacerdote, ma non di appiccicarci.

Dobbiamo lasciarlo nella condizione della libertà di cuore perché possa essere padre e fratello di chi avvicina.

  1. La corrispondenza tra le qualità femminili e i bisogni dei preti

Viviamo oggi in un mondo di grandi cambiamenti culturali che hanno investito tutti gli aspetti della vita sociale: il progresso della scienza e della tecnica non conosce confini, la globalizzazione dell’economia e  delle tecniche di produzione mettono in crisi i popoli meno emergenti; le nuove forme di comunicazione – televisione, cellulare, internet – che ci mettono al corrente, senza limiti di tempo, di tutto quello che avviene a livello planetario; il fenomeno migratorio con interscambio di culture, usi e costumi ecc. Ma cambiano anche le relazioni umane e gli stili di vita ed in questo panorama di mutamenti non ne sono esenti la donna, il Sacerdote e la Chiesa.

Tenendo conto di queste dinamiche, cerchiamo ora di vedere come è cambiato negli anni il modello del Familiare del Clero. Penso che ormai da tempo ci siamo lasciati alle spalle la figura della perpetua, di manzoniana memoria, che viveva chiusa nel guscio della canonica o della casa del prete, in un clima di sottomissione e di estrema riverenza nei riguardi del Sacerdote che assisteva, non preoccupata di un personale cammino di crescita culturale, umana, vocazionale e di conoscenza di sé. L’emancipazione femminile, un livello più alto di istruzione, la trasformazione della famiglia sempre più ristretta nel numero dei suoi membri, una maggiore consapevolezza del ruolo che svolgono i laici nella Chiesa sono stati alcuni fattori che hanno consentito l’evolversi di una nuova figura di Familiare, evoluzione che ha coinvolto sia la famiglia di origine dei presbiteri, sia le figure laicali che a vario titolo collaborano nella gestione della vita domestica dei preti e nelle attività pastorali. Va scomparendo la Familiare che esercita  la sua missione a tempo pieno; sono entrate nel servizio di assistenza al prete le colf ad ore, spesso straniere, e le badanti nei casi di Sacerdoti anziani o ammalati.

I genitori ed i parenti prossimi incontrano difficoltà a seguire i congiunti Sacerdoti, o per  motivi di lavoro o perché impegnati a prendersi cura dei nipotini, ma la famiglia di origine costituisce sempre un punto di riferimento essenziale per i nostri Sacerdoti ed è molto importante coinvolgerla in un percorso di formazione umana e cristiana, affinché sia sempre di aiuto e non di ostacolo al ministero sacerdotale dei propri congiunti.

L’Associazione, in un primo tempo, era rivolta principalmente alle donne: madri, sorelle, collaboratrici; poi man mano è stata riconosciuta e valorizzata la figura maschile, soprattutto quella dei papà. In Sicilia abbiamo avuto ed abbiamo dei papà di Sacerdoti che svolgono egregiamente il ruolo di Presidenti di Associazioni diocesane o che fanno parte del direttivo. Questa presenza si è rivelata preziosa e la revisione dello Statuto associativo del 1999 ne ha tenuto conto valorizzandola sempre di più. Ultimamente sono state ben accolte le mogli dei diaconi permanenti.

Tenendo conto di questa nuova realtà, l’Associazione cerca di individuare, anche mediante questo Convegno, quali forme di collaborazione possono dar vita ad un nuovo modello di Familiare che sia più rispondente ai bisogni attuali del nostri presbiteri, naturalmente valorizzando la ricchezza delle esperienze portate avanti in questi trent’anni di vita associativa, ma soprattutto riconoscendo la testimonianza di vita di tanti nostri Familiari che nel silenzio, nel nascondimento, hanno offerto la loro vita al Signore ed alla Chiesa, servendo con tanto amore e dedizione i nostri Sacerdoti.

Vediamo adesso brevemente come la donna, con la sua ricchezza di valori e di carismi può essere di aiuto ai bisogni emergenti dei presbiteri e che tipo di relazione è possibile instaurare; tutto ciò senza volere escludere la figura maschile del Familiare che può senz’altro svolgere un ruolo di sostegno, di aiuto e di collaborazione con i Sacerdoti.

L’antropologia biblica ci presenta l’uguaglianza ontologica e di pari dignità fra uomo e donna, ma questa uguaglianza si fonda sulla diversità e sulla complementarietà. Abbiamo caratteristiche diverse dal punto di vista sessuale, psicologico, di idee, di ruoli. E’ però in questa diversità che Dio ci invita a maturare come persone; come uomini e donne chiamati a collaborare, ad integrarci, a stimarci ed amarci reciprocamente. Noi non siamo diversi soltanto per un dato di fatto, ma per un dono, per una possibilità di crescere sul piano dei valori. La diversità fra i sessi deve aprirci quindi al senso della gratitudine: l’altro, il diverso da me, che non mi somiglia, che spesso non capisco, è un mistero che devo imparare ad amare, a rispettare, a custodire nella reciprocità.

Ma quali sono le caratteristiche tipiche della femminilità?

A partire dalla differenza fisica, il corpo della donna si connota immediatamente con la capacità di portare, di contenere, di accogliere la vita. Ed è proprio per questa sua peculiarità, per il suo senso materno, che la donna matura la predisposizione a custodire, ad accogliere la persona nella sua totalità, a prendersi cura, ad essere attenta ai bisogni dell’altro, a provvedere alle sue necessità.

Un’altra caratteristica tipica della donna è la sua forza spirituale, capace di resistere, più dell’uomo, sia al dolore fisico sia a quello psicologico. Questa dote umana si concretizza nella sua capacità di essere più intuitiva, più vigile; capace di cogliere subito i bisogni e le sofferenze degli altri, di essere più concreta ed efficace nell’azione.

Queste caratteristiche prettamente femminili,  se ben utilizzate, possono essere utili anche alla relazione fra la donna e il presbitero.

Il cambiamento culturale avvenuto nella società, come abbiamo visto, ha coinvolto sia la vita dell’uomo, sia quella della donna; di conseguenza anche la vita del prete. Oggi egli vive una situazione più difficile rispetto al passato, non solo per il mancato riconoscimento di status e di ruolo che prima aveva.  La fragilità che affligge oggi le nuove generazioni coinvolge anche i presbiteri. Sappiamo che c’è fra loro un diffuso disagio fra il dover essere e l’essere, fra quello che esige il ministero che deve svolgere, le relative aspettative della Chiesa e della comunità ed i condizionamenti culturali e sociali.  A ciò deve aggiungersi spesso una forte inquietudine derivante dal non sentirsi capiti, dal non  sentirsi amati, dal non essere in grado fino in fondo di comunicare, di condividere, di realizzare una relazione positiva con gli altri ed a volte anche con il proprio  Vescovo e con i confratelli.

Il Sacerdote, oggi più che mai, ha bisogno di crescere in umanità, di raggiungere in pienezza la sua maturità umana, di ritrovare la propria identità, di essere accolto e riconosciuto per come è e per come si sente.

Oggi, soprattutto i giovani Sacerdoti preferiscono vivere da soli per non subire condizionamenti, anche quelli della famiglia di origine.

Questo  senz’altro può avere dei risvolti positivi sulla maturità della persona. Il prete, in virtù della sua totale donazione a Dio avvenuta con l’ordinazione, si forma una sua famiglia, costituita dal presbiterio e dalla sua comunità, e questa nuova realtà deve avere la prevalenza sui legami familiari, così come è richiesto ed avviene per gli sposi; ma con ciò non si esclude che si possano instaurare  positivi rapporti di collaborazione fra la donna e il prete sia nella gestione della vita domestica sia nelle attività pastorali, perché appunto ‘nessun uomo è un’isola’.

La relazione fra  l’uomo e la donna ma anche fra la Familiare ed il Sacerdote, per essere positiva ed arricchente per entrambi, deve poggiare su solide basi. Anzitutto richiede una maturità umana che, partendo dalle caratteristiche proprie di genere e di identità, consenta di esprimere a ciascuno il meglio delle proprie genialità, delle proprie potenzialità, dei propri carismi. Per la donna è importante vivere la dimensione della cura, dell’accoglienza e dell’ascolto senza voler possedere l’altro appropriandosi della sua vita; vivere la relazione con la libertà e la responsabilità di persona adulta e matura, capace di discrezione e di autocontrollo; rispettando quindi la giusta distanza e considerando l’autonomia personale come un valore per la relazione e la libertà di entrambi.

Questa saggezza umana, espressione di salute psicologica, deve trovare il suo fondamento nella preghiera e nel rapporto con Dio. Soltanto se Dio è l’unico Assoluto, sia per il prete sia per chi collabora con lui, solo se la relazione umana è fondata sul mistero e sulla vocazione, tutelando il tempo della preghiera, delle attività formative proposte dall’Associazione, ma anche degli interessi al di fuori delle mura domestiche, è possibile vivere e sopportare le fatiche psicologiche e spirituali che la relazione richiede.

Anche sul versante del prete valgono gli stessi principi e valori sopra espressi: il riconoscimento  pieno della dignità della donna, il massimo rispetto della sua persona e della sua libertà, la valorizzazione delle sue doti personali e dei suoi carismi. Qualsiasi relazione  non deve mai soffocare l’altro, condizionarlo, mortificarlo nei suoi diritti e nella sua dignità. Sono convinta che la collaborazione femminile alla vita del prete vada letta non in termini di ruoli, ma di attenzione alla persona. Pertanto, non si può non ritenere positiva la ricchezza di una presenza femminile nella casa del prete, purché trattasi di persona matura psicologicamente, discreta, accogliente, capace di ascolto, collaborativa, sincera, dialogante, costruttiva, ma soprattutto persona alimentata da una forte spiritualità, capace di coinvolgere la comunità in quello stile di servizio che è la dimensione dell’amore.

Una simile presenza favorisce un clima familiare sereno ed è di aiuto al Sacerdote perché gli permette ritmi di vita più ordinati, un’alimentazione corretta per la tutela della sua salute, ma soprattutto gli consente di mantenere un maggiore equilibrio psicologico, molto utile per la sua piena maturità umana e spirituale.

Infine, liberandolo dalle incombenze casalinghe, gli si lascia  più tempo per l’esercizio del suo ministero e per l’arricchimento spirituale e culturale.

Se poi andiamo sul piano spirituale, la relazione acquisisce un ulteriore valore aggiunto. L’altro che mi sta innanzi è immagine di Dio, è un fratello o sorella nella fede, un membro come me del Corpo mistico di Cristo; insieme siamo chiamati a costruire il regno di Dio su questa terra ed insieme aspiriamo a raggiungere la Patria celeste che il Signore ha riservato per i suoi eletti.

Lo Statuto dell’Associazione definisce gli atteggiamenti necessari per il servizio ecclesiale di Familiare, requisiti ritenuti soprattutto indispensabili per una corretta relazione fra la donna e il Sacerdote:

equilibrio umano, cioè armonia tra le dimensioni della persona: intelligenza, affettività, comportamento;

rettitudine morale, che attiene alla purezza del cuore, che esclude secondi fini ed implica un bagaglio di virtù come la sincerità, l’umiltà, la pazienza, la fortezza, la temperanza, il dono di sé;

spiritualità, cioè la capacità di instaurare una forte relazione con Dio, nutrita di fede viva, ardente amore, preghiera, sacramenti.

Questi tre capisaldi sono stati sempre tenuti nella massima considerazione da parte dei Familiari, dando un’impronta particolare alla loro esistenza ed al loro impegno nel vivere la loro missione. Invece per quanto riguarda l’approccio alla tipologia di relazione fra la donna e il Sacerdote sopra descritta, si è pervenuti a ciò attraverso un lungo e variegato itinerario formativo.

Sono stati tanti gli input che l’Associazione ci ha fornito al riguardo sia con diversi Convegni Nazionali, sia con inserti speciali sulla Rivista, sia mediante l’approfondimento dei numerosi documenti del Magistero ecclesiale. Ricordiamo la “Mulieris Dignitatem” di Giovanni Paolo II del 1988; la “Lettera ai Sacerdoti” del Giovedì Santo 1995 e la Lettera “Alle donne” dello stesso Pontefice, del 1995; la “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo” della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 2004.  

Di grande aiuto poi ci sono stati due importanti convegni: Sacrofano (Roma), giugno 1997 dal tema “Presbitero e Familiare: quale collaborazione?” e quello di Grado (Gorizia), tenutosi nel mese di settembre 2006 dal titolo: “Familiari: donne e uomini chiamati a servire insieme la Chiesa – Riconoscersi per riconoscere”. Tematiche sviluppate a livello interdisciplinare con l’apporto di persone molto competenti.

Di questi convegni  abbiamo a disposizione i relativi Atti; documenti che ho rivisto con piacere e dai quali ho tratto diversi spunti per la preparazione di questa relazione.

Conclusione

Siamo qui a Loreto, riuniti a convegno per la terza volta presso la Santa Casa, (1988, 1995 e 2011) e ciò è motivo di grande gioia per noi. Lo Statuto ci ricorda che l’ “Associazione si affida alla particolare protezione di Maria, modello perfetto di collaborazione all’apostolato sacerdotale, venerandola  specialmente  nel  mistero  dell’ Annunciazione”.

La nostra icona di riferimento, il nostro modello di vita è Maria. Il suo “fiat” che dimostra la sua disponibilità piena al progetto di Dio; il suo riconoscersi “serva del Signore” sulle orme di Cristo servo; il suo vivere nella semplicità del quotidiano, nell’ascolto e nella preghiera presso la Casa di Nazareth, sono per noi una splendida luce ed un torrente di grazia al quale attingere, per vivere in pienezza e con gioia nella Chiesa la nostra missione di collaborazione al ministero sacerdotale.