Pastorale in conversione

 

Non ignoro che oggi i documenti non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati. Ciononostante, sottolineo che ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazione». Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un «stato permanente di missione».

Al Numero 25 dell’esortazione, Papa Francesco ci mette in guardia su un possibile pericolo di fronte ai documenti del magistero, quello cioè che siano letti frettolosamente e frettolosamente dimenticati. In un’epoca di consumo veloce delle cose, anche il magistero della Chiesa rischia di essere soggetto allo stesso trattamento.

Se osservo la mia libreria piena zeppa di documenti, esortazioni, lettere apostoliche, encicliche, mi rendo conto che questo rischio esiste davvero. Mi sembra molto opportuna l’osservazione del Papa, specialmente davanti alla lettura dell’Evangelii Gaudium e il rischio che venga “accantonata presto”.

Innanzi tutto ribadisce ancora una volta, come questo testo ha un significato programmatico. È un testo che va letto e andrà riletto, ed esso stesso chiede di essere tenuto presente nella pastorale dei prossimi anni. È bello che la nostra rivista abbia deciso di riflettere sull’esortazione apostolica dopo più di tre anni dalla sua promulgazione. È un segno di fedeltà al volere del Papa: continuare ad averla presente, usarla, non considerarla un libro letto e in qualche modo scaduto, non più pregnante sull’attuale.

Sul pericolo di un consumo troppo frettoloso dei documenti della Chiesa, Francesco non inventa ovviamente nulla di nuovo. Tutti i documenti del magistero (ed Evangelii Gaudium non fa eccezione) sono strutturati su continui rimandi e citazioni di documenti prodotti in passato. Anche questi numeri sulla pastorale in conversione rimandano spesso a scritti di Paolo VI, di Giovanni Paolo II, a lavori di conferenze episcopali. Questa non è una “carineria papale”, ma è proprio un grande insegnamento su cosa sia il magistero della Chiesa. Nulla è perduto, nulla è scaduto.

Pensiamo per esempio alle encicliche sociali: testi scritti alla fine dell’ottocento, a prima della metà del secolo scorso, pensiamo a quale freschezza e profezia ancora contengono. Certo, gli scenari attorno a noi cambiano, si complicano, ma questi testi rimangono preziosi e necessari per una formulazione sempre nuova e nel solco della tradizione, del mondo che ci circonda.

Così Evangeli Gaudium. Non è un testo nuovo, ma rappresenta il cammino della Chiesa che, come dirà il Papa al numero 26 citando il Concilio Vaticano II, è chiamata da Cristo a questa continua riforma.

Non caschiamo in errori grossolani: non ci può essere conversione pastorale (come il Papa auspica in questi numeri dell’esortazione), senza un profondo radicamento in tutta la storia del cammino ecclesiale, ed Evangelii Gaudium e ogni documento del magistero, ci insegnano questo.

Anche per questo Bergoglio continua nel numero 26 ad appoggiarsi sulle spalle di Paolo VI.

Ricordiamo questo testo memorabile che non ha perso la sua forza interpellante: – continua Papa Francesco «La Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio […] Deriva da questa illuminata ed operante coscienza uno spontaneo desiderio di confrontare l’immagine ideale della Chiesa, quale Cristo vide, volle ed amò, come sua Sposa santa ed immacolata (Ef 5,27), e il volto reale, quale oggi la Chiesa presenta […] Deriva perciò un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento, di emendamento cioè dei difetti, che quella coscienza, quasi un esame interiore allo specchio del modello che Cristo di sé ci lasciò, denuncia e rigetta». (Paolo VI Ecclesiam Suam 6 Agosto 1964).

Mi colpisce questa frase di Paolo VI citata da Francesco: emendare i difetti. Se infatti parliamo di conversione pastorale, occorrerà partire certamente da qui.

Come avviene personalmente nel nostro cammino di credenti: alla base della conversione c’è il riconoscimento dell’amore di Dio per noi e il conseguente esame di coscienza di ciò che non va nella nostra vita e, chiedendo perdono, impegnarci nell’…emendamento dei nostri difetti.

La conversione pastorale richiede una seria verifica di ciò che nelle nostre comunità non solo non funziona, ma anche è controproducente per l’annuncio del Vangelo.

La conversione non è cambiamento tanto per cambiare, ma è riconoscimento di ciò che non va nella nostra vita, una presa d’atto della nostra volontà di cambiare strada guidati dalla grazia di Dio.

Il Papa nel numero 26 continua a darci dei criteri per questo emendamento, per questa conversione:

Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo.

Sono parole coraggiose ed impegnative. Quante comunità, parrocchie, associazioni, hanno realmente il coraggio di un esame di coscienza sulla loro pastorale?

E non solo. Quanto coraggio abbiamo poi di mettere in atto questo emendamento?

Dobbiamo riconoscere come davvero questa esortazione è di fatto un piano programmatico per i prossimi anni!

Forse dopo tanto tempo di analisi di ciò che non va, siamo chiamati a mettere in atto una vera conversione nello nostro stile comunitario dell’annuncio del Vangelo. Non esiste una formula, una ricetta uguale per tutti, Evangelii Gaudium chiede di essere declinata in ogni singola realtà e questo è di grande stimolo per tutti i pastori della Chiesa e per tutto il popolo cristiano.

Papa Francesco continua:

Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. (EG 27)

Potremmo definire queste parole: “il sogno di Francesco”.

Come Francesco d’Assisi ricevette l’ispirazione davanti al crocifisso di San Damiano «Va’ e ripara la mia casa», Francesco dall’Argentina condivide con tutta la Chiesa del mondo il suo sogno su come riparare oggi Chiesa. Ci sprona a farlo, ricordandoci la natura di ogni parrocchia: una grande plasticità, la docilità e la creatività missionaria. (EG 28)

Citando Giovanni Palo II e la sua Cristisfideles laici, il Papa ci ricorda come il significato stesso della parola parrocchia custodisce in se l’essere una casa in mezzo alle case dei suoi figli.

Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. (EG28)

 

Dobbiamo riflettere e metterci al lavoro. Certi che lo Spirito del Risorto guida e sostiene sempre la sua Chiesa, dobbiamo prestargli la nostra docilità e creatività.

Dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione. Con queste parole il Papa conclude il numero 28 di questa parte dedicata alla conversione della pastorale in chiave missionaria, un onesto riconoscimento del cammino ancora da compiere. Francesco ci invita a considerare i frutti della conversione, come ogni parola profetica deve fare. E i frutti sono proprio la vicinanza alla gente, una comunione via e partecipata. Sì il lavoro è ancora grande davanti a noi e sempre lo sarà. La messe è molta ha ricordato Gesù ai suoi e il Papa ci invita a non avere paura nell’affrontare questa sfida, partendo sempre dalla cosa più importante per il cammino di ogni cristiano: la conversione.

 

 

don Matteo  Prosperini