Beati i poveri in spirito


Mons. Ennio Apeciti – Rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma e Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi


«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3).

Con questa “beatitudine” papa Francesco inizia la sua riflessione sulla “felicità”, o meglio sulla “santità” nell’Esortazione Apostolica Guadete ex exsultate.

La “Carta d’identità del cristiano”

Certamente è importante, perché è la “prima” di quelle regole che costituiscono – come disse il Papa il 29 gennaio 2020 – la «Carta d’identità del cristiano, la nostra carta d’identità, perché delineano il volto di Gesù stesso, il suo stile di vita».

Le Beatitudini, dunque, non sono dei “precetti”, non sono quasi i “comandamenti del cristiano”. Sono “il volto stesso di Gesù”. Ci parlano di Lui. Ci insegnano Lui. Ci insegnano come essere come Lui e non c’è altro modo per realizzarsi come vere persone, come persone “riuscite” che imitare Gesù, essere come Lui, parlare come Lui, pensare come Lui, amare come Lui, gioire come Lui! Non a caso san Paolo gridò: «Per me vivere è Cristo!» (Fil 1, 21); «Non vivo più io, ma Cristo vive in me!» (Gal 2, 20); «Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo!» (1Cor 11, 1).

«Beati i poveri in spirito», come Gesù che allo scriba che gli promise che lo avrebbe seguito ovunque fosse andato – «Maestro, ti seguirò ovunque tu vada!» (Mt 8, 19) – rispose: Sei convinto? Sei pronto? Ricordati che «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8, 20; Lc 9, 58).

La “prima compagnia” di Gesù

Per essere poveri secondo Gesù e come Gesù ci vuole molto coraggio. E molto amore.

Non è un caso che la prima compagnia di Gesù sia formata da poveri, ovvero da gente semplice, come sua madre, Maria e come Giuseppe, che dovettero lasciare tutto e fuggire in Egitto e poi tornare a Nazaret: sempre pronti a ricominciare da capo, per Lui, per quel Figlio che Dio aveva loro donato!

Poveri come Simeone ed Anna, che avevano trascorso tutta la vita nell’attesa del Messia, ma non si erano mai rassegnati e finalmente videro l’atteso di tutta la loro vita, vissuta poveramente, come Anna che sin dalla giovinezza era rimasta vedova, e le vedove erano spesso povere.

Poveri come Zaccaria ed Elisabetta, che erano senza figli – ed era allora la più grande povertà – ma erano ricchi del loro amore, che li aveva tenuti uniti tutta la vita, anche se Zaccaria avrebbe potuto ripudiare Anna: il loro amore era stato più forte della mancanza di un figlio. 

Poveri come i pastori di Betlemme, che dormivano sotto le stelle, accanto alle loro greggi, disprezzati dalla gente, che pure li sfruttava per la loro lana: e fu a quei poveri che fu portato il più grande annunzio di gioia: «A voi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2, 10) e furono quei poveri pastori che dormivano sotto il cielo che videro un intero esercito di angeli e li sentirono cantare a gran voce: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2, 14).

Poveri come i primi discepoli, come Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, come Matteo il pubblicano che lasciarono tutto quello che avevano per seguire il Maestro sulla strada dell’amore, e della croce.

Conviene precisare, però. Maria e Giuseppe, Simeone e Anna, Zaccaria ed Elisabetta, i pastori di Betlemme, i primi discepoli non erano “poveri” di denaro o di cose: Giuseppe era un carpentiere, Zaccaria un sacerdote, Pietro e Giacomo padroni di barche capaci!

Erano e sono poveri, non perché hanno perduto qualcosa! Non perché “non avevano nulla” o “non avevano più nulla”, prima o dopo avere incontrato Gesù. 

Erano poveri perché avevano trovato tutto! Perché avevano già tutto che più di così non si poteva. Avevano trovato Lui, Gesù, il Messia: «Ora lascia pure che il tuo servo vada in pace – disse commosso Simeone – perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2, 30). Per questo Anna, pur avendo ottantaquattro anni, dopo aver visto Gesù, sembra una fanciulla entusiasta e «si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2, 38).

Erano poveri i primi compagni di Gesù. Poveri non di soldi, ma poveri perché semplici, liberi, pronti a tutto per lui; pronti ad andare dove Lui diceva e senza portarsi dietro «nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura» (Mc 6, 8).

Poveri, perché ricchi di Lui

Erano poveri, perché sapevano di essere ricchi, perché il loro tesoro era Lui! 

Certo non era facile, non tutti ne furono capaci. Basta ricordare il giovane ricco (cfr. Mc 10, 21-22), che vorrebbe seguire con entusiasmo Gesù, ma poi, quando si sentì dire che doveva vendere tutto quello che aveva e darlo ai poveri e seguirlo (sino a Gerusalemme, sino alla croce!) non se la sentì, perché «possedeva molti beni» e così se ne andò «scuro in volto» e triste: aveva perso la gioia, perché non riusciva a perdere le ricchezze e gli onori che aveva.

Chi, invece, ha avuto quel coraggio, il coraggio entusiasta di seguire Gesù ha trovato la gioia! Ha trovato tutto!

Il segreto della povertà del ricco Francesco

Pensiamo a san Francesco d’Assisi. Chi più ricco di lui? Sono passati ottocento anni da quando visse e nessuno si è ancora stancato di lui! Anzi, rivive nel nome del Papa, che parla sempre di lui, del “poverello di Assisi”, che ha riempito il mondo con la sua povertà e il suo sorriso! Con quel sorriso di povero, vestito di un rozzo saio sdrucito, Francesco ha trasformato e rinnovato la Chiesa e ancora oggi lo fa!

Ma quale fu il suo segreto? Il “segreto” di Francesco? Non era nato santo. Anzi, papa Benedetto un giorno lo definì un “playboy” del XIII secolo. In un’antica biografia di Francesco, la Leggenda dei tre compagni, si legge: «Francesco era tanto più allegro e generoso, dedito ai giochi e ai canti, girovagava per la città di Assisi giorno e notte con amici del suo stampo, tanto generoso nello spendere da dissipare in pranzi e altre cose tutto quello che poteva avere o guadagnare».

Ma un giorno Gesù dalla croce di San Damiano gli parlò, come aveva fatto con Pietro e Giacomo, Andrea e Giovanni. E Francesco lo ascoltò, e lo seguì.

Francesco divenne povero, non perché diede a suo padre anche i vestiti, ma perché non gli interessavano più vestiti preziosi e feste “da sballo”: aveva sentito la “Parola di Dio”. Aveva trovato la Parola di Dio, il Vangelo. E volle viverlo integralmente, senza sconti o scuse, senza interpretazioni o adattamenti. Volle vivere il Vangelo sine glossa, perché lì aveva trovato tutto quello che gli serviva per essere felice.

La tentazione della povertà

E così penso a Martin Lutero. Anche lui disse che voleva vivere il Vangelo sine glossa e insegnava che occorreva leggere e vivere il Vangelo sine glossa. Ma cadde nella trappola dell’orgoglio, della superbia, del sentirsi più bravo degli altri, del trovare piacere nel fatto che tutti lo lodavano e lo incoraggiavano a parlare male del Papa e della Chiesa, dei preti e dei religiosi … e alla fine anche dei laici, di tutti. Non si accorse che era caduto nella trappola dell’ambizione, che spinge a parlare male degli altri, sentendo che tutti ti lodano per questo. O pensando che tutti ti ammirano perché parli male di tutti. Così fu per Lutero: non si accorse che i principi che lo incoraggiavano e lo lodavano, in realtà lo usavano, per arricchirsi loro e schiacciare i poveri, i “sudditi”, dicendo che lo facevano nel nome di Dio, perché così insegnava Maestro Lutero, colui che aveva svuotato il Vangelo e da povero che era (anche lui era un consacrato come Francesco) si era arricchito di orgoglio e supponenza.

Il “privilegio della povertà”

Il povero secondo il Vangelo è come Francesco. Come lui è innamorato di Dio: «Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amor mio».

Per Francesco essere povero significava libertà di servire, libertà di andare ad annunciare la bellezza di Dio a tutti, agli uccelli del cielo come al sultano d’Egitto, al lupo di Gubbio come al papa coperto d’oro e pietre preziose, al lebbroso e ai gigli del campo, più splendidi delle vesti di Salomone (cfr. Lc 12, 27).

Il povero del Vangelo è ricco di desiderio, il desiderio di far conoscere a tutti Gesù e di chiamare tutti come fratelli e come tali trattarli: con un continuo stile di amore gentile.

Il povero secondo il Vangelo è come Chiara d’Assisi, che chiese ed ottenne dal papa Gregorio IX il “Privilegio della povertà” (17 settembre 1228), cioè «il diritto di vivere senza alcuna proprietà in questo mondo, “seguendo in tutto le orme di Colui che per noi si è fatto povero, e via e verità e vita”».

Scuote il cuore – e mi interroga – leggere il Privilegio: «Volendo voi dedicarvi unicamente al Signore, avete rinunciato alla brama di beni terreni. Perciò, venduto tutto e distribuitolo ai poveri, vi proponete di non avere alcuna proprietà, seguendo in tutto le orme di colui che per noi si è fatto povero, e via e verità e vita (cfr. Mt 19,21). Né, in questo proposito, vi spaventa la privazione di tante cose: perché il braccio del vostro Sposo celeste è sotto il vostro capo, per sorreggere la debolezza del vostro corpo, che con amore sincero avete assoggettato alla legge dello spirito. Colui che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, non vi farà mancare né il vitto né il vestito, finché nella vita eterna passerà davanti a voi e vi donerà se stesso, quando la sua destra vi abbraccerà con gioia più grande, nella pienezza della sua visione (Ct 2,6)».

Povera era Chiara, povero era Francesco, perché ambedue erano ricchi di Gesù e di amore per i fratelli e le sorelle.

Poveri erano, perché furono capaci di volersi bene con vera amicizia e tenerezza, perché ognuno dei due vedeva nell’uno e nell’altra il volto di Gesù.

Poveri si è, perché si è innamorati di Dio. Poveri si è perché si è ricchi di Gesù. Poveri si è, perché si è ricchi non di molte cose, ma di molte persone da amare e servire, senza attendere – pur desiderandolo – di essere amati o gratificati. Poveri si è perché si può avere lo stomaco vuoto, ma si ha il cuore traboccante di bontà, di generosità, di amore, di gioia, come san Filippo Neri.

Perché non provare ad essere poveri secondo il Vangelo? Secondo Gesù?